Creato da torossis il 08/08/2010
Perfidie di Stefano Torossi

Area personale

 

Archivio messaggi

 
 << Novembre 2013 >> 
 
LuMaMeGiVeSaDo
 
        1 2 3
4 5 6 7 8 9 10
11 12 13 14 15 16 17
18 19 20 21 22 23 24
25 26 27 28 29 30  
 
 

Cerca in questo Blog

  Trova
 

FACEBOOK

 
 
Citazioni nei Blog Amici: 3
 

Ultime visite al Blog

torossisslavkoradiccarmelo.rizzo70minarossi82aristarco7dudeziochiarasanyenrico505tobias_shuffleRavvedutiIn2Sky_Eaglechristie_malryunastella43isolde6antelao63
 

Chi può scrivere sul blog

Solo l'autore può pubblicare messaggi in questo Blog e tutti possono pubblicare commenti.
I messaggi e i commenti sono moderati dall'autore del blog, verranno verificati e pubblicati a sua discrezione.
 
RSS (Really simple syndication) Feed Atom
 
 

Messaggi di Novembre 2013

Muffa e fuffa

 

  IL CAVALIER SERPENTE

  Perfidie di Stefano Torossi

25 novembre 2013

MUFFA E FUFFA


22 novembre. Giornata intensa per il nostro argomento della settimana: mostre, mostrine e mostricciattole. Con supplemento del giorno dopo.

Ore 18: muffa, vera muffa con solide basi storiche e borghesi; una muffa sicura di sé che emerge vivace anche da sotto una spessa coperta di cultura.

Palazzo Primoli, alla fine di Via Zanardelli, di fronte al ponte, con il Palazzaccio sull'altro lato del Tevere. A una seconda entrata dell'edificio c'è il museo Napoleonico. Ma a noi interessa il Museo Mario Praz. Praz, letterato, famoso anglista e traduttore, ma soprattutto collezionista bulimico e ossessivo, e anche appassionato di ricamo, specialmente di piccolo punto (non nel senso che lo collezionava, era lui stesso a ricamare. Ci sono spalliere e centrini confezionati da lui). Il Museo non è altro che casa sua, dove lui morì ultraottantenne, e l'occasione è la mostra "Gusto Romantico" organizzata dalla GNAM per esporre le opere ottocentesche della collezione Marabottini, altro raccoglitore maniaco, quasi ma non proprio allo stadio di Praz, e suo amico nonché rivale nella caccia agli oggetti.

La mostra, che riempie alcune stanze dell'appartamento, è carina: ritratti di maniera molto piacevoli, paesaggi descrittivi e dettagliati, arredi. Ma quello che è ci interessa, più della mostra, è l'appartamento, rimasto, a quanto dichiara la guida, come quando lo abitava lui.

Luci fioche, pareti dipinte di giallo, verdino, rosso pompeiano, e: (attenzione) uccellini impagliati sotto campane di vetro, ventagli incorniciati, miniature, dagherrotipi, profili in silhouette, santini, madonnine, piccoli busti, orologi, bronzetti, cere, cartapeste, diorami, fermacarte, soprammobili, strumenti musicali, tabacchiere, calamai, cuscini, sedie, poltroncine, lettini, divanetti (aiuto!) e tutto, proprio tutto, in quantità strabordante, tanto che a un certo punto uno non ce la fa più perché rischia l'asfissia sotto la polvere e la muffa degli anni, dell'accumulo, e di quella patologia nota con il nome di collezionismo. Così il fascino artistico di queste cose, ognuna bella per conto suo, ma stomachevoli se inghiottite tutte insieme, va a farsi benedire.


Sotto l'acqua, ore 19, verso Via Margutta, meravigliosa per la sua aria solitaria e nobile anche se si trova a un passo da turisti e traffico di Piazza di Spagna, e famosa per essere la strada degli artisti e dei loro studi. Crediamo che ormai di artisti ne siano rimasti pochi da quelle parti, ma alcune vecchie gallerie resistono. In una di queste, la "One piece art", mostra di fotografie di Pino Settanni, morto troppo presto, e giustamente noto per i suoi ritratti fotografici di personaggi dello spettacolo e della cultura, tutti presi con sciarpa rossa al collo.

