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Perfidie di Stefano Torossi

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Messaggi di Settembre 2013

Il Postino plagiato e altre storie

 

  IL CAVALIER SERPENTE

  Perfidie di Stefano Torossi

30 settembre 2013

  IL POSTINO PLAGIATO E ALTRE STORIE

 

Il 25 settembre, all'Auditorium di Via della Conciliazione (quella grande sala che il Vaticano ha affittato per anni a S. Cecilia per i concerti, finché la città di Roma si è decisa a costruirsi un proprio Parco della Musica, istituzione che da allora non solo permette il risparmio di un affitto cospicuo e inutile, ma è diventata addirittura capace di mantenersi) in un tripudio di mondanità cultural politica si è inaugurata la rassegna Romaeuropa Festival.

Primo spettacolo, un balletto di Emanuel Gat "The Goldlandbergers", arzigogolato gioco di parole fra il titolo della musica, le Variazioni Goldberg e l'ipotetica patria (land) dei suoi abitanti. Un fatto artistico che malgrado tutto il contorno sembrasse pensato per scoraggiare se non proprio la felicità dello spettatore (non esageriamo), almeno un tranquillo consumo estetico dell'evento, è riuscito a lasciarci comunque qualcosa addosso. Che è già sufficiente per considerarlo uno spettacolo riuscito.

Per amore di informazione dobbiamo precisare quali erano gli elementi di (voluta?) mortificazione: la versione per pianoforte di Glenn Gould delle Variazioni Goldberg di Bach, a nostro parere (contestabilissimo, naturalmente) usata in modo molto moscio, la voce stessa di Gould ritagliata da una sua trasmissione, in un inglese che evidentemente non dovevamo capire bene, cori vari ed effetti di vento, la nudità squallida del palcoscenico, le luci livide, e addosso ai danzatori un assortimento di calzini, canottiere e mutande che peggio non ne avevamo mai viste.

Eppure un'anima c'era...


Baruffa Endrigo-Bacalov sulla paternità del tema conduttore de "Il Postino". L'argomento del contendere: Luis Bacalov avrebbe plagiato una canzone di Sergio Endrigo, e con questo materiale sgraffignato si è beccato l'Oscar.  Mah! A nostro parere il plagio non è così evidente; semmai, data la semplicità del tema, probabilmente involontario. In ogni caso Bacalov, dichiarando che non ne poteva più di questa rottura di scatole durata due decenni, ha deciso di patteggiare e rinunciare a parte dei diritti in favore di Endrigo (eredi) e altri coautori.

Non è il fatto che ci interessa, ma il clima di compiaciuto livore contro il colpevole che si è subito creato con la più viva partecipazione dei colleghi, musicisti e non, comunque artisti, su facebook e sulla stampa "Eccolo, l'abbiamo beccato, il ladro!", "La solita figuraccia all'italiana". Qualche voce si è alzata perfino contro Morricone, membro della prima commissione che aveva dato ragione a Bacalov. Insomma, ancora una volta sprofondiamo nello stupore che ci prende a constatare quante volte il talento di un artista, che dovrebbe, in quanto dono del cielo, rendere chi lo riceve simile a un angelo, si accompagna invece a tutti e sette i peccati capitali, ed è inutile elencarli perché ce li ricordiamo, fin dai tempi del catechismo.

Forse il talento non è proprio un dono del cielo, ma piuttosto è come un fiore: cresce bene solo sul letame.


Domenica 29, Music Day. Mostra mercato del vinile organizzata da Francesco Pozone in un albergo dell'EUR. Nove ore dedicate a questo fenomeno per noi incomprensibile, ma, a giudicare dal pubblico formicolante e dal numero di espositori, largamente condiviso. Ok, collezionare quadri degli impressionisti o bronzi greci è ancora accettabile (avendo i soldi) perché, se non si è tanto paranoici da chiudere tutto nel caveau di una banca, significa mettersi in casa un sacco di belle cose da guardare quanto si vuole.

Ma il disco è un supporto tecnologico che quando è vecchio funziona male, inquinando il suo contenuto con fruscii, toc e salti che rendono la musica, che è proprio quello che dovrebbe fornirci, inutilizzabile. Le copertine, certo, le copertine dei vecchi LP, quelle sì che erano opere d'arte. A due, anche tre facce; e allora la collezione forse è solo l'esterno. Quell'anima nera che ci sta dentro non è altro che una scusa.

