Creato da ilrimino il 19/10/2006

Rimini si racconta

Notizie da una città

 

 

Guido Nozzoli, così salvò San Marino dal bombardamento alleato

Post n°31 pubblicato il 25 Dicembre 2021 da ilrimino

Guido Nozzoli,così salvò San Marino dal bombardamento alleatoAnni Trenta, favolosi e tragici [*]La guida turistica di Rimini curata da Luigi Gravina esce nel 1933, ultimo dei quattro anni in cui Pietro Palloni (1876-1956) è podestà, e mentre si sta realizzando (1932-35) il maestoso lungomare dal porto a piazza Tripoli. Palloni l'ha voluto per competere con la «passeggiata degli Inglesi» a Nizza. Gravina elogia «gli splendori del lido» introducendo i lettori alla vita della Marina, che per «comodità dei forestieri» precede la descrizione della città.Il primo stabilimento balneare di Rimini è inaugurato nel 1843. Nel 1868 la sua gestione passa al Comune (fino al 1904). Lo scarso numero di frequentatori per mancanza di infrastrutture alberghiere e d'intrattenimento, non riesce a coprire le spese. Nel 1873 apre il Kursaal: «il primo di tutta Italia», lo definisce il celebre igienista Paolo Mantegazza che ne è direttore. Nel 1876 nasce l'Idroterapico. Sarà demolito nel 1929. Nel 1878 il sindaco conte Ruggero Baldini inutilmente cerca di convincere alcuni investitori milanesi ad accettare la gestione privata dello stabilimento balneare. Baldini non ha fatto buoni affari con il turismo, ha dovuto vendere all'asta anche la casa natale. Dal 1885 ai nobili ed ai ricchi borghesi il Comune inizia a cedere gratuitamente od a basso prezzo, appezzamenti e tratti di spiaggia acquistati dallo Stato. Nel 1908 apre il Grand Hotel. Il Comune lo acquista nel 1931.Il 16 agosto 1916 il terremoto provoca gravi danni alla città, per cui sono demoliti 615 fabbricati. Una sventura peggiore al foglio cattolico «L'Ausa» appare la «Società dei bagni». Fallita nel 1912, essa ritorna nel 1926 in gestione al Municipio dopo oltre quattro anni di trattative. Dal 1917 la spiaggia, da Riccione a Bellaria, è data in concessione al Comune. Nel 1921 l'amministrazione di Rimini ha debiti per 17 milioni di lire con seri ed onerosi problemi sociali da risolvere, e poco credito presso le banche. Il Comune ha creato la nuova industria turistica, i privati si sono dedicati all'edilizia. Le perdite sono state municipalizzate e le rendite promosse. Molti contadini scendono dalle campagne al mare, attirati dalla «monocultura balneare» che trionfa nel Novecento, come Giorgio Conti ha spiegato in pagine fondamentali per la storia della città. Dal 1929 si vola a Milano. Nel 1932 è inaugurata la ferrovia per San Marino. Il duce ha insignito Rimini d'una etichetta rimasta celebre: «Scarto delle Marche e rifiuto della Romagna».La Rimini tra le due guerre mondiali, ha scritto Guido Nozzoli, era una cittadina provinciale in cui «l'unica opera nuova che mutasse non sgradevolmente la sua fisionomia fu il lungomare 'di Palloni'. [...] Sembrava tutto nuovo, ed erano le ultime frange dell'800».Nel 1930 Rimini ospita 48.315 turisti. Nel 1934 sono 66.231 (+37%). Gli stranieri raddoppiano da 1.561 a 3.402. Nel «Corriere del Mare» del Ferragosto 1930, Valfredo Montanari (capo ufficio dell'Azienda di Soggiorno) scrive: «... abbiamo