La gallerista, bellona anni sessanta intrattiene quattro o cinque anziani infreddoliti (non smette di piovere dalla mattina) assisa su una specie di trono nella saletta troppo piena anche di opere che non c'entrano con la mostra in corso; e tutto sembra una caricatura dei bei tempi di Novella Parigini, quando la strada era un movimentato centro d'arte, e non, come oggi, un fossile neanche valorizzato da un ente turismo che non capisce quello che di vendibile ha in mano. La mostra? Piccole foto di luoghi che magari in un formato più grande avrebbero figurato meglio. Poche e male esposte. Forse semplicemente un pretesto per fare salotto in un pomeriggio uggioso.


Via verso ancora un'altra destinazione. Sono quasi le 20, l'ora giusta. Mai andare troppo presto. Qui, niente muffa, ma fuffa. Fulcro di mondanità, presenzialismo e probabilmente anche molto denaro: è la Gagosian Gallery a Via Crispi. Uno stanzone ellittico immenso, perfetto per esporre grandi pezzi come questi, ma, proprio per la sua forma, condannato da un riverbero dei suoni sulle pareti curve, il soffitto e il pavimento senza protezione, che lo trasformano, appena c'è un po' di gente in un calderone di echi e rimbombi. E di gente ce n'è parecchia, e molto scicchettosa, all'inaugurazione della mostra di Tatiana Trouvé: "I cento titoli in 36.524 giorni". I nomi a effetto, specie se incomprensibili, sono obbligatori per eventi di genere modaiolo. In questo caso abbiamo anche l'aggravante di due righe dell'artista riportate sul programma: "Nella mia visione il razionale e l'irrazionale, la mente e i sensi, si mescolano sempre. Mi piace lasciare che scivolino uno nell'altro e diventino complementari anziché opposti". Roba nuova, eh?

Malgrado la fuffa, quadri e sculture sono belli, anche se quasi tutti "Senza titolo" (e allora il logo della mostra che significa?), il servizio dei custodi impeccabile, l'atmosfera frizzante, e non c'è neanche bisogno di parlare, tanto, nel calderone di frastuono, non ci si sente.


Per non farci mancare niente, l'indomani, tutti al La.Vi., Latteria & Vineria, nome casareccio che nasconde un locale molto giovanilistico e trendy a Via Tomacelli. In mostra parecchie belle fotografie di Vito Vinci, astratte e descrittive, appese in alto alle pareti e ignorate dalla folla di ragazzi del sabato pomeriggio occupati giustamente a bere, mangiare e rimorchiarsi immersi in un bum bum tecno da far paura. Loro neanche le guardano, e hanno ragione, perché la gestione si è accuratamente astenuta dal segnalare in qualsiasi modo la presenza di opere d'arte nel locale.

Ce ne siamo andati un po' frastornati dal suono, dall'ottimo Falanghina bevuto e dalla domanda: "Ma, perché le espongono se poi non lo dicono a nessuno?"


 

                                           

 
Condividi e segnala Condividi e segnala - permalink - Segnala abuso
 
 

Se l'Arcivescovo di Costantinopoli...

 

  IL CAVALIER SERPENTE

    Perfidie di Stefano Torossi

    18 novembre 2013

SE L'ARCIVESCOVO DI COSTANTINOPOLI...


Martedì 12, si inaugura (forse contro la sua volontà) una mostra di Fausto Delle Chiaie, un pittore di settant'anni, onesto, naif e spiritoso che vola alto. L'hanno intitolata "Fuori Luogo". Azzeccatissimo. Normalmente Delle Chiaie espone le sue opere sul marciapiede di Piazza Augusto Imperatore, e vive, appunto fuori luogo, da eremita, in una catapecchia a Sgurgola senz'acqua né luce. Non lo fa (crediamo) per una consapevole scelta filosofica o per una sciocca ricerca della presunta innocenza originaria. No, di sicuro neanche ci pensa, e comunque non se ne cura. Per lui conta l'arte, e il resto no. Alla vernice della mostra una signora voleva comprargli un disegnino e gli ha chiesto quanto. Il povero artista è piombato nella disperazione: non sapeva cosa rispondere, finché è arrivato il gallerista a salvarlo. Niente soldi, che appunto non chiede, ma anche niente confort, cibo decente, igiene. Semplicemente non insegue questi beni e, come succede, loro non inseguono lui. Ne fa a meno e non vuole altro. Ecco il perché della nostra parentesi in prima riga.