A metà mattinata un ricordo di due cari amici partiti: Claudio Rocchi e Franco De Gemini. Nel pomeriggio due presentazioni: "Canzoni sulle pagine", audiolibro di Renzo Zenobi, mitico cantautore d'insuccesso, svanito dal mondo dei vivi a fine secolo scorso, e ora riapparso con questo nuovo materiale, sempre del suo genere: intimista, leggiadro e leggermente polveroso. E "Manuale del perfetto beatlesiano" di Luigi Abramo. Questo signore si è inventato e ha realizzato un'iniziativa che ha chiamato "Appia Road" (e già questo titolo suggerisce il tono) che offre la traduzione in perfetto romanesco di tutte le canzoni dei Beatles. "Blackbird" diventa "Merlo", "Norwegian wood" si trasforma in "Legno der Po" e così via. Ben fatto e divertente (anche se, crediamo, un po' fuorilegge).


Un pizzicotto al volo. Domenica sera. "Che tempo che fa", ospite Ettore Scola, burbero timido, intelligente e buon raccontatore, il quale, richiesto da Fazio di citare un oggetto importante del suo quotidiano, nomina l'uovo. Perché è buono da mangiare, dice, e perché è la più perfetta e bella forma geometrica. Inevitabile a questo punto sentirci gorgogliare nell'orecchio la battuta vecchiotta, ma non ancora superata: "L'uovo è l'oggetto più bello e razionale del mondo, un capolavoro; e pensare che è fatto col culo".



P.S. Vedete cosa succede a voler per forza fare i giochetti da saccentino? Nell'articolo del 9 settembre, per il gusto di inserire una litote abbiamo raccontato male il premio "Poesie nel Cassetto". Non abbiamo ricordato che esiste da 23 anni, che il suo padrino all'inaugurazione fu Argan, che il buon uso dell'italiano, andarci a proprie spese e la fedeltà sono gli elementi caratterizzanti dell'iniziativa, e che la ragione per cui molti dei partecipanti di questa edizione erano avanti con gli anni è perché sono presenti e fedeli fin dall'inizio. Caro Vito Taverna, scusa la nostra superficialità, tipica del rettile, sul quale tutto scivola perché non trova ostacoli.



                                        

 

 

 
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Scemo più scemo

 

  IL CAVALIER SERPENTE

  Perfidie di Stefano Torossi

    23 settembre 2013

   SCEMO PIÙ SCEMO


C.L.A.

Comitato per la Liberazione degli Arrosticini. Da Facebook: "Un commando di attivisti scatenati devasta il sito di una fiera locale in Piemonte, tagliando cavi, abbattendo tende, imbrattando tutto". La sagra era quella degli arrosticini, gustosi spiedini di pecora. Fra le scritte lasciate dagli scalmanati: "ASSASSINI!" e "VERGOGNA MANGIATORI DI CADAVERI!!!" Il blitz è stato rivendicato da un gruppo locale di vegani (per chi non lo sapesse, i vegani sono vegetariani estremi: niente che cammini, voli o nuoti, e nessuno dei loro derivati).

Naturalmente, trattandosi di una notizia da Facebook, la sua attendibilità è senz'altro da controllare, ma se vera, una e una sola è la logica conclusione: "Senza proteine si rischia la scemenza".

 

Muffa d'arte. 

Martedì 17 settembre. Il Trovaroma annuncia alle 19.30 al Chiostro del Bramante per la serie "Incontri con l'artista" la presenza di Mario Ceroli che si racconterà agli spettatori. Siamo lì qualche minuto prima dell'orario, ma ci sono solo due tizi occupati a sistemare le sedie all'aperto, peraltro in un posto meraviglioso, in un pomeriggio ancora estivo e con tutta la calma immaginabile.

Bene, siamo a Roma, ci diciamo, inutile agitarsi. Ci sediamo su un gradino e aspettiamo le otto, quando finalmente i due che piazzavano le sedie si manifestano nella loro veritiera funzione di organizzatori dell'incontro, giurano al pubblico, nel frattempo congregato, che Ceroli è in arrivo da un momento all'altro, e intanto danno la parola al noto critico Maurizio Calvesi. Il quale, dopo un excursus alquanto iettatorio sulla Scuola di Piazza del Popolo: Schifano, Angeli, Festa, Pascali, tutti morti, e anche male, passa a intrattenerci come un nonno monomaniaco su come, quando, perché, dove, sono avvenuti tutti i suoi incontri con Ceroli, gli incoraggiamenti e il sostegno che gli ha dato e il ruolo avuto nella sua carriera artistica. Il tutto in un tono così uguale e soporifero, da "buonanotte nipotini", che anche le notizie interessanti scivolano via nel torpore.