vissuto momenti di aspirazioni infinite. [...] La valorizzazione industriale della Riviera Riminese non è impresa di facile compimento». Per il ferragosto del 1936, quello delle picconate di Mussolini per l'isolamento dell'arco d'Augusto, al Kursaal si organizza il primo festival della canzone italiana. «Il vero successo si ottenne l'anno successivo», racconta nel 1962 Valfredo Montanari a Gianni Bezzi de «il Resto del Carlino»: «Il 5 agosto 1937 cinquemila persone affollarono il parco del Kursaal» che non era soltanto «il più raffinato edificio della città» ma anche uno dei 'personaggi' che «diedero la loro impronta, la loro voce, il loro spirito alla storia di una marina che accolse gente di ogni Paese».Alla fine dell'agosto 1939 il cinegiornale Luce n. 1571 presenta la «gaia, spensierata, salubre vita balneare di grandi e piccini» sulla nostra spiaggia. Dal primo luglio la filovia Rimini-Riccione ha sostituito la tramvia elettrica del 1921. A Miramare fa scalo la linea aerea Praga-Roma.Sabato 2 settembre 1939 «il Popolo d'Italia» annuncia: «L'Italia con le armi al piede». Il resto lo sappiamo. La gente scappa dalla «città morta». Rimini è distrutta dai bombardamenti tra primo novembre 1943 e 21 settembre 1944. La Repubblica di San Marino diventa uno «sterminato rifugio», come dichiarò a Bruno Ghigi il giornalista Guido Nozzoli. Che il 19 settembre 1944, mentre si combatte per la presa di Borgo Maggiore, riesce a passare le linee ad Acquaviva giocando il cane di famiglia, Garbì. Deve contattare ufficiali dell'Ottava Armata che stanno preparando la "seconda Cassino". Si consegna loro prigioniero e li informa della «drammatica situazione dei civili rintanati nelle gallerie». Il comando inglese rinuncia così «al bombardamento di spianamento di San Marino programmato prima». Il Titano è salvo con gli oltre centomila rifugiati italiani. Nozzoli, allora sottotenente del Regio Esercito, scrive in un documento ufficiale (edito da Liliano Faenza nel 1994): «Assicurai l'assoluta assenza di batterie tedesche nel perimetro della città».La guida di Luigi Gravina si apre con tre brevi citazioni. Palloni ammonisce: Rimini non deve rivolgersi indietro ma «guardare al futuro». Ci sono versi bucolici del medico concittadino Domenico Bilancioni (1841-1884). Lo storico Giovanni Maioli definisce la città «antica e moderna, di sogno e di vita».Bilancioni, ex garibaldino e carducciano in poesia, fu tra i ventotto dirigenti repubblicani arrestati il 2 agosto 1874 a Rimini, sul colle di Covignano, nella villa dell'industriale Ercole Ruffi. Del gruppo faceva parte l'anarchico Domenico Francolini (1850-1926), marito di Costanza Lettimi e legato da fraterna amicizia a Giovanni Pascoli.Il riminese Giovanni Maioli (1893-1961) diresse a Bologna il Museo del Risorgimento. A questo periodo storico egli ha dedicato centinaia di articoli e saggi, recando «il contributo di fonti ignorate o malnote, esaminate ed approfondite», come osserva Antonio Mambelli nell'orazione pronunciata a Rimini il 2 giugno 1962 durante il XIII convegno degli Studi Romagnoli.[*] Questo testo è la presentazione alla ristampa anastatica (ed. Bruno Ghigi, Rimini 2008) della guida di Rimini di Luigi Gravina apparsa nel 1933.