Quindi è un saggio. O uno sciocco?


Nuova Consonanza. Giovedì 14 alla Sala Casella della Filarmonica di Roma. "Doppio dittico per i 50" (anni dell'istituzione). Una serata piacevole, ed è abbastanza inconsueto usare questo aggettivo per definire un concerto di musica contemporanea. Solo voci con un unico intervento di percussioni. Un paio di opere dei vecchi fondatori dell'associazione (Guaccero e Macchi, ovviamente fuori discussione) e due di giovani: Grimaldi e Ronchetti. Ok, con qualche riserva sull'ultimo brano "3e32 Naufragio di terra" dedicato dall'autrice al terremoto dell'Aquila, a nostro parere incongruamente condito da un lungo gospel a bocca chiusa e concluso con un'invocazione a God in inglese, interventi che ci sono sembrati poco abruzzesi. Forse la Ronchetti pensava a un terremoto a Harlem...

La Sala Casella è un bel capannone molto accogliente e sempre scaldato da una simpatica atmosfera familiare. E come in ogni famiglia, anche qui c'è lo zio un po' tocco. In questo caso è l'assistente di scena. Una specie di Paperino che non ne fa una giusta. Già qualche serata fa lo avevamo notato aggirarsi capitombolando fra microfoni e leggii, con il pubblico già in sala, tutto vestito di bianco, splendente in mezzo ai musicisti rigorosamente in nero. Stavolta, a metà concerto, fra un brano e l'altro, mentre il direttore si sbracciava disperato per chiedere l'accensione di un faro sul proprio leggio, è arrivato caracollando dopo un bel po' e prima ha chiesto: "Lo vuole spento?" indicando il faro, che spento lo era già, dato che ne era stata reclamata l'accensione, poi, quando ha finalmente capito, se n'è andato borbottando: "Ma questa non l'avevamo provata".

Come dicevamo, simpatica atmosfera familiare. E non intendiamo niente di ironico.


Domenica 17, perseverando nella nostra missione di sostenitori di Nuova Consonanza, ci siamo catapultati alla Festa d'Autunno: un'intera giornata di commemorazioni e sperimentazioni musicali, teatrali e figurative di NC, ospitata come ogni anno a Villa Aurelia sul Gianicolo. Sede di rappresentanza dell'American Academy e storico relitto della battaglia fra garibaldini e francesi nel breve e sfortunato tentativo della Repubblica Romana a metà ottocento. Distrutta dalle cannonate, poi ricostruita e splendidamente arredata, la villa ha molte sale una più bella dell'altra, un grande giardino e soprattutto una terrazza magnifica su Roma. Serata ancora tiepida e romantica luna piena.

Dentro, una folla di studenti, musicisti, appassionati, e niente pubblico generico, di quelli che vanno ai concerti così, per passare il tempo, ma qualificato e attento. Questo ha reso tutta la giornata divertente e stimolante. E' chiaro che otto ore di musica contemporanea sono sufficienti a spezzare la schiena a chiunque. Anche noi, benché sostenuti da qualche bicchiere di ottimo cesanese offerto per l'occasione da un'azienda vinicola di Olevano Romano, a un certo punto abbiamo alzato bandiera bianca. Ciò non ci impedisce di reiterare, come in passato, il nostro sostegno totale a questa iniziativa del tutto speciale in una città pigra come Roma, quindi ancor più meritevole.


