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Perfidie di Stefano Torossi

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Messaggi di Luglio 2015

Genio e regolatezza

Post n°341 pubblicato il 26 Luglio 2015 da torossis

                                                 IL CAVALIER SERPENTE

   Perfidie di Stefano Torossi

   27 luglio 2015

    GENIO E REGOLATEZZA


Venerdì 24, concertone di Giovanni Allevi, pianoforte solo, alla Cavea dell'Auditorium Parco della Musica a Roma.

In attesa dell'evento abbiamo pensato di piluccare qualche acino dal grappolo dei suoi pensieri, da un'intervista recente che il Maestro ha rilasciato ad Alessandro Sgritta.

Prima però vi riferiamo il titolo (non si capisce se deferente o ironico, propendiamo per la prima interpretazione) del paginone con cui Repubblica annuncia il concerto: "Allevi tra Vivaldi e Michael Jackson - Io, re di un popolo di sognatori".

Nella sua sintesi casereccia, c'è tutto il genio del marketing del nostro maestro: riferimenti culturali quanto mai suggestivi per il pubblico che conosce appena questi nomi (il primo, almeno), quindi non può fare veri confronti; ma, quello che conta di più, l'invito a entrare in un reame di favola fatto di emozioni da Baci Perugina e, appunto, riferimenti alla musica seria talmente vaghi da non spaventare neanche la sciampista più sprovveduta.

Passiamo alle citazioni dall'intervista: siamo nel paese delle fiabe, dove, naturalmente non manca un riferimento alla sua solitudine di profeta della musica, all'inconoscibilità della nostra essenza di uomini, a Papa Francesco, all'albatros che vola alto sulla terra, al mistero dell'ispirazione musicale, e finalmente alla sottile ma ferrea identità che unisce l'artista al suo strumento.

Meravigliosa aria fritta che inevitabilmente piace a chi ci capisce poco.

"mi trovavo a Kanazawa in Giappone e avrei dovuto visitare l'emporio delle sete con le autorità locali, invece non ho potuto farlo, ma è come se lo avessi fatto perché le ho quasi sognate ad occhi aperti e ho immaginato anche delle storie passionali in quelle sete; improvvisamente è arrivata nella mia mente la musica di "Yuzen", un tormento continuo che poi cerca di sfociare nell'estasi, la ricerca di una luce che poi improvvisamente arriva, lì ho preso il foglio pentagrammato, ho cominciato a scrivere le prime note dal letto della camera d'albergo... e ho capito che il tema centrale di questo lavoro sarebbe stato l'amore..."  

"dovremmo fare un passo indietro e umilmente riconoscerci "misteriosi", esseri umani inconoscibili (come ha detto Papa Francesco) e non categorizzabili e portatori di verità assolute..."

"io penso che noi tutti siamo degli albatros, ci sentiamo impacciati, lo siamo come esseri umani perché nel mondo di quaggiù non siamo abituati, noi siamo destinati a volare altissimo, ho voluto cogliere questo aspetto e lanciare questo messaggio di amore verso se stessi, di accettazione..."

"ancora una volta mi ritrovo a dire delle cose prima di altri..."

"mi sono trovato in una sala piena di pianoforti gran coda, però ognuno ha un'anima differente, un timbro particolare, fino a che lui ha scelto me, è stato quel pianoforte che mi ha chiamato..."


A questo punto, consumato il Negroni di ordinanza, scendiamo nella Cavea. La serata è tiepida, il cielo limpido, ogni tanto si intravvedono le luci di un aereo che passa alto e si sente il suo rombo lontano (che fa molto vacanza romantica). Il pubblico è numeroso: principalmente ragazze frementi e giovani coppie.

Per prima cosa, e per onestà intellettuale, dobbiamo riconoscere che il personaggio è simpatico. Molto. Col passare degli anni ha raffinato, asciugato e spettacolarizzato il suo canovaccio di scena.