 
 
 

Guido Nozzoli salvò San Marino dalle bombe alleate

Post n°30 pubblicato il 25 Dicembre 2021 da ilrimino

Guido Nozzoli,
così salvò San Marino dal bombardamento alleato
Anni Trenta, favolosi e tragici [*]
La guida turistica di Rimini curata da Luigi Gravina esce nel 1933, ultimo dei quattro anni in cui Pietro Palloni (1876-1956) è podestà, e mentre si sta realizzando (1932-35) il maestoso lungomare dal porto a piazza Tripoli. Palloni l'ha voluto per competere con la «passeggiata degli Inglesi» a Nizza. Gravina elogia «gli splendori del lido» introducendo i lettori alla vita della Marina, che per «comodità dei forestieri» precede la descrizione della città.
Il primo stabilimento balneare di Rimini è inaugurato nel 1843. Nel 1868 la sua gestione passa al Comune (fino al 1904). Lo scarso numero di frequentatori per mancanza di infrastrutture alberghiere e d'intrattenimento, non riesce a coprire le spese. Nel 1873 apre il Kursaal: «il primo di tutta Italia», lo definisce il celebre igienista Paolo Mantegazza che ne è direttore. Nel 1876 nasce l'Idroterapico. Sarà demolito nel 1929. Nel 1878 il sindaco conte Ruggero Baldini inutilmente cerca di convincere alcuni investitori milanesi ad accettare la gestione privata dello stabilimento balneare. Baldini non ha fatto buoni affari con il turismo, ha dovuto vendere all'asta anche la casa natale. Dal 1885 ai nobili ed ai ricchi borghesi il Comune inizia a cedere gratuitamente od a basso prezzo, appezzamenti e tratti di spiaggia acquistati dallo Stato. Nel 1908 apre il Grand Hotel. Il Comune lo acquista nel 1931.
Il 16 agosto 1916 il terremoto provoca gravi danni alla città, per cui sono demoliti 615 fabbricati. Una sventura peggiore al foglio cattolico «L'Ausa» appare la «Società dei bagni». Fallita nel 1912, essa ritorna nel 1926 in gestione al Municipio dopo oltre quattro anni di trattative. Dal 1917 la spiaggia, da Riccione a Bellaria, è data in concessione al Comune. Nel 1921 l'amministrazione di Rimini ha debiti per 17 milioni di lire con seri ed onerosi problemi sociali da risolvere, e poco credito presso le banche. Il Comune ha creato la nuova industria turistica, i privati si sono dedicati all'edilizia. Le perdite sono state municipalizzate e le rendite promosse. Molti contadini scendono dalle campagne al mare, attirati dalla «monocultura balneare» che trionfa nel Novecento, come Giorgio Conti ha spiegato in pagine fondamentali per la storia della città. Dal 1929 si vola a Milano. Nel 1932 è inaugurata la ferrovia per San Marino. Il duce ha insignito Rimini d'una etichetta rimasta celebre: «Scarto delle Marche e rifiuto della Romagna».
La Rimini tra le due guerre mondiali, ha scritto Guido Nozzoli, era una cittadina provinciale in cui «l'unica opera nuova che mutasse non sgradevolmente la sua fisionomia fu il lungomare 'di Palloni'. [...] Sembrava tutto nuovo, ed erano le ultime frange dell'800».
Nel 1930 Rimini ospita 48.315 turisti. Nel 1934 sono 66.231 (+37%). Gli stranieri raddoppiano da 1.561 a 3.402. Nel «Corriere del Mare» del Ferragosto 1930, Valfredo Montanari (capo ufficio dell'Azienda di Soggiorno) scrive: «... abbiamo vissuto momenti di aspirazioni infinite. [...] La valorizzazione industriale della Riviera Riminese non è impresa di facile compimento». Per il ferragosto del 1936, quello delle picconate di Mussolini per l'isolamento dell'arco d'Augusto, al Kursaal si organizza il primo festival della canzone italiana. «Il vero successo si ottenne l'anno successivo», racconta nel 1962 Valfredo Montanari a Gianni Bezzi de «il Resto del Carlino»: «Il 5 agosto 1937 cinquemila persone affollarono il parco del Kursaal» che non era soltanto «il più raffinato edificio della città» ma anche uno dei 'personaggi' che «diedero la loro impronta, la loro voce, il loro spirito alla storia di una marina che accolse gente di ogni Paese».
Alla fine dell'agosto 1939 il cinegiornale Luce n. 1571 presenta la «gaia, spensierata, salubre vita balneare di grandi e piccini» sulla nostra spiaggia. Dal primo luglio la filovia Rimini-Riccione ha sostituito la tramvia elettrica del 1921. A Miramare fa scalo la linea aerea Praga-Roma.
Sabato 2 settembre 1939 «il Popolo d'Italia» annuncia: «L'Italia con le armi al piede». Il resto lo sappiamo. La gente scappa dalla «città morta». Rimini è distrutta dai bombardamenti tra primo novembre 1943 e 21 settembre 1944. La Repubblica di San Marino diventa uno «sterminato rifugio», come dichiarò a Bruno Ghigi il giornalista Guido Nozzoli. Che il 19 settembre 1944, mentre si combatte per la presa di Borgo Maggiore, riesce a passare le linee ad Acquaviva giocando il cane di famiglia, Garbì. Deve contattare ufficiali dell'Ottava Armata che stanno preparando la "seconda Cassino". Si consegna loro prigioniero e li informa della «drammatica situazione dei civili rintanati nelle gallerie». Il comando inglese rinuncia così «al bombardamento di spianamento di San Marino programmato prima». Il Titano è salvo con gli oltre centomila rifugiati italiani. Nozzoli, allora sottotenente del Regio Esercito, scrive in un documento ufficiale (edito da Liliano Faenza nel 1994): «Assicurai l'assoluta assenza di batterie tedesche nel perimetro della città».
La guida di Luigi Gravina si apre con tre brevi citazioni. Palloni ammonisce: Rimini non deve rivolgersi indietro ma «guardare al futuro». Ci sono versi bucolici del medico concittadino Domenico Bilancioni (1841-1884). Lo storico Giovanni Maioli definisce la città «antica e moderna, di sogno e di vita».
Bilancioni, ex garibaldino e carducciano in poesia, fu tra i ventotto dirigenti repubblicani arrestati il 2 agosto 1874 a Rimini, sul colle di Covignano, nella villa dell'industriale Ercole Ruffi. Del gruppo faceva parte l'anarchico Domenico Francolini (1850-1926), marito di Costanza Lettimi e legato da fraterna amicizia a Giovanni Pascoli.
Il riminese Giovanni Maioli (1893-1961) diresse a Bologna il Museo del Risorgimento. A questo periodo storico egli ha dedicato centinaia di articoli e saggi, recando «il contributo di fonti ignorate o malnote, esaminate ed approfondite», come osserva Antonio Mambelli nell'orazione pronunciata a Rimini il 2 giugno 1962 durante il XIII convegno degli Studi Romagnoli.