       Infantilizzazione. Eccolo finalmente l'aggancio al titolo dell'articolo, che sembrava una scemenza. Perché si tratta di una parola che butta sullo scioglilingua (Se l'Arcivescovo di Costantinopoli si disarcivescoviscostantinopolizzasse... ecc. ecc.). Dunque, l'infantilizzazione è una cosa seria, anzi, tragicomica, di cui, un po' generalizzando, vi portiamo un paio di esempi.

Il primo: a Verona quest'estate per uno spettacolo all'Arena, abbiamo visto girare per Piazza Bra un trattorino camuffato da locomotiva con al traino quattro o cinque piccole carrozze. Insomma, un trenino alla Disney, ma pieno di adulti schiamazzanti e, appunto, infantiliti, che avevano accettato, per di più a pagamento, di farsi portare in un giro turistico da cretini mentre avrebbero potuto benissimo farlo da esseri pensanti, per il bel centro storico della città. (I villaggi vacanze o le crociere, che sono il peggio del peggio come estrema manifestazione di infantilizzazione, li diamo per scontati).

Il secondo: i funerali, ai quali ultimamente (troppo spesso) siamo invitati. Di fronte a questo evento che ci fa tutti uguali, c'è sempre qualche prete che invita gli addolorati non ad affrontare da adulti la inevitabile realtà della morte, ma a cercare rifugio fra le braccia della mamma celeste, o a consolarsi con risibili ipotesi dei nostri cari che ci guardano e ci proteggono da lassù, di colleghi che dirigono il coro degli angeli o di sassofonisti che suonano con Charlie Parker fra le nuvole.

In questo modo noi cattolici infantilizzati dall'addestramento a scaricare il peso del lutto fra le braccia della mamma (celeste) non cresciamo mai. Vedere come invece, nella chiesa protestante, non c'è nessuna mamma che perdona; ognuno è responsabile delle proprie azioni. Allora sì che, costretti a trottare, ci si fa le ossa per la vita vera.



                                                 






 

 
Condividi e segnala Condividi e segnala - permalink - Segnala abuso
 
 

La manifestazione del Mistero Romano

 

                                                    IL CAVALIER SERPENTE

                                     Perfidie di Stefano Torossi

                                            11 novembre 2013

               LA MANIFESTAZIONE DEL MISTERO ROMANO


Concerto di apertura, Festival di Nuova Consonanza, domenica 3 novembre. Ce l'hanno fatta, malgrado le difficoltà di cui parlavamo due settimane fa. L'attesa era grande e la Sala Petrassi messa a disposizione da Musica per Roma perfetta per l'occasione (e piena). Ottimo il PMCE, Ensemble Contemporaneo del Parco della Musica, diretto da Marco Angius. Due omaggi: al defunto Franco Evangelisti e al vivo e vegeto Salvatore Sciarrino.

"Die Schachtel" di Evangelisti, è uno di quei pezzi in cui gli esecutori vanno avanti a forza di piripipì con il piffero, o barabang col tamburo. O tirano fuori versacci dalla bocca e sibili dal bocchino (del sax). Sperimentazione sui suoni, senz'altro, e valida per l'epoca. Oggi datata, come i nastri magnetici con rumori di traffico e conto alla rovescia di un lancio spaziale. Vere e proprie ingenuità da infatuazione futuristica. Anche l'"Aspern Suite" di Sciarrino è piena di ricerche sonore altrettanto ardite, ma molto più gustose (e più attuali). Flauti che sfiatano invece di suonare, soprani che mormorano romantiche, incongrue barcarole, tutto piano piano. Magari quaranta minuti sono un po' lunghi, però con un innocente pisolino in mezzo filano via che è un piacere. Insomma, hai voglia a criticare, è sempre roba interessante.

Rimani ancora a lungo con noi, NC!


Lunedì 4, Santa Maria Sopra Minerva, l'unica chiesa gotica di Roma, anche se poi l'hanno tutta imbellettata di un pesante make up barocco. Quarto concerto del XII Festival Internazionale di Musica Sacra. In programma "Mysterium", oratorio di Nino Rota. Potrebbe essere l'occasione per rimangiarci la sensazione che da sempre ci dà la musica "seria" di Rota: qualcosa che arriva quasi in cima alla scala, ma poi non ce la fa.