Entra dalle quinte con una corsetta adolescenziale (mentre, ci dicono, e già vicino ai cinquanta), maglietta, jeans, scarpe da ginnastica e immensa parrucca di ricci.

Si ferma accanto al pianoforte, afferra con manine esitanti il microfono e dice, anzi, mormora un breve annuncio del brano che eseguirà (che sarà breve anch'esso). Spesso, dobbiamo riconoscerlo, l'annuncio è spiritoso; altrettanto spesso farcito di amore, vi voglio bene, stringervi a me, siete il mio grande abbraccio e simili ovvietà new age, di sicuro effetto per il pubblico, che applaude amorosamente.

E dopo l'esecuzione di ogni brano, che termina sempre con distacco veloce delle mani dalla tastiera e relativo svolazzo artistico in aria, lui reagisce con tremolante timidezza, con lancio di baci e manine protese verso la platea, come se ogni volta fosse sorpreso e nello stesso tempo infinitamente grato degli applausi.

Naturalmente in programma c'è "Ti scrivo" dedicato a un amico sacerdote morto in un incidente d'auto, o il tema ispiratogli dal "Bacio" di Klimt, riferimenti comprensibilissimi dai più. Poi però scherza sul titolo di un suo brano virtuosistico che si intitola, appunto, "Scherzo" e che, dice, non è uno scherzo suonarlo. Spiritoso.


Ci dispiace dover dire che neanche per un momento la sua musica ci ha emozionati, tanto meno interessati. Abbiamo visto dall'inizio alla fine uno studente del terz'anno di pianoforte che suonava passabilmente temini banali. Però...

Però, siccome il successo non nasce dal niente, dobbiamo fermarci un momento, sbarazzarci del nostro fastidioso snobismo e della nostra supponenza di musicisti navigati e riconoscere che Giovanni Allevi è un genio.

Proprio nel suo caso possiamo, anzi dobbiamo parlare di genio e regolatezza: non c'è un pensierino, un colore di voce, uno svolazzo delle dita sulla tastiera che non sia (forse naturalmente, forse calcolatamente, non lo sappiamo e non ci interessa) perfettamente regolato, perfettamente calibrato per colpire al cuore la signorina della quarta fila, perfettamente confezionato per stregare il ragioniere frustrato dall'Iva e convincerlo che in realtà anche lui può essere un albatros che vola altissimo fra le nubi.

Chapeau! O, per dirla alla casereccia: tanto di cappello, Maestro!



                                         

 



 

 
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Insalatina estiva

Post n°340 pubblicato il 20 Luglio 2015 da torossis

 

  IL CAVALIER SERPENTE

  Perfidie di Stefano Torossi

  20 luglio 2015

 INSALATINA ESTIVA


Fa troppo caldo per i cibi sostanziosi; questa settimana vi offriamo solo un'insalatina estiva, di quelle con un pomodorino, un cetriolino, una fogliolina di lattuga...


Una serata al buio

A essere superstiziosi avremmo dovuto richiamare in anticipo l'attenzione degli organizzatori sulla data dell'evento: venerdì 17.

Ecco di che si tratta.

Sulla più bella terrazza di Roma (in proposito ci siamo dilungati poco più di un mese fa, sbavando dall'invidia), quella della Fondazione Scelsi, con vista sul Foro Romano e sul Palatino, era in programma una serata musicale: "Le danze di Shiva".

Complice la notte calda, la piacevolezza del posto e la curiosità sul programma, ci siamo presentati in più di quanti avremmo dovuto. Appollaiati su cornicioni, scalette, addirittura vasi da fiori. Noi privilegiati sul tetto del lucernario che dava sul pozzo dell'ascensore (di cui abbiamo temuto il crollo tutta la serata).

L'inizio serata è stato animato da due giovani tecnici totalmente inefficienti, che sgambettavano fra le sedie degli spettatori, mentre gli artisti aspettavano di cominciare, cercando di collegare spine, spinotti, cavi a un proiettore. E non ci sono riusciti. Poi hanno tentato di accendere un precario faretto per illuminare la scena. E non ci sono riusciti. Evviva la professionalità romana. Una piccola prova prima, no, eh?