[*] Questo testo è la presentazione alla ristampa anastatica (ed. Bruno Ghigi, Rimini 2008) della guida di Rimini di Luigi Gravina apparsa nel 1933.

 
 
 

In ricordo di Gino Strada

Post n°29 pubblicato il 14 Agosto 2021 da ilrimino

In ricordo di Gino Strada, scomparso il 13 agosto 2021, pubblico un mio Tam Tama dell'Ottobre 2002, apparso sul settimanale riminese "il Ponte"
Tama 844. Fantasia
Tra i capolavori della fantasia non ci sono soltanto i romanzi, le novelle, i film. Ci sono anche le battute infelici pronunciate dagli uomini politici. Piero Fassino, con uno snobismo che viene da lontano (e ricorda qualche fotogramma di togliattiana memoria), tiene a farci sapere che pur essendo contrario all'invio dei mille alpini in Afghanistan, non vuol essere confuso con il pacifismo di Gino Strada. Talora, spiega Fassino, le bombe sono necessarie. A chi?
Ma perbacco, neppure chiederlo: servono alla «politica». Strada, che vede gli effetti delle bombe in quel di Kabul, preferirebbe che la politica avesse l'intelligenza che i militari attribuiscono alle loro armi, ed evitasse tante vittime innocenti. Fassino tira in ballo l'etica della responsabilità, oltre che l'etica della convinzione la quale, considerata forse ad un gradino più basso, è quella a cui si abbeverano le anime semplici, mentre le menti raffinate mirano in alto. Da dove si vedono i grandi princìpi ma si perde per la distanza lo spettacolo dei piccoli drammi che fanno la Storia quotidiana della gente qualsiasi. Ad esempio, dal loro settimo cielo i politici vedono gli oleodotti dell'Afghanistan o dell'Iraq? Sanno a chi fanno gola?
Il presidente del Consiglio Berlusconi, preso atto che la spaccatura nell'Ulivo era ormai insanabile dopo il voto sui mille alpini, e che non era più il caso di insistere su una cosa inesistente, ha cambiato registro. Ha cercato si sfottere qualche politico avversario, ma lo ha fatto con toni ridicoli non tanto nei confronti della minoranza parlamentare, quanto verso se stesso. La scenetta in cui Berlusconi raccontava ad un esterrefatto primo ministro danese che Massimo Cacciari s'era invaghito della propria moglie, Veronica Lario, è stata penosa per i presenti, offensiva per la signora, inedita per i protocolli diplomatici, ed utile soltanto all'on. Previti perché per un giorno non si è parlato sui giornali delle sue pretese evasioni fiscali.
Berlusconi ci aveva abituato a ben altro. Ci siamo divertiti con l'alternanza dei suoi inviti prima a spendere, poi a fare sacrifici (beninteso indirettamente, come ha spiegato). Abbiamo aspettato invano una terza uscita in materia economica, tipo: tirare la cinghia fa bene alla salute ed ai bilanci della Sanità. Ci siamo dovuti arrendere alla pretesa storia d'amore tra il filosofo Cacciari e Veronica Lario in Berlusconi. L'hanno scritta gli autori di Scherzi a parte?
Antonio Montanari [Ponte n. 36, 13.10.2002]

