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Una domenica

Post n°58 pubblicato il 30 Aprile 2007 da anfibia

In questa domenica pomeriggio così faticosa da trascorrere (ma va? Solo oggi?), quei momenti in cui ti alzi e poi ti siedi e poi inizi un disegno e ascolti musica, ma in realtà ascolti solo il flusso dei tuoi freddi pensieri che vorresti canalizzare in qualcosa ma inevitabilmente si frammentano, lasciandoti nel vuoto più totale. Ecco, per passare il tempo, prima di decidermi a fare un bagno, (chè proprio non avevo voglia di liquidare la mia inquietudine col solito cazzo di bagno caldo: non è mica la panacea di tutti i mali!), sono uscita in balcone, per avere l’impressione di essere calata nel mondo (perché lo sono, vero?), per sentire anche solo un filo di vento (qui oggi c’è un’insolita brezzolina) sulla pelle…

Osservavo svogliata il panorama, e intanto ripensavo alle parole che ho letto stamattina: la mia ritrosia a relazionarmi con l’altro, a vedere oltre il mio ego, e la tendenza a percepire la realtà che mi circonda come un mio prolungamento, anche questo un becero tentativo inconscio di negare l’alterità…Così, forse in un disperato tentativo di smuovere qualcosa in questo senso, anche soltanto per entrare in contatto con qualcosa che non fossero esclusivamente i miei pensieri, la mia pelle, la mia immagine, mi sono soffermata ad osservare una ragazzina in cortile.

C’erano altri bimbi più piccoli che giocavano insieme (ah, i maschi, quasi sempre in gruppo…) e al di là della rete divisoria con l’oratorio c’erano ragazzini suppergiù della stessa età della ragazzina che giocavano chi a calcio e chi a basket.

Lei no. Lei se ne andava, sola, avanti e indietro per una stradina su uno skateboard.

Ogni tanto cadeva, le scappava la tavola da sotto i piedi, ma riprovava subito a salire.

Aveva le movenze di un maschiaccio, come me alla sua età…Pure il portachiavi a penzoloni dal passante dei jeans, come me da ragazzina, che ti dà quell’aria da teppistello strafottente, tirandoti verso il basso i pantaloni a mo’ di ragazzino di strada, ma che è in realtà solo un modo molto pratico per avere il tuo mondo in tasca (belli i tempi in cui le chiavi erano il mio tesoro, perché mi aprivano le porte del mio regno: il box per prendere la bici, i vari cancelli per attraversare il cortile, il lucchetto della catena, la serratura di casa per la merenda e il pallone…)

Insomma, sono rimasta a guardare questo fuscello (anche se maschiaccio comunque aveva molto di femminile) che pur da sola mi sembrava l’essere più luminoso di tutti, pure di quelli che in compagnia probabilmente si stavano divertendo di più…

Poi non ho potuto fare a meno di notare che ad ogni ritorno con lo skate lei guardava verso l’oratorio, verso un gruppo preciso di ragazzini (ancora un po’ e le veniva il torcicollo a forza di voltarsi in quella direzione!); allora ho capito che in fondo, quella solitaria ragazzina, voleva attirare l’attenzione di un ragazzo che le piaceva…Mi ha fatto sorridere e pensare che in fondo tutti vogliamo questo. Pure quando non ci sembra. Pure quando diciamo che è bella la solitudine, alla fine vogliamo disperatamente che qualcuno ci noti, che qualcuno entri in relazione con noi, per avere l’impressione di essere vivi.

Nel mezzo di questi pensieri è squillato il telefono: mia nonna per gli auguri ritardatari.

Quando sono tornata fuori, la ragazzina non c’era più.

Sono rimasta un po’ sconsolata, senza il mio spettacolo diversivo, a fissare il vuoto. Stavo per rientrare quando, affacciandomi dalla parte opposta a dove mi trovavo prima, nascosta tra le collinette erbose del cortile, i portici e l’ingresso ai box, l’ho rivista! Aveva abbandonato lo skate a favore dell’hula hoop.

E mi ha fatto scioccamente piacere ritrovarla. Solo la mia pseudo età adulta mi ha impedito di vestirmi e scendere a chiederle di lasciare fare qualche giro di bacino pure a me.

Sollevata, ho deciso di portare il pc fuori in balcone e scrivere questo frammento di domenica da qui, da questo tavolino da cui posso guardare il cielo, vedendone la scia bianca di un aereo appena passato, e col mio coniglietto sotto i piedi, felice di stare all’aperto con me.

Non è l’inizio di nulla. Non è certo questa gran rivoluzione. Ma l’idea di mettermi qui a scrivere per il blog mi ha dato una piccola ragione. (Chè poi, non dovevo scrivere più??? Già, ma il bisogno di relazionarmi a qualcosa è più forte…(Eh? Relazionarsi qui??? In uno spazio virtuale dove io scrivo, io parlo, io faccio e disfo…Mmm, forse un alibi per non relazionarmi davvero?))

Va be’, ma per anche solo mezz’ora oggi non mi sono chiusa nel silenzio della mia camera e ho…vissuto? Forse…

 
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