Lo spettacolo vero e proprio è cominciato con una danza del ballerino Raghunath Manet. O meglio, è quello a cui presumiamo di aver assistito, perché il poveruomo, scurissimo di carnagione, con indumenti altrettanto scuri, al buio risultava completamente invisibile. I suoi movimenti ce li hanno comunicati solo uno strusciare di piedi nudi e numerosi sospiri, alternati a emissioni sonore, in hindi, supponiamo.

Siamo sicuri, per averlo sentito, ma rigorosamente senza vederlo, che in seguito ha anche suonato la veena, e qualche percussione. Sempre nella più profonda oscurità. Insomma, come ai bei tempi andati, tutti riuniti ad ascoltare (al buio contro le zanzare) la radio in terrazza.

Poi per fortuna c'erano gli altri: flauto, Ceccomori; cello, de Saram; Brizi, tastiere e Reis, voce. Loro, fortunati, avevano una lucina sul leggio, e noi, altrettanto fortunati, li abbiamo visti.

Hanno suonato e vocalizzato a lungo, alternando melopee in latino a stridori del miglior contemporary sound.

Suggestivo; talvolta piacevole, talvolta meno, comunque interessante.

A chiudere, buon prosecco fresco.


Accessori da sera (per musicisti)

Ultimamente siamo stati a parecchi concerti all'aperto e nel nostro ancora latente (secondo gli amici), manifesto (secondo i nemici) squilibrio mentale abbiamo immaginato una linea di design per gli accessori professionali indispensabili in queste occasioni.

Spesso c'è una brezza che fa volare via la musica dal leggio. E si assiste al patetico fai da te dei suonatori che armeggiano con orride mollette da bucato colorate, naturali, di legno, di plastica, per bloccare i fogli.

Basta con questa attrezzatura da massaie. Fidanzate, attivatevi! Quello che ci vuole è una pratica confezione di mezza dozzina di mollette in elegante bachelite o altro materiale nero lucido, con la molla argentata o dorata. O magari tempestata di strass (solo per il repertorio vintage).

E le squallide bottigliette di acqua minerale che infestano i palcoscenici ai piedi dei maestri? Uniamo l'utile al dilettevole. Ai musicisti bisogna fornire quei contenitori termos che si trovano senza difficoltà dai migliori casalinghi; i quali non solo mantengono fresco il liquido, ma nascondono le etichette e i coloracci della bottiglia. Naturalmente anche loro rigorosamente neri. Con bordino come sopra (argento, oro o strass).

Per non parlare dei panni di mille colori con cui i più calorosi si asciugano il sudore, sacrosanto ma antiestetico, delle esecuzioni. Anche quelli, da sostituire con eleganti salviette di fiandra o di spugna finissima, comunque scure.

Sull'abbigliamento casual e generalmente antiestetico (per il cattivo gusto, e spesso anche per l'inadeguatezza al fisico di chi lo indossa) ci siamo già espressi in passato, e temiamo che non ci sia niente da fare. Evidentemente nella mente dei performers il look casual (spesso anche dirty) è sinonimo di modernità e disinvoltura talentuosa. Insomma: jazz, uguale musica del diavolo. E il rock? Peggio. Inutile forse tirare fuori le foto degli americano, da Ellington a Sinatra, che, anche se in smoking, ce li ricordiamo piuttosto bravi, vivaci e per niente antiquati. Erano altri tempi, d'accordo, ma perché cambiare?


I panzerini in marcia

Sonno estivo più leggero e finestre aperte. All'alba o nel mezzo della notte più profonda sentiamo sui sampietrini sotto casa lo sferragliare delle rumorosissime ruote dei trolley. Una colonna di panzerini in marcia verso un bus, un taxi, un pulmino che porterà a ore impossibili i loro proprietari su un volo economico con rotta verso terre esotiche.

Povera gente che parte per le vacanze e comincia le settimane di passione (altro che relax) con questa massacrante odissea.