 


 
 
 

"Viva la Regina!"

Post n°28 pubblicato il 10 Luglio 2021 da ilrimino
Foto di ilrimino

"Viva la Regina!"
Un Tama dedicato a Raffaella Carrà

"il Ponte", 36/11.10.1998

Il re di Spagna è stato in visita ufficiale nel nostro Paese. Per festeggiare, ha organizzato una cena con la migliore nobiltà romana e con i più bei nomi della intelligenza nazionale. Ospite di riguardo, data la sua popolarità iberica, è stata la nostra conterranea Raffaella Carrà che si è presentata elegantemente addobbata come una regina madre, sfoggiando sul seno un vistoso fiocco che, ai nostri occhi zotici, si presentava come una specie di decorazione natalizia, mentre era un’alta onorificenza spagnola di cui la nota ballerina è stata insignita per i suoi successi televisivi.

Carràmba, che sorpresa. L’Italia si fa onore nel mondo, grazie Raffaella. Langue la ricerca scientifica, i migliori cervelli sono costretti ad emigrare, ma le soubrette restano a consolarci e a far sventolare con orgoglio, a mo’ di gonnella, la bandiera della cultura tricolore. Grazie, di cuore.
Non sappiamo quali effetti devastanti avrà sulla nazione il nuovo programma tivù che Raffaella ha inaugurato sabato scorso. In passato, le sue apparizioni sono state più lacrimogene di un candelotto della polizia. Commuove le nonne e le mamme ricorrendo alla stessa astuzia che Berlusconi usa quando parla contro la perfida Magistratura.
Se ci fosse l’elezione diretta del capo dello Stato, siamo sicuri che la Carrà troverebbe molti sostenitori. In un nuovo governo, nel frattempo, potrebbe avere posto come «ministro delle lotterie», al posto di Veltroni che, aumentando le estrazioni del Lotto convinto di far guadagnare alle pubbliche finanze, ha avuto la sfortuna di veder saltare il banco per ben due volte in un mese.
Raffaella può contare su uno zoccolo duro, e riuscire in quell’impresa nella quale è fallito il suo collega Funari, un tempo attore di cabaret: trasformare il tubo catodico in un’urna elettorale. Si comincia sempre dal poco. Ricordi il Cavaliere. Due mattoni qui, un condominio là. Lei, signorina Carrà, potrebbe essere la Dama di questa nostra Repubblica [prima, seconda o terza? Viene in mente un’antica trasmissione comica, «Un, due, tre», con Tognazzi-Vianello].
Lei, per noi, ha già un merito patriottico: proprio a Rimini registrò una sigla televisiva, sulle bellezze dell’Italia «da Trieste in giù».
Il suo amore per lo Stivale ci fa dimenticare che altre sono le rogne di questo Paese carogna dove chi, come il dottor Sandro Donati, voleva denunciare il doping veniva per vendetta, e con il trucco, denunciato per doping. [Tama 693, "Ponte" 36/11.10.1998]