Intanto, ogni quarto d'ora, gli organizzatori rincuorano il pubblico con notizie, chiaramente infondate, sull'imminente arrivo dell'artista atteso. L'epilogo di questo raccontino (scemo) è che qualche minuto prima delle ventuno, mentre l'attesa di Ceroli si faceva sempre più spasmodica, ce ne siamo andati a mangiare una pizza; e mai sapremo se lui è arrivato o no.


Due anni sprecati?

Sabato 21, alla galleria Monitor, mostra fotografica di Antonio Rovaldi. Secondo la presentazione (e credo che tutti sappiamo quanto pomposi, ridicoli e spesso mendaci siano i testi che accompagnano le mostre d'arte) l'artista ha girato le coste di tutta l'Italia in bicicletta per due anni, durante i quali, oltre a pedalare (e fare qualche altra cosa, ci, e gli auguriamo) ha anche fotografato l'orizzonte sul mare, e solo quello, da tutti i punti in cui si è fermato.

Immaginarsi quale e quanta può essere la varietà degli orizzonti marini: una linea dritta con sopra il cielo e sotto il mare. E ci fai due anni di pedalate? Curiosi, siamo andati alla vernice. E abbiamo trovato quello che avevamo immaginato. Una cinquantina di foto tutte della stessa grandezza, attaccate al muro rigorosamente allo stesso livello in modo che la famosa linea d'orizzonte di ogni immagine continuasse in quella successiva formando un filo ininterrotto. Dobbiamo ammettere per amore di verità che alcune di queste foto non erano male. Ma ci pare proprio che il progetto nel suo insieme, e considerando i risultati, sia rigorosamente in linea con il titolo di questo articolo.


Con tutto il rispetto.

Per chi ci crede (noi no). Domenica 22 siamo andati a S. Lorenzo in Lucina a visitare la mostra dedicata a Padre Pio. Si intitola "La grande luce". Naturalmente è tutta miracoli, stupore, devozione. E fin qui, ovvio: ognuno ha bisogno di trovare un rimedio alle proprie paure, e quindi cosa c'è di meglio del totalmente irrazionale, che non può essere dimostrato, se ci credi, ma neanche smentito, se sei scettico. Su una serie di pannelli leggiamo delle famose febbri di Padre Pio durante le quali la sua temperatura saliva a 48 gradi, e faceva scoppiare il termometro (ci pare di aver sempre sentito che una temperatura così fa bollire il cervello in pochi secondi - e poi, come mai usavano dei termometri tanto fragili?). Oppure del misterioso profumo di fiori emanato dalle stimmate, certificato dal suo medico, il dottor Festa (del quale ingenuamente si dice su un altro pannello, che era del tutto privo di olfatto; miracolo bis?). Purtroppo, delle famose stimmate non esiste neanche un'immagine. Eppure la fotografia era già ben progredita all'epoca. Ma, appunto come detto in principio, ognuno si aggrappa al salvagente che gli capita più vicino. Sempre con tutto il rispetto, naturalmente.


Sòla.

E quella che ci siamo beccati domenica sera alla Sala Santa Cecilia del Parco della Musica. E francamente ci ha presi alla sprovvista. Lo spettacolo è "The Kilowatt Hour", e nel titolo troviamo anche l'unico elemento positivo della faccenda: la durata ridotta, appunto one hour, un'ora. Il kilowatt è un riferimento elettrico, e noi ci aspettavamo qualcosa di elettrizzante per la sua moderna audacia. Il catalogo ci aveva garantito "Sylvan, Fennesz e Mathieu, ognuno a suo modo e nel rispettivo ambito di appartenenza, artisti poliedrici e innovativi, uniti per lo stesso raffinato gusto per la sperimentazione musicale".

I tre sono entrati nel buio più completo (poi abbiamo capito che era per non farsi riconoscere all'uscita) ci hanno mollato una sbobba di suoni informi e ripetuti con qualche nota di piano, e lunghe chiacchierate in un inglese cavernoso, senza nessuna pausa, ma ancora peggio, senza nessuna intenzione percepibile, accompagnati da immagini che scorrevano lente lente su tre grandi schermi rizzati dietro le tre consolles. Nuvole, strisce colorate e geometrie tridimensionali, b/n e colore. Roba da computerino, altro che innovativa. Quarant'anni fa, al primo apparire dei sintetizzatori (il Moog, il Synket) noi già ci passavamo le nottate a stordirci con questi suoni nuovi, prolungabili per tempi infiniti. E poi abbiamo anche imparato a sincronizzarli con le immagini.