Noi ci giriamo dall'altra parte. E non li invidiamo.



                                         



 

 
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Couture Sculpture

Post n°339 pubblicato il 13 Luglio 2015 da torossis

 

  IL CAVALIER SERPENTE

   Perfidie di Stefano Torossi

  13 luglio 2015

   COUTURE SCULPTURE


Azzedine Alaïa, poverino, sarà alto un metro e quaranta, ma quando prende forbici e filo, diventa un gigante. E', come tutti sanno (tranne noi), un famosissimo stilista tunisino, naturalmente trasferitosi, appena gli è riuscito, a Parigi, anche perché a Tunisi, con tutto il rispetto, non crediamo che si possa fare molta strada nella moda.

Bene, il 10 luglio siamo invitati alla Galleria Borghese per il mondanissimo cocktail di presentazione della sua collezione "Couture/Sculpture", Moda/Scultura.

Titolo quanto mai azzeccato perché i suoi abiti, davvero bellissimi, hanno la stessa possibilità di essere indossati da una normale femmina umana che il Cavalier Serpente ha di essere scambiato per il Discobolo di Mirone.

Pura magica perfezione. E' un po' il rapporto che aveva con la realtà la più famosa delle sue clienti: Grace Jones, della quale tutto si poteva dire ma non che fosse umana; un felino nero, elegantissimo e irreale.

Eppure fra il pubblico giravano un paio di modelle (robot non umani?) magicamente e perfettamente infilate in questi capi. I quali, e qui bisogna dare ragione al titolo della collezione, si armonizzavano perfettamente con le sculture (vere) dell'altra collezione: quella di Casa Borghese.

L'evento è risultato un cocktail fatto di due ingredienti. Gli elementi non umani: i vestiti, i quadri e le statue romane e barocche accumulati nelle sale con la frenesia di collezionisti bulimici, come evidentemente erano stati i vari membri della famiglia Borghese (e bisogna dire che reggere il confronto con le madonne di Caravaggio o le Proserpine di Bernini non è davvero facile, eppure gli abiti non sfiguravano, anzi). E poi, scendendo invece un po' più verso terra, tutto il pittoresco sciame gay della moda, rappresentanti della nobiltà romana (coté frivolo), e naturalmente un agguerrito battaglione di cocorite strizzate nei loro modelli Alaïa opportunamente slargati qua e là, e irrimediabilmente invereconde per le bocche canottate, gli occhi fessurati, gli zigomi antigravità.

Pericolosa offerta, su e giù per lo scalone d'ingresso, di fragole e champagne, una mistura esplosiva in un pomeriggio a quaranta gradi.

Ma siamo sopravvissuti e, anzi, abbiamo approfittato della circostanza per ripassarci gli infiniti capolavori radunati sui piedistalli e appesi alle pareti. Il risultato, come dicevamo prima, di secoli di immutata smania di collezionismo, senza dubbio corroborata dal fatto che i nobili Borghese avevano un sacco di terreni in cui scavare e recuperare, un sacco di quattrini per comprare i pezzi migliori, e di sicuro la possibilità di fare le opportune pressioni per costringere graziosamente qualunque poveraccio che non fosse un papa, un principe o un cardinale a mollare un osso appetitoso capitatogli per caso sotto il piccone.

Nientedimeno che alla Sala Casella della Filarmonica Romana l'amico pianista e compositore Antonio Di Pofi, insieme al Quartetto d'archi Pessoa, ci ha invitati sabato 11 a un programma di rivisitazione dei brani più famosi dei Beatles, da lui arrangiati per la succitata inconsueta formazione.

Anche in questa occasione abbiamo verificato per l'ennesima volta un fatto: i loro temi sono talmente belli che funzionano in qualsiasi salsa. In questo caso poi, la salsa era particolarmente delicata e usata con parsimonia, quindi nessuno stupore.