Antonio Montanari

 


 
 
 

Rimini 1621, poco pane e tante armi

Post n°27 pubblicato il 20 Giugno 2021 da ilrimino


"il Ponte", 20.06.2021, n. 24, ANNIVERSARI


 

A Roma il 13 dicembre 1600 arriva con magnifica pompa una confraternita riminese di 180 uomini vestiti con un lungo sacco nero e preceduti da uno stendardo costato duemila scudi d'oro. Tra loro c'è lo storico Cesare Clementini (1561-1624) che ne parla nel suo "Raccolto istorico", apparso a Brescia in due tomi nel 1617 e 1627. L'eleganza di quel corteo contrasta con le condizioni in cui viveva Rimini. Carestie, pestilenze e guerre (lontane, ma segnalate in loco dai continui, costosi passaggi di truppe), sono i mali che affliggono pure la nostra città.
Scarso raccolto è segnalato nel 1606. Epidemie in bovini, pecore e porci, nel 1611. In tutta la regione è avvertibile un processo d'involuzione a partire dal 1618-19. Nel 1615, come scriveva monsignor Giacomo Villani (1605-1690), un'altra insurrezione popolare aveva distrutto il ghetto ebraico. Per carestie ed epidemie del 1618 egli ha dato la colpa all'apparizione di una cometa. Per il 1649 Villani ricorda una rivolta della "plebs ariminea" contro i consiglieri municipali ed i cattivi amministratori dell'Annona per l'eccessivo costo del grano di cui "tota Italia fuit in penuria". Nel 1650 attribuisce ad un'eclissi di luna la rovina d'Italia prodotta dalle guerre. Secondo lui la crisi di Rimini nasceva dalla scomparsa dei cittadini migliori. Erano rimasti gli incapaci ed i meno ricchi.
Di soldi in giro ce ne sono pochi. Il Cardinal Legato riduce le cariche (a pagamento) in Consiglio civico, i cui componenti passano da 130 a 80. Diminuisce la popolazione urbana. Dalle circa diecimila anime tra fine 1500 e 1608, si passa nel 1656 a 7.717 con più di tre anni. Sui dati precedenti manca ogni altra precisazione circa l'età. Nel 1524 le anime registrate sono 5.500, ma dai cinque anni in avanti. L'alta mortalità infantile faceva prendere queste precauzioni statistiche.
All'inizio del secolo la crisi economica ha unificato ad ottobre in una "fiera generale" i tre appuntamenti tradizionali: la fiera delle pelli per sant'Antonio (12-20 giugno), la fiera di san Giuliano (presente dal 1351) tra 21 giugno e 22 luglio e la fiera di san Gaudenzio (nata nel 1509) ad ottobre. Era l'effetto di un declino commerciale ed economico a cui non si sapeva reagire. Già nel 1613, narra Adimari, cinquanta mercanti tra forestieri e cittadini, avevano chiesto una nuova fiera in primavera, "mossi dalla bona commodità del vivere et negotiare, et conversare et fare esito delle loro mercantie in questa città". Essa arriva nel 1656.
Nel 1614, come leggiamo in una cronaca di Anonimo datata 1728, "fu una inondazione così grande, che unitasi la Marecchia con altri fiumi, e massime in lontano col Rubicone che apportò danno molto notabile restando le barche, cessata quella disperse per gli orti di Marina, e molte fracassate, e moltissimi marinari anegati, e molte merci perite, e la terra per tutta la campagna ove era stata l'inondazione restò per molto tempo infeconda".
Due anni dopo per un fortunale (citato dal canonico Giacomo Antonio Pedroni nei suoi "Diari"), affondano molte barche, "s'affogarono assai persone" e si registrano molti danni nel borgo di san Giuliano.
In tutta l'Emilia-Romagna "attorno al 1620 si ha il punto di svolta della congiuntura economica italiana e l'inizio della depressione seicentesca", ha scritto F. Cazzola (1977). A Rimini nel 1621 a causa della penuria dei raccolti si deve pensare al sostentamento dei poveri "trovando a censo ingenti somme" (C. Tonini, 1896). È l'esplosione di una carestia che avviene tra 1618 e 1621, e che coincide con un periodo di guerre nella nostra regione che ne compromettono l'economia per molyi decenni. Gravi carestie si ritrovano alla fine degli anni 40 del secolo.