L'invito dice ingresso libero, ed ecco subito la prima mezza sòla. Ci sono ancora dei posti, ma non sono a disposizione, ci vuole un biglietto. Ma come? Qui c'è scritto ingresso libero. Si, però invece ci vuole il biglietto. Va be', rimaniamo in piedi (poi abbiamo scoperto che i banchi riservati erano per i sostenitori, per gli amici, per i monsignori, ecc.). Per fortuna in una chiesa grande come quella si può anche passeggiare, e ce n'è di belle cose da vedere.

Come Dio (siamo pur sempre a casa sua) vuole, la musica attacca. Grande orchestra del Teatro San Carlo di Napoli, nutritissimo coro, e in più le voci bianche. C'è tutto quello che serve. E bisogna dire che l'orchestra è trattata bene, così come le voci. La scrittura è sapiente, l'esecuzione ottima. Timpani, gran cassa, perfino le campane (a un certo punto fa capolino anche un sorprendente tema western, e ci è parso di intravedere Michele Lacerenza alla tromba su sfondo del Gran Canyon). Eppure, malgrado tutti i potenti mezzi a disposizione, la musica non decolla.

Comunque la nostra rimane un'impressione personale, ancora una volta confermata, ma sempre in attesa di essere smentita. "Quasi fino in cima alla scala, ma poi non ce la fa".


"Lelio swing", mostra di memorabilia di e su Lelio Luttazzi. Mercoledì 6 ai Mercati Traianei, una location che ha poco a che fare, è chiaro, con lo swing degli anni 60/70. Eppure l'abile illuminazione e la scenografia di bacheche e poster riescono a trasformare i muri rustici di quel centro commerciale di venti secoli fa in una cantina dei nostri anni giovanili. Merito di Cesare Bastelli, organizzatore (quasi) unico di tutta la faccenda. Ha curato lui l'allestimento, è andato in giro fra mercatini e collezionisti a recuperare oggetti, foto e dischi (pare che Luttazzi fosse uno che non conservava neanche un vecchio francobollo: tutto buttato, con grande disperazione di storici e biografi).

La stampa ha naturalmente parlato dell'evento. E qui, visto che siamo stati così buoni fino ad ora, lasciateci dire la nostra. Che è sulla pigrizia del cronista: una volta inventato un nome legato al personaggio, quel personaggio se lo porta addosso per l'eternità. Così Luttazzi è diventato il Giovanotto Matto, Sordi sarà per sempre l'Albertone Nazionale, poi abbiamo il Molleggiato, il Califfo e via banalizzando, mai un briciolo di fatica e fantasia per trovare qualcosa di nuovo.


L'Associazione Italiana di Psicoanalisi ha un presidente che si chiama Adolfo Pazzagli. Non aggiungiamo altro, ma ai lettori non sfuggirà il risolino che ci gorgoglia in fondo alla gola al semplice abbinamento fra ruolo e cognome. Ecco, l'abbiamo detto; adesso possiamo andare avanti.

 Sabato 9 al MACRO, Museo d'Arte Contemporanea di Roma, organizzato da Simona Argentieri e dall'AIPsi, un incontro su "Il Pregiudizio". I professori, che conoscono a menadito le vie della mente, devono essere all'oscuro di quelle della tecnologia, perché molti erano i microfoni a disposizione, ma nessuno capace di farli funzionare. E niente tecnici nei dintorni: è sabato. Drizzando le orecchie abbiamo seguito l'intervento dell'amica Simona, di grande interesse e con frequenti gustose ciliegine, come il caso citato di una sua paziente negra, che non "sapeva" di esserlo fino a che cominciò a ricevere i primi insulti razziali. E proprio vero: uno non si rende conto di chi è fino a che qualcuno dall'esterno, bene o male, glielo manifesta.