La sala è bassa e stretta. Saggiamente il quartetto è sceso dal palco e si è piazzato insieme al pianoforte contro la parete lunga creando un informale salotto con tutto il pubblico seduto intorno. Una disposizione da musica da camera a corte, diremmo, con il maestro concertatore che garbatamente presentava, anche con qualche inedito aneddoto, ognuno dei notissimi brani.

Pubblico stranamente misto. In gran parte noi dell'epoca, ex figli dei fiori settantenni o giù di lì; e un buon numero di ragazzi e bambini che conoscevano perfettamente il repertorio, tanto è vero che alla fine hanno cantato intonati e quadrati "Hey Jude".

Bella serata e buona esecuzione. Così potrebbe finire la nostra recensione.

Invece no. Perché noi c'eravamo, all'epoca, e nulla meglio della musica riesce a far rivivere i ricordi. Belli, malinconici ricordi. Ricordi di un'epoca che, ovvio, straovvio, non ritorna.

Che cosa avevamo di diverso cinquant'anni fa? Beh, intanto cinquant'anni (di meno). Poi avevamo i Beatles che allora erano una novità, non un capitolo di storia della musica come adesso. Avevamo tanto altro: ancora poche delusioni, il tempo per fare programmi a lungo termine, un futuro sul quale proiettare i nostri ideali; avevamo ottima salute, potevamo andare a dormire alle cinque del mattino dopo un pacchetto di sigarette e tre o quattro whisky e svegliarci come boccioli di rosa. Portavamo vestiti variopinti e frequentavamo ragazze simpatiche.

E i capelli? Lunghi, tanti. Ricrescevano furiosamente insieme a baffi e barbe.

Beh, non lamentiamoci troppo. Siamo ancora qui, anche se con un programma esistenziale assai meno articolato. Certo, la parte divertente è diventata minoritaria, ma siamo ancora qui.

D'altra parte l'alternativa non ci sembra un gran che allettante.



                                          



 

 
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Il ruspante

Post n°338 pubblicato il 06 Luglio 2015 da torossis

 

  IL CAVALIER SERPENTE

  Perfidie di Stefano Torossi

6 luglio 2015

 IL RUSPANTE


Vostro Onore, lo confessiamo: al concerto ci siamo andati con in testa i peggiori preconcetti contro questo signore, che sappiamo padrone della voce, ma parlata, non cantata. In più il tipo si presenta un po' troppo ruspante. Un sapore forte per il nostro inguaribile snobismo. Ecco come è andata.

La lochèscion (ruspante, abbiamo detto, no?) è gradevole: uno dei grandi cortili dell'ex mattatoio, di cui molto abbiamo parlato ultimamente, fresco e circondato da buoni stand di cibo e bevande. L'ora, ancora meglio: fra le nove e mezza e le dieci; si parcheggia con calma. Il programma di "Io vendo le emozioni" annuncia canzoni originali, qualche cover e un ospite: Enrico Ruggeri.

Dunque, per onestà diciamo subito che siamo rimasti stupiti dalla qualità del gruppo musicale, che forse un po' ci aspettavamo, e dalla invece inaspettata musicalità del protagonista: quadratura impeccabile, padronanza degli attacchi e, naturalmente (è la sua arma professionale) della voce. Per questo capo di imputazione chiediamo lo stralcio.

La quale voce, però, probabilmente gli da troppa sicurezza, e a volte, nel registro basso che forse vorrebbe ricordare un Barry White de noantri, esce piuttosto come un rutto (d'accordo, intonato).

Discutibile è invece la presenza in scena. Forse per scarsa esperienza, timidezza, o magari per una furbesca scelta di rappresentare il personaggio semplice e sprovveduto, si abbandona a eccessi di fisicità, che se lo avesse visto Sinatra (o, senza andare troppo lontano, anche Dorelli...) Beve acqua a garganella, si agita, parla con i tecnici, si toglie e rimette gli occhiali, sfoglia il suo brogliaccio, suda e si asciuga continuamente faccia, collo, nuca, testa con un enorme accappatoio (bianco, quindi visibilissimo).