Abbiamo avuto la sensazione, dal tepore degli applausi, che anche lo scarso pubblico, in gran parte ragazzi post Moog e Synket, non fosse molto convinto. Decisamente d'accordo con noi una delle maschere a cui, uscendo, abbiamo manifestato il nostro sconcerto, la quale naturalmente, non potendo per contratto esprimere un'opinione, ci ha fatto un sorriso molto complice, e ci sembra anche che abbia mormorato a mezza bocca "Sòla", ma non ne siamo sicuri.

Quello di cui siamo sicuri è che stavolta lo scemo è stato il Cav. Serpente.

 

 

                                        


 

 

 
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Lirica, Brasile e nostalgia

 

  IL CAVALIER SERPENTE

  Perfidie di Stefano Torossi

 16 settembre 2013

    LIRICA, BRASILE E NOSTALGIA

 

10 settembre, Sala Accademica di S. Cecilia. Concorso Lirico Ottavio Ziino. Concerto di gala dei finalisti. Da sempre nutriamo una viva antipatia per i recital canto/piano, specialmente di lirica. L'idea di piazzarci in poltrona ad ascoltare, senza la protezione di scene, costumi e soprattutto del bel suono dell'orchestra non sempre sostituito degnamente dal pianista, degli scalmanati che ci invadono le orecchie con il loro volume sonoro (e spesso invadono anche la scena con quello fisico) non ci entusiasma. Anche perché, per dirla tutta, in queste esibizioni la trasparenza del pianoforte permette l'emersione di una delle iatture peggiori dell'opera: il libretto.

Bene, dopo questa premessa, e per dimostrare la nostra totale mancanza di coerenza, eccoci qui ad ascoltare i concorrenti, in questa bella sala, funestata, come abbiamo già avuto occasione di raccontare, da un impianto di 18 fari potentissimi puntati, invece che dove dovrebbero (leggii, tastiere, podio, ecc.) sulle prime file, anzi direttamente negli occhi degli spettatori. Stasera va un po' meglio perché ce n'è uno fulminato. Non sappiamo di cosa ci incolpano, ma siamo pronti a confessare.

Sorprendente il livello dei cantanti: molto alto. Buono anche il pianista accompagnatore. Un sacco di coreani/e partecipanti (ci dicono che è normale). Nell'insieme, non un saggio di fine corso, ma proprio un bel concerto, con il valore aggiunto del tifo per l'uno o per l'altro. Verdi va bene col suo zum pa pa, Bizet va bene con il suo colore, Rossini va bene con le sue risate, ma quando arriva Puccini, è la melodia pura...


Giovedì 12 al Teatro Studio del Parco della Musica. Festival Jammin' organizzato dal St Louis College of Music. Concerto in due set. E' un evento che avrebbe potuto intitolarsi "Mozart e Salieri", proprio per il confronto. Nel secondo set un decorosissimo Radio Trio: Siniscalco, Smimmo, Zanisi, bravi, precisi, ineccepibili, e un po' noiosi (Salieri). Mentre nel primo, non vogliamo esagerare definendoli toccati dalla Grazia, ma certo c'erano dei veri e propri Mozartini: il duo Natalio Mangalavite, piano e Martin Bruhn, percussioni. Due pieni di capelli e di eleganza, e di leggerezza, e di talento che ci hanno portato su e giù per il loro repertorio, tradizionale e originale, cantando, fischiando e suonando senza mai, davvero mai, un momento di pesantezza, di banalità, o di sciatteria. Un vero piacere per le orecchie, e anche per gli occhi grazie a quel gioco continuo che fanno fra di loro e con noi. D'altra parte il loro show si chiama proprio "Juego".


Dalla squisitezza del piacere acustico alla mozione degli affetti. Stessa sera all'Alexanderplatz, appena riaperto per la stagione. Suona Jimmy Polosa and Friends. Jimmy è stato per un certo tempo, e lo è ancora, pianista dei Flippers, gruppo storico nato nei tardi cinquanta e ancora rampante grazie ai sopravvissuti. Sì, perché molti dei componenti e collaboratori originari se ne sono andati, come direbbe qualche nostro amico new age, a suonare con gli angeli: Max Catalano, Franco Bracardi, Lucio Dalla e, pochi giorni fa, anche Jimmy Fontana. Una strage. Del complesso facevamo parte anche noi; per fortuna siamo ancora vivi (anche se non ci sentiamo tanto bene). Ogni volta che si riuniscono li andiamo a trovare per la nostalgia dei bei tempi andati. E così è stato anche giovedì sera. Come si dice, una rimpatriata.


