Proxima

una goccia d'acqua fresca tra le sinapsi in un torrido pomeriggio d'estate


Quando la gente corre attorno al pozzo che scappa, le nuvole inquiete mandano barriti modulati. Sullo sfondo gli alberi abbarbicati in un abbraccio flettono i rami e i marenghi d’oro appesi mandano baci al sole della notte. Ogni orma che rende rauco il respiro delle scommesse porta incauti segni di giovinezza intenti a spendere spiccioli come se avessero valore di diamanti. Nel versante oscuro dello studio l’insegnante appende camicie colorate di stanchezza, non ha il fiato che profuma come il pergolato della sua fantasia. Tutta la notte si maschera con giornali abbandonati da giraffe svettanti sui grattacieli della ipocrisia e illumina di buio generoso i manifesti galleggianti nell’umidità della paura. Ogni giorno che passa un desiderio cessa di esistere e un sogno spegne con il soffio dell’inerzia tutte le candele della chiesa. Ma assieme alla sua ombra anche le gambe di una sedia mandano lampi di assuefazione al registro dei voti; ogni classe osserva i resti della sua anima vagare sui nudi soffitti della lotteria dell’esistenza che abdica. Il pensiero è libero di correre come un pazzo nei campi minati della sua infermità e trascina con sé le ginocchia ossute della costrizione. Ogni contenuto allunga le sue mani senza dita e dal buco della serratura lo scrutano sorridenti i guardiani delle ville e gli angiomi della società. Le nuvole in cielo passano lasciando un’ombra leggera sui tetti che hanno accolto come amanti le piogge della storia ed ora osservano il pigro crepuscolo del sole trafitto dalle antenne parlanti. Ma chi è mai l’oscuro dominatore dei giorni? Forse nessuno sente la sete che invecchia senz’acqua e nessuno avverte la gioia di essersi perso nei meandri dell’aria condizionata. E i sentimenti non rotolano più nelle aie come chicchi di grano fatti schizzare dal becco di variopinte galline. Non c’è ombra di palingenesi e la passiflora si stinge senza vergogna nell’olocausto del conscio. La civiltà è un cantiere perenne che costruisce noduli degenerativi e consegna loro l’ordine della giarrettiera. Nel frattempo la nostra corsa verso l’inesorabile destra continua senza soste. Quando l’uomo decise di pensare puntò senza esitazione verso quella direzione; del resto come in una strada a senso unico non aveva altre alternative. Se prendiamo la scala degli elementi vi troviamo una speculare evoluzione umana. All’inizio il primo uomo, solo, era un essere incompleto e instabile come il protone di un atomo di idrogeno rimasto senza elettrone. Quando questi arrivò fu accolto amorevolmente ma messo un po’ discosto a girare attorno al principale, padrone e schiavo del suo livello di destinazione e competenza energetica. Nella evoluzione da una struttura semplice ad una progressivamente più complessa, si ripercorre in crescendo tutta la scala degli elementi. Il numero dei livelli energetici aumenta come la loro distanza dal centro, aumenta anche il loro diametro, e di conseguenza la ipotetica capienza. A bilanciare la situazione il nucleo centrale, che deve conservare intatto il peso e la forza della posizione, aggiunge postazioni proprie in modo che l’equilibrio complessivo del sistema rimanga inalterato. In questo modo si perpetua lo statu quo ante, che vede sempre il centro elitario, che si rinnova quasi per cooptazione, racchiuso come in un fortino e all’esterno cerchi degradanti, sempre più lontani e più grandi, perennemente in lotta per restare nel sistema che essi stessi sostengono con crescente fatica, ma che rimangono complessivamente ai margini di ogni decisione . La cosa che distingue i cerchi fra loro è la capacità economica migliore per quelli verso il centro e ovviamente decrescente per quelli orientati verso l’esterno. In realtà sono molti gli elementi di distinzione ma quando esiste quello economico è assolutamente inutile parlare degli altri che sono tutti derivati e, contestualmente , proprio ad esso, alla sua sopravvivenza e superiorità, funzionali. Tutto gioca a favore del ricco che facilmente troverà nella sua ricchezza un elemento di potere. Siccome poi è inevitabile che come esiste una base che sostiene esiste di conseguenza un vertice, su questo vertice si troverà sempre e comunque qualcuno. In una società anche molto complessa esiste una base sola ma la parte superiore avrà sicuramente una serie di rilievi che sono a loro volta base e sostegno di proprie elevazioni. Ogni elevazione culmina con un vertice. Accanto alla ricchezza e potere esiste anche il potere del governo che ovviamente non poggia in modo diretto sull’intera base, ma in modo concreto si avvale di quella che ha consentito la sua esistenza e di conseguenza la facoltà di estendere il comando su tutti. Tutto il nostro pianeta è un magnifico esempio visivo, una trasposizione completa anche degli aspetti cromatici e grafici, qualitativi e quantitativi della configurazione sociale ed economica della civiltà terrestre. Il globo terracqueo è di una incantevole semplicità interpretativa. Gli oceani coprono i due terzi della Terra, sotto di loro la maggioranza della gente vive senza contatti, senza interazione con la base viva della crosta terrestre emersa. Il mare li copre per nasconderne quasi l’esistenza, più ancora che fungere da barriera divisoria. Sono i paria, gli iloti, in genere i nessuno. Vivono anch’essi sulla crosta terrestre ma quella che già è sommersa e oltre le piattaforme continentali degrada fino agli abissi sottomarini. A volte può succedere che riescano a dare sostanza alla loro disperazione e sfogo concreto a tutte le cose che hanno dovuto soffocare in sé. Come eruzioni e maremoti che tentano di giungere alla superficie e l’unica arma che posseggano è il numero e la forza della disperazione.