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Cosiddetta riforma Gelmini...

Post n°22 pubblicato il 08 Novembre 2008 da cicciolucre85
 


(La prima pubblicazione di questo post è avvenuta il 6 novembre alle 5:52)

Le polemiche e le manifestazioni dei giorni scorsi su alcuni articoli del decreto ex 112 del 25 giugno 2008, inserito e convertito in legge finanziaria, legge n° 133, hanno avuto molta risonanza ma non hanno ancora avuto gli esiti sperati, almeno stando ai fatti!

Nello specifico, ad onor di cronaca, la cosiddetta riforma Gelmini si compone di:
- un decreto legge n° 137 in cui, in sostanza, si ripristina nella scuola primaria il voto in condotta e l’insegnante unico; si blocca per 5 anni l’adozione dei libri di testo tentando di scoraggiare le nuove edizioni aggiornate solo graficamente, ma più costose; si abilita all’insegnamento nella scuola d’infanzia e nella scuola primaria il laureato in scienze della formazione primaria; si modificano le modalità d’accesso alle scuole di specializzazione per i laureati in medicina e chirurgia;
- sette articoli inseriti nella legge finanziaria sopra citata, e più precisamente l’articolo 15 (Costo dei libri scolastici), l’articolo 16 (Facoltà di trasformazione in Fondazioni), l’articolo 17 (Progetti di ricerca ed eccellenze), l’articolo 66 (Turn over), l’articolo 67 (Norme in materia di contrattazione integrativa e di controllo dei contratti nazionali ed integrativi), l'articolo 69 (Differimento di 12 mesi degli automatismi stipendiali), l’articolo 74 (Riduzione degli assetti organizzativi).

Su alcuni di questi articoli della legge finanziaria sopra menzionati, molti studenti e non solo, nei giorni scorsi, hanno mostrato la loro contrarietà. In particolare, non approvano la possibilità di trasformazione delle università pubbliche in fondazioni private e il taglio quinquennale al fondo ordinario di finanziamento delle università. Francamente non condivido il loro metodo di protesta e dubito che tutti siano a conoscenza del contenuto della legge e dei suoi effetti. Fatta questa considerazione personale, tengo subito a chiarire che la mia posizione è nettamente contraria a questa legge per la serie di motivi che di seguito proverò ad elencare.

A mio avviso l’idea di trasformare le università in fondazioni private è buona, ma è sviluppata male e non cambierà di molto la competitività e la qualità delle università italiane. In teoria, la trasformazione in fondazioni private dovrebbe essere un buon incentivo a rendere qualitativamente migliori alcuni aspetti del mondo accademico. Nella norma si legge che “le facoltà possono deliberare la propria trasformazione in fondazioni di diritto privato” (art. 16 comma 1). Questa possibilità è - come ho già anticipato - sviluppata male, anzi malissimo, perché è data a tutte le facoltà in maniera indiscriminata. Senza nessun criterio oggettivo, senza nessun requisito minimo per accedervi (per esempio, qualità della didattica o della ricerca, numero di pubblicazioni dei professori della facoltà…), non c’è nessuna spinta alla competizione tra atenei, né tanto meno rende allettante e appettibile investire capitale privato in un’università piuttosto che in un’altra. Nell’articolo 16 comma 9, inoltre, si legge “resta fermo il sistema di finanziamento pubblico; a tal fine, costituisce elemento di valutazione, a fini perequativi, l'entità dei finanziamenti privati di ciascuna fondazione”, in poche parole il finanziamento privato è inversamente proporzionale a quello pubblico. Mi sembra abbastanza evidente come questa norma di fatto sia l’esempio di una politica simbolica, volta a dare solo l’illusione di un cambiamento ma che sostanzialmente parteggia per lo status quo, disincentivando la trasformazione in fondazioni. Un altro aspetto di cui apprezzo l’intenzione ma disapprovo l’esecuzione è lo status del personale delle fondazioni private. Si legge nell’articolo 16 comma 13 che “fino alla stipulazione del primo contratto collettivo di lavoro, al personale amministrativo delle fondazioni universitarie si applica il trattamento economico e giuridico vigente alla data di entrata in vigore del presente decreto”, ciò sembra indicare, ma il dubbio non è ancora stato sciolto, che quando si stipulerà un contratto collettivo di lavoro, il personale (anche il corpo dei docenti?) verrà “contrattualizzato” e quindi sarà sottoposto alle regole del diritto privato e non più pubblico. Il problema ovviamente è il quando si stipulerà il primo contratto collettivo? Altri interrogativi non sono chiariti dalla normativa: i docenti delle fondazioni private avranno la possibilità di scegliere se cambiare o meno il proprio status giuridico? Si può prevedere un sistema di incentivi che premi quei docenti che hanno una produzione scientifica considerevole (ovviamente tenendo conto anche del riconoscimento internazionale di tale produzione) o ogni docente sia nell'università pubblica che in quella privata sarà qualificato dall'anzianità di servizio?