Chiudiamo la settimana con l'inaugurazione al Parco della Musica, domenica 15, del Festival Brasil! Come previsto, dalla combinazione Italia-Brasile è venuta fuori un bel po' di confusão: incertezza sugli orari, contrasti sull'ubicazione degli eventi, biglietti omaggio spariti, eccetera. Ma poi la giornata è andata avanti con una bella improvvisazione di capoeira, due mostre d'arte da dimenticare (Massimo Listri e Odires Mlaszho), cocktail con prosecco (buono) e polpettine (così così) e finalmente il pezzo forte, il concerto di Toquinho alla Sala Santa Cecilia.

Gran pubblico, ovviamente tutti i brasiliani di Roma. Accanto a noi una signora di colore che ogni dieci minuti estraeva dal corpetto una poppa gigante per allattare un bambino che teneva in braccio (forse mandata dall'ufficio del turismo e del folklore di Bahia?).

Anche in questo evento, frequenti rigurgiti di nostalgia, perché Toquinho ha fatto tutto il suo repertorio che conosciamo e amiamo fin dagli anni sessanta. I brani di Vinicius, Chico, Jobim e altri classici brasiliani. E poi, furbamente, ma bene, ha cantato anche "Roma nun fa' la stupida stasera". Insomma, lui è bravo, simpatico, chiacchiera e presenta con disinvoltura, e soprattutto le canzoni sono una più bella dell'altra. Non ci è tanto piaciuta la svolta rokkeggiante che ha dato agli arrangiamenti, ma questo potrebbe essere dovuto a un nostro attaccamento senile alle prime versioni rimaste in memoria.

Naturalmente, a un certo punto della serata è arrivata implacabile la trascrizione da Bach. Siccome pare sia il pedaggio che uno spettatore deve pagare in ogni concerto di chitarra, ci siamo adeguati. Che altro potevamo fare?



                                         


 

 
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Quiz

 

   IL CAVALIER SERPENTE

   Perfidie di Stefano Torossi

 9 settembre 2013

QUIZ

 

E' un'eternità che non scriviamo qualcosa di nuovo (1). Il fatto è che siamo stati tutto questo tempo di calura a chiederci se fosse meglio lavorare per vivere, o vivere per lavorare (2); poi abbiamo optato per un'operosa inerzia (3).

Ciononostante, venerdì 30 agosto, nelle prime roventi ore del pomeriggio una freccia (4) percorreva sul suo cavallo d'acciaio (5) la Cassia in direzione Viterbo: era il Cavalier Serpente. Volevamo essere presenti all'inaugurazione, nella Sala del Conclave del meraviglioso Palazzo dei Papi, della mostra di pittura e scultura di Roberto Joppolo, un artista a nostro parere buono ma discontinuo, con opere emozionanti, e altre per le quali non si può certo dargli del michelangelo (6). Promotore l'amico Filippo Gasparro, recentemente svelatosi ai nostri occhi, in coincidenza con la rinuncia del suo ruolo di responsabile del glorioso Burcardo della SIAE, come l'uomo più felice del mondo. Presente anche un altro mitico rappresentante del passato della Società Autori, l'avvocato Giorgio Assumma, presidente dimissionario. Un uomo di cui raramente abbiamo visto l'uguale come compostezza, humour e aplomb. Sempre dritto, perfetto in giacca e cravatta. E con l'aria serena. Una volta, a Roma, dalle parti del suo ufficio, lo abbiamo inquadrato con i nostri increduli occhi mentre scendeva dal marciapiedi senza guardare né a dritta né a manca, per attraversare la strada con il semaforo rosso (per lui) come se il traffico non esistesse. Erano le auto che si fermavano, docili. C'è chi dice di averlo visto camminare sulla acque del laghetto dell'EUR, non lontano dalla sede generale. Verrebbe da trarne una (troppo ardita?) conclusione: "Vuoi essere felice? Molla la SIAE!" (7).