Noi, nella pausa spuntino, ancora una volta siamo stati colpiti dalla manifestazione del mistero romano: perché in una struttura bellissima, modernissima, e certo anche costosa da gestire, come il MACRO (e con pragmatica coerenza in tutti gli altri musei della città), il ristorante è scadente, male organizzato, oppure chiuso proprio di sabato (mentre il giorno di riposo dei musei è il lunedì). E il bar, dove ci siamo rifugiati, anch'esso allestito magnificamente con un bancone simile a un'astronave, è lasciato in mano a due imbranati garzoni, del tutto all'oscuro di cosa siano gestione e servizio in un locale pubblico. Nel frigo quattro tramezzini scamuffi e due pizzette in stato di rigor mortis.

Neppure quando, come in questo periodo, mancano i soldi e ci sarebbero le strutture per arrotondare un po', qualcuno ci prova. Il problema è che bisogna pensare. E, ancora peggio, lavorare.

 

 

                                        

 

 

 
Condividi e segnala Condividi e segnala - permalink - Segnala abuso
 
 

Trucchi, banchetti e piagnistei

 

  IL CAVALIER SERPENTE

   Perfidie di Stefano Torossi

   4 novembre 2013

   TRUCCHI, BANCHETTI E PIAGNISTEI

 

Funerale di Gigi Magni, martedì 29 ottobre alla Chiesa degli Artisti a Piazza del Popolo. Fuori, sotto il portico, ci si saluta nel salotto dei sopravvissuti. "Accidenti, non ci vediamo da tre funerali fa" ci ha detto un amico incontrato sul sagrato. Stranamente pochi i giovani, e anche la generazione di mezzo. Vuol forse dire che Magni non ha seminato allievi o collaboratori? Eppure non era certo una mezza figura, soprattutto per Roma e per i romani, ripetuti protagonisti dei suoi film.

Cerimonia piuttosto pittoresca, con un drappello di vecchi bersaglieri, in borghese ma con cappello piumato (forse un riferimento alla Roma del Papa Re spodestato) e moltissime dichiarazioni di amicizia, tanto è vero che è durata quasi due ore. Con forte rischio di deliqui, data l'età veneranda dei partecipanti. Molte chiome bianche, molte assenti, ma anche molte di quel bel mogano scuro così dichiaratamente fasullo.

Sul tema, nella nostra ingenua frivolezza, ci poniamo da sempre una, anzi due domande. Perché sui capelli maschili la tintura chiara degenera spesso in un rosa Barbie, e quella scura vira sul mogano da mobile coloniale (senza contare quella catramata)? E poi, come mai un uomo coi capelli tinti fa sempre un effetto tra il patetico e il grottesco, mentre una donna no? A quest'ultimo quesito, un amico parrucchiere ci ha fornito una risposta professionale che ci sembra pertinente. "Una donna tinta, dice lui, ci sembra naturale, perché i capelli colorati in cima a un volto truccato fanno parte di un insieme abituale, a volte anche armonioso, mentre la faccia vizza, pallida e senza aiuti cosmetici di un uomo vecchio, sormontata da una chioma innaturale colpisce e stupisce". Anche i commenti beffardi su un nostro noto leader girano sempre intorno ai capelli finti, al cerone, al lifting...


La stessa sera, qualcosa di tre volte sorprendente all'Oratorio del Gonfalone. Padrona di casa la Fondazione per la Musica Siemens (sì, quella Siemens lì) che festeggia il suo quarantesimo compleanno. Sorpresina: che una ditta elettrotecnica, anche se a quel livello, ci regali musica da quasi mezzo secolo (superfluo dirlo, e si capisce dal nome, la ditta non è italiana). Sorpresa: che il concerto, malgrado si annunciasse tosto (Berio, Rihm, Lutoslawski, Reimann e Britten; pianoforte e due cantanti) alla fine, per l'eccellenza degli esecutori, si sia rivelato addirittura piacevole, oltre che interessante. Sorpresona: che alla fine dell'esecuzione tutto il pubblico sia stato invitato in un sobrio sussurro a scendere per "un piccolo rinfresco" nei sotterranei dell'Oratorio, dove invece ci aspettava una cena che definire sontuosa sarebbe poco. In un antro da inquisizione, profondo ma bene illuminato e confortevole: ottimi antipastini fantasiosi, prosecco ben gelato, tondelli di polenta con melanzane, passato di ceci, arrosti di ogni genere, contorni vari, vini fermi bianchi e rossi, e alla fine una profusione di dolci. Non vorremmo essere criticati per questa lussuriosa scivolata nel peccato di gola, ma dobbiamo ammettere di essere ancora sotto nostalgia gastronomica e con un residuo di acquolina.