Forse per far simpatia al pubblico, in coppia con la moglie, che lo chiama Frenk, si butta in una cover casareccia del mitico "Parole parole" (Mina e Alberto Lupo). Seguita da una melensa canzone da papà amoroso dedicata al figlioletto che dovrebbe essere fra il pubblico e che lui saluta alla voce (applausi frenetici dalle mamme presenti). Poi una conversazione bamboleggiante con la chitarra elettrica che gli fa il verso. E per chiudere, un omaggio con imitazione vocale alla buonanima di Manfredi in "Tanto pe' cantà".

Per quest'altra imputazione chiediamo un periodo di rieducazione forzata.

Un peccato, Vostro Onore, perché in fondo, per non essere un professionista del ramo, non è neanche male, e i suoi forse sconsiderati, certo audaci tentativi di cantare Jannacci, Gaber o De Gregori meritano, se non proprio il nostro sostegno, almeno l'indulgenza della corte.

Per noi il concerto finisce quando Francesco Pannofino (sì, è proprio lui), dopo aver invitato sul palco Ruggeri, ci annuncia che si assenterà il tempo necessario per cambiarsi la camicia, che "è proprio zuppa".

Anche noi ci assentiamo. Definitivamente.


Apprendiamo con vivo stupore dalla stampa:

che nei prossimi giorni, siccome farà molto caldo, tutti, ma in particolar modo anziani e bambini, dovranno mangiare leggero, bere molta acqua e poco vino, dovranno stare possibilmente in ambienti freschi (suggeriti i supermercati, ignorate le chiese), non sedersi al sole per ore e soprattutto vestirsi leggeri.

Una bella delusione per chi aveva in programma di mettersi un loden pesante e scendere alla trattoria tirolese dietro l'angolo per un piattone di polenta e gulasch e un gagliardo fiasco di Chianti. 

Certo, senza i giornali non sapremmo davvero come cavarcela.


Apprendiamo, stavolta con vivo piacere, sempre dalla stampa:

che il Teatro dell'Opera ha chiuso il 2014 con un attivo di quasi 5.000 (cinquemila) Euro rispetto a un passivo dell'anno precedente di dodici milioni. Naturalmente la cifra fa ridere, ma suggerisce un pensiero: non è vero che certi enti sono sempre pozzi dove sparisce il denaro pubblico. Dipende dai cialtroni a cui sono affidati, che non sanno fare il loro presunto mestiere di amministratori.

Insomma, come sosteniamo da sempre, conta l'uomo e non la struttura. Il mago è, diciamolo perché lo merita, il sovrintendente Fuortes, che già aveva fatto veri miracoli al Parco della Musica.


Una Top Ten gastromusicale:

Avere una trattoria con i tavoli all'aperto sotto le finestre di casa è un dubbio piacere ma una indubbia comodità. E in più ci offre la possibilità di compilare, basandoci su una media di almeno tre esecuzioni a pranzo e molte di più la sera, e con formazioni diverse: clarinetto solista, sax, chitarra e canto, trio di fisarmoniche, eccetera, una affidabilissima top ten dei brani di successo presso i posteggiatori romani.

Ecco la hit parade. 1°: "My way", bel tema di Paul Anka, che vorremmo aver scritto noi, ma diventatoci odioso per l'indigestione. 2° e 3°: gli inevitabili "Torna a Sorrento" e "O sole mio" (siamo in Italia e i turisti li pretendono). 4°: "Quando quando" (ci scuserà l'amico Tony Renis se ogni volta che lo sentiamo gli mandiamo un accidente). 5°: "Il padrino" (Nino Rota, pace all'anima sua). Sorprendentemente "Arrivederci Roma" sta in coda insieme agli altri.

E non ci si può sbagliare a fare i conti, perché ogni posteggiatore esegue i brani secondo la sua scaletta fissa, con gli errori, sempre gli stessi, ripetuti anche loro con implacabile regolarità e protervia.


                                           

 

 
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