Un dato che riguarda Bologna illustra la drammatica situazione degli anni Venti: scompaiono quasi 15 mila abitanti. In quel periodo diminuisce anche l'importazione del grano: e ciò, leggiamo in un pregevole studio del 1891 ("La popolazione di Bologna nel secolo XVII") apparso nella rivista della bolognese Deputazione di Storia patria (vol. IX, III serie), "può essere tanto la causa come l'effetto" della diminuzione degli abitanti. Il 1621 è definito proprio come anno di carestia. L'autore della ricerca è Giovan Battista Salvioni (1849-1925), docente di Statistica nell'Ateneo di Bologna.
In quel saggio s'intravede la commossa partecipazione ai fatti narrati con il richiamo alle celebri pagine manzoniane sulla peste desolatrice de "I promessi sposi". Narrare quella di Bologna "senza avere il pensiero rivolto al grande Maestro sarebbe impossibile e basterebbe questo a farci deporre la penna, se, per fortuna, chi scrive non dovesse abbandonare ogni velleità in olocausto all'austera disciplina delle cifre". Le quali arrivano a 23.691 decessi con "33 curati, 27 medici, 17 astati, 87 barbieri, 48 porta cocchietti, 23 beccamorti, 244 meretrici, 361 facchini, 11.561 donne, 11.128 diversi, 162 cittadini.
Per il 1622 riminese ritorniamo al cronista Giacomo Antonio Pedroni: dopo alcune considerazioni sulla carestia che imperversava e sul micidiale rincaro dei prezzi dei generi alimentari, annota che "più persone facevano delle piadine di sarmenti e fave macinati insieme, per mangiarle in così gran bisogno". Queste miserabili piadine fabbricate con ingredienti vili e vilissimi avranno avuto la forma, se non la composizione, delle attuali, leggiamo in una pagina storica del sito web del Comune di Rimini, che possiamo ipotizzare composta dal saggista Piero Meldini, prima insegnante di Lettere e poi direttore della Biblioteca Gambalunga.
Circa le cause della crisi italiana del Seicento, apriamo un testo di Enrico Stumpo (2012), dove si richiamano le tesi di Carlo M. Cipolla (1959) e Ruggiero Romano (1971). La risposta del primo rimanda al crollo ed al declino dell'economia più sviluppata. Quella del secondo al ritorno di certe forme di feudalesimo. Stumpo ricorda che l'Italia di allora era l'insieme di piccoli Stati, divisi e separati tra loro non solo politicamente ma anche economicamente. Per tutti esiste poi la terribile concorrenza straniera.
Come sempre anche per Rimini c'è dietro nel bene e nel male uno scenario europeo da cui non si può prescindere considerando le nostre vicende cittadine soltanto come espressione dei respiri delle nostre contrade.prima edizione a Modena nel 1710, e poi ristampato nel 1714 (sempre a Modena), nel 1720 e 1743 a Napoli ed infine ad Arezzo nel 1767. Il suo titolo è "Del governo della peste e delle maniere di guardarsene". Muratori presenta notizie che testimoniano lo sguardo attento di uno scrittore che vuole documentare quel tragico fenomeno che coinvolge tutta l'Europa, come evidenziano le cronache del 1713 da Praga ed Amburgo, per illustrare un problema che nello stesso 1713 ha coinvolto la specie bovina dei ducati di Modena e Reggio.
L'intenzione di comporre "un trattato popolare" è spiegata così: egli non vuole usare i "termini astrusi, con cui alcuni Professori della Medicina cercano di farsi credito con poca spesa presso i meno intendenti". Per Muratori, nei sospetti di contagio bisognava "alleggerire di gente le Città". Fondamentale allo scopo, precisa, è l'organizzazione dello Stato. Come ha scritto Ezio Raimondi (1967), Muratori è l'erudito razionalista di gusto moderno che crede in una scienza che si applica sempre al reale. Lo vediamo quando lo stesso Muratori osserva: nel 1576 a Venezia c'è stata una orribilissima strage perché i medici disputavano se fosse peste vera o no. I ricchi, aggiunge, hanno l'obbligo di soccorrere i poveri.