Messa solenne a S. Maria dell'Anima, chiesa della nazione tedesca, domenica mattina 3 novembre. Puntuali come soldatini ci presentiamo non per fede ma per arte. Il nostro amico Flavio Colusso, recentemente nominato kapellmeister, canterà, suonerà e dirigerà il coro e il gruppo strumentale di organo, cembalo, tiorba, tre tromboni e un cornetto. Orchestra e coro seguono la messa ed eseguono, intrecciando gli organici, polifonia rinascimentale.

La nostra riflessione, purtroppo obbligata, è: perché dobbiamo andare a una chiesa tedesca per sentire buona musica durante una funzione? Perché nelle chiese di casa nostra l'offerta ai fedeli si limita ai soliti tormentoni di canzoncine accompagnate dalle chitarrine delle suorine e dai chierichetti coi bonghetti? Eppure ci pare che dell'ottima musica sacra non manchi in repertorio.

 Naturalmente, siccome nella vita niente è gratis, in cambio ci siamo sorbiti un ponderoso sermone in tedesco. Del quale non abbiamo capito neanche una parola, ma intanto abbiamo potuto curiosare, notando: A, Una suora, anche lei tedesca, beatamente addormentata. B, La pulizia scrupolosa di marmi, mensole e balaustre. Neanche un grano di polvere, e cera in abbondanza. C, Una illuminazione sapiente che non abbaglia mai l'occhio. D, L'effetto comico del nome dei defunti tedeschi latinizzato. E sulle lapidi un certo numero di errori (di stampa diremmo adesso). Perché si sa, chi componeva gli epitaffi era un erudito, ma gli scalpellini, tutti analfabeti. E, Con incomprensibile simbologia, nel timpano sovrastante la tomba di Federico di Cleves due coccodrilli insidiano un delfino. F, I tre tromboni che furtivamente scompaiono a turno dietro un pilastro per sgocciolare la bava degli strumenti. (Problema costante dei suonatori di ottoni: dove scaricare la condensa, azione piuttosto antiestetica, ma ripetutamente necessaria).


Domenica sera tardi. Avremmo voluto concludere con il concerto di inaugurazione del Festival di Nuova Consonanza, ma non abbiamo lo spazio. Rimandato alla settimana prossima. Invece lo spazio c'è per due parole sulla puntata di stasera di "Sostiene Bollani". Che meraviglia di garbo, di competenza professionale, di piacevolezza. Bollani è bravo e simpatico, il direttore Lanzillotta è bravo e bello, l'orchestra è scintillante, gli arrangiamenti sontuosi; insomma, un prodotto perfetto. Se non fosse per quella mosca petulante, antipaticuccia, e fastidiosa di Caterina Guzzanti.



P.S. Pettegolezzo on line e sulla stampa: l'Auditorium di Via della Conciliazione (sala privata di proprietà ecclesiastica a Roma) ha rifiutato a Dario Fo la messa in scena di un testo di Franca Rame. Virtuosa indignazione da parte dei tartufi. A noi, al contrario, sembra lo scivolone di un vecchio citrullo (oppure un colpetto furbastro in cerca di pubblicità). Ma come, con tanti spazi laici in giro, e dopo una vita da mangiapreti va a chiedere la sala al Vaticano? Gli hanno detto di no; cosa si aspettava? I piagnistei, proprio non ci sembrano opportuni. Né dignitosi.




                                         

 

 
Condividi e segnala Condividi e segnala - permalink - Segnala abuso
 
 
 

© Italiaonline S.p.A. 2024Direzione e coordinamento di Libero Acquisition S.á r.l.P. IVA 03970540963