In questa breve trasferta abbiamo dovuto ancora una volta trattenere i conati di fronte allo stile tirolese-disneyano a uso turistico, ovunque presente. Per esempio, le aiuole (*) di erbetta ben rasata con cespuglietti di rose e altri fiorellini che accompagnano tutto il giro delle mura di Viterbo, mura (8) ferrigne, robuste e arcigne, che nella loro maestà minacciosa non sanno proprio cosa farsene di questi gingilli zuccherosi. Zuccherosi e fiabeschi come i nomi degli agriturismo che incontriamo sulla strada: "La spalliera dei glicini", "Trapunte e merletti", "Il bosco delle api". Conati trattenuti anche qui.


Per fortuna c'è stato anche il momento un po' più aspro. Grazie a un gruppo rock che sulla piazza del duomo (siamo sempre a Viterbo) ha insistito a continuare un rumorosissimo e naturalmente ripetitivo sound check per il concerto della sera, anche mentre il vescovo si avviava con passo da Don Camillo, furioso ma impotente a invalidare il permesso del sindaco, verso la sala dove, prima del buffet, ci avrebbe somministrato un tedioso e patetico discorso sulla Madonna, al solito raccontata come mamma e sostegno anche di anziani e robusti signori, come Giovanni Paolo II, protagonista dell'omelia, a nostro parere capacissimi di procedere sulle proprie gambe, senza bisogno di essere portati per mano né dalla Madonna, né da altre badanti.


Chiudiamo con due opposte segnalazioni. Il 31 agosto un sobrio convegno, organizzatore Vito Taverna, a Monterchi (Arezzo): "Poesie nel cassetto", che non dà premi, ma la possibilità a tutti i poeti (non proprio una riunione di giovanetti (9), come abbiamo constatato di persona) di spedire, e poi venire a leggere nel teatro comunale quello che hanno scritto (naturalmente di buono e di cattivo, ma senza censura). Più tardi, ottimi crostini di cacciagione, e vino rosso.

 E poi una faccenda che ci è sembrata del tutto incongrua, soprattutto per l'argomento in relazione al luogo. Una serata intitolata "Manchi solo tu", lettura di testi di Concita De Gregorio, con musica dal vivo. Storie di donne che richiamavano per la loro onnipresente banalità, anche se camuffata da empatica, moderna partecipazione, la posta del cuore dei vecchi settimanali femminili: Grazia, Annabella. Accompagnate da precarie esecuzioni musicali del gruppo "Le Cardamomò" al quale vorremmo suggerire che non basta strimpellare strumenti strani (10) come organetti, bombardini o kalimbe per fare simpatia e spontaneità retrò; bisognerebbe anche saperli suonare.

Insomma, dal Valle Occupato, ci aspetteremmo una più attenta amministrazione dello spazio disponibile. Diamolo pure, questo spazio, a chi ce lo chiede, però assicuriamoci, prima, che se lo meriti.

Presente fra il pubblico, e non ci è sembrato particolarmente partecipe, il ministro della cultura Massimo Bray.



P.S. Quiz. Questi fastidiosi numeretti fra parentesi, ecco, siamo sicuri che avreste pensato male di noi (11): "O Cavalier Serpente, ti sei rimbambito?" (12) E' che abbiamo passato alcune delle ore più afose di agosto a rinfrescare la sintassi (e questo magari ci ha surriscaldato il resto), e ci siamo invaghiti di un vecchio gioco di sapore un po' barocco. Quello delle figure retoriche. Ne abbiamo seminate qua e là. Se non le avete riconosciute, c'è la spiega qui di seguito (occhio ai richiami numerici).

(1)   Iperbole: esagerazione - eternità invece di un mese.

(2)   Chiasmo: incrocio di due concetti corrispondenti e opposti.

(3)   Ossimoro: illogico accostamento di termini dal significato contrario.

(4)   Metafora: trasporto di identità da una parola a un'altra - (veloci come) una freccia.

(5)   Perifrasi: chiamare un oggetto con un giro di parole anziché con il suo nome vero.

(6)   Antonomasia: usare un nome proprio come sostantivo comune.

(7)   Epifonema: sentenza conclusiva espressa enfaticamente - la morale della favola.

(8)   Anadiplosi: ripetizione di una parola nel discorso per rinforzarne l'impatto emotivo.

(9)   Litote: dire meno di ciò che si desidera far capire.

(10) Allitterazione: ripetizione di una o più lettere in posizione iniziale di parola.

(11) Anacoluto: salto sconnesso, sintatticamente incoerente.

(12) Apostrofe: abbandonare la forma impersonale per rivolgersi direttamente a qualcuno.


(*) L'unica parola italiana con dentro tutte le vocali.


 

                                       



 

 
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