Sono "tempi calamitosi": così li definisce il cardinal Galeazzo Ruspoli Marescotti (1627-1726) al Consiglio Municipale di Rimini in una lettera del 27 gennaio 1703, spiegando che bisognava non fare spese superflue, si dovevano evitare abiti sfarzosi e gioielli, anche se falsi. La città s'adegua con una serie di norme che mirano ad imporre un'attenta cura per evitare sprechi nelle vesti, nei servitori e nel modo di gestire la propria famiglia, come scrive Luigi Tonini.
Ruspoli Marescotti era a capo della Congregazione del Sollievo, sorta per decisione di Clemente XI nel marzo 1701 ed attiva praticamente fino al 1715 (anno delle sue dimissioni), per favorire la modernizzazione agraria, il controllo dei prezzi ed il miglioramento della viabilità (G. Motta, 2008). Essa era composta da altri quattro cardinali oltre che da prelati e laici che facevano parte dell'organizzazione amministrativa dello Stato. La chiusura della sua attività è ufficialmente datata 1725. Marescotti (come apprendiamo in un testo di G. De Novaes, 1802) aveva riedificato la città di Rimini "quasi distrutta dal terremoto del 1672". Luigi Tonini da scritti di Monsignor Giacomo Villani (1605-1690) riprende la notizia che scosse e crolli durarono a sentirsi per lo spazio di cinque mesi. Un'accurata biografia di Villani è presentata da Carlo Tonini nella sua storia della cultura riminese (1884).
Nel 1703, racconta Luigi Tonini, un grande terremoto scuote nuovamente la città, ma per fortuna non provoca danni. I quali sono temuti l'anno dopo per il corso del fiume Marecchia rivolto verso la città. Nel 1705 si pensa di chiamare un perito forestiero che il Pontefice aveva mandato a Ferrara per i ripari da farsi al Po. Tra 1709 e 1710 le casse comunali riminesi debbono provvedere con grandi spese a mantenere i ventimila militari tedeschi che transitano diretti a Napoli "ove quel popolo si era levato a tumulto contro il governo de' Francesi". I tedeschi inondano tutta la Romagna. Nemmeno le case dei poveri sono risparmiate dall'obbligo degli alloggi, per cui (scrive Tonini) quegli infelici dovettero più e più volte levarsi il pane di bocca. Poi passano le truppe pontificie di pari consistenza numerica per combattere atti di prepotenza imperiale, come l'occupazione di Comacchio e le minacce al duca di Parma perché cedesse il proprio potere allo Stato di Milano.
L'esausto erario comunale necessita di entrate: si rincarono i dazi e si inventano nuove imposte che colpiscono soprattutto il mondo agricolo che protesta duramente con il potere politico locale. Tra 1712 e 1713 una peste bovina si era diffusa nel territorio lombardo, in quello veneto, nello Stato ecclesiatico e nel regno di Napoli: ma le "patrie memorie" sono mute, osserva Luigi Tonini. Per la guerra col Turco ci sono passaggi di truppe sino al 1720, come si ricava da mons. Antonio Sartoni che fa "un quadro assai doloroso della nostra Città in quelle congiunture", leggiamo ancora in Luigi Tonini. Sartoni era un suo zio paterno. Carlo Tonini ricorda nella citata storia della cultura riminese uno "Zibaldone di memorie inedite" composto da Sartoni.
Muratori in uno scritto del 1715 osserva che "l'istoria principalmente dipende da documenti sicuri e copiosi". Luigi Tonini intitola il capitolo sugli anni 1720-1738 con una confessione dolorosa: "Scarsezza di notizie". Poi annota sul 1721: "Continuavano i sospetti del contagio" per cui i Consigli comunali decidevano cure e spese per la vigilanza con cui tenergli chiuso l'accesso alle nostre contrade.
Antonio Montanari

 


 
 
 

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