Un altro punto aspramente criticato è l’articolo 66 comma 13 della finanziaria che prevede una netta riduzione del fondo di finanziamento ordinario di:
- “63,5 milioni di euro per l’anno 2009”;
- “190 milioni di euro per l'anno 2010”;
- “316 milioni di euro per l'anno 2011”;
- “417 milioni di euro per l'anno 2012”;
- “455 milioni di euro a decorrere dall'anno 2013”,
per un complessivo taglio di 1.441,5 milioni di euro in 5 anni, senza contare la disposizione nell’articolo 74 che obbliga una razionalizzazione della spesa complessiva non inferiore al 10% entro il 30 novembre 2008.

Oltre all’entità dei tagli, c’è da aggiungere che le tasse possono corrispondere al solo 20% del fondo ordinario di finanziamento delle università, quindi se ad un fondo pari a 100 le tasse d’iscrizione sono pari a 20, ad un fondo ad esempio di 50 gli iscritti pagheranno 10. C'è dunque un'ulteriore ridimensionamento delle entrate nel fondo ordinario ed è smentita la tesi secondo cui ai tagli segue automaticamente un aumento delle tasse universitarie. L’eventualità di un aumento delle tasse sta nell’ingresso delle fondazioni e comunque la tassazione, per legge, non può superare il vincolo del 20%. Ritengo inoltre che se una fondazione privata punta seriamente sulla meritocrazia, è difficile che non preveda un sistema di borse di studio per aiutare i meritevoli in disagiate condizioni economiche.
Un ulteriore provvedimento consente la diminuzione della spesa per il personale che nella maggior parte dei casi supera il 90% del fondo ordinario: si tratta del blocco del turn over regolato nell’articolo 66 citato sopra. In breve, questa norma prevede, oltre ai tagli sopra evidenziati, che l’ingresso di nuovo personale non debba superare una certa percentuale del personale uscente, e precisamente il 10% nel 2009 (comma 3), il 20% nel 2010-2011 (comma 7), il 50% nel 2012 (comma 9) quindi può essere assunto un solo nuovo dipendente su dieci lavoratori che lasciano la struttura nel 2009, poi uno su cinque nel successivo biennio e uno su due nell'anno a seguire.

È tipico dei governi italiani degli ultimi anni tagliare i fondi d’investimento nella ricerca, fatto molto grave che costringe non solo molti eccellenti laureati a spostarsi in altri Paesi per continuare il proprio lavoro di ricerca con attrezzature adeguate, ma determina inoltre una mancata possibilità di sviluppo del Paese. Sottolineato questo elemento gravissimo all’interno di questa legge finanziaria, viziata per il metodo adottato e cioè un decreto legge, trasformato in legge dello Stato in pochissimo tempo, senza un minimo dibattito parlamentare, con un voto di fiducia, aggiungo che anche nei contenuti questa legge si è dimostrata ambigua e molto probabilmente incapace di raggiungere l’obiettivo secondario (almeno!) che presumibilmente si prefiggeva: un miglioramento del sistema universitario italiano in generale. Non lo può raggiungere, secondo il mio modesto parere, perché la legge tratta indiscriminatamente tutti gli atenei allo stesso modo, sottovalutando che i tagli sono a danno anche e soprattutto di facoltà “virtuose” dal punto di vista dell’offerta formativa e dal punto di vista economico. La logica dei nostri parlamentari è quella secondo cui basta applicare dei tagli per rendere qualsiasi struttura più efficiente. Questo modo di ragionare evidenzia le scarse conoscenze e dal punto di vista gestionale e dal punto di vista intellettivo. Basterebbe applicare dei tagli lì dove vi sono reali sprechi di risorse pubbliche. Non è un provvedimento difficile da attuare, dal momento che la raccolta delle informazioni è stata già effettuata: esiste una valutazione su base triennale elaborata dal CIVR (Comitato di Indirizzo per la Valutazione della Ricerca, presso il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca) che in maniera abbastanza dettagliata ha valutato, ateneo per ateneo, sia il livello di produzione scientifica sia l’utilizzo delle risorse finanziare, concludendo con una valutazione e una classificazione per ogni facoltà all’interno del sistema universitario nazionale.

Come si potrebbero definire dei ministri che hanno a disposizione informazioni molto dettagliate, in grado di rendere i loro provvedimenti più efficaci, ma che evitano volontariamente di farne uso? Questo è realmente uno spreco di risorse abbastanza grave!

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Anonimo il 08/11/08 alle 10:49 via WEB
commento solo la questione delle fondazioni private e lo faccio per sollevare un dubbio sostanziale e non di metodo. ma dove sono initalia questiprivati pronti ad investire nella ricerca? dove sono gli sponsor? ricordo che oni volta che un pezzo di una azienda pubblica è stata privatizza c'è stato un gioco al ribasso per l'acquisto (le vicende telecom e alitali sono un emblema patafisico) e non si è vista l'ombra di un piano industriale. azi, sono stati il semplice mezzo con il quale azionisti che avevano i propri interessi in altri comparti industriali, hanno finanziato le casse delle proprie società. Temo che la trasformazione delle università in fondazioni private sia una semplice dichiarazioni d'intenti, il classico specchietto per le allodole bipartisan, ma che non fa i conti con una reatà come quella italiana costituita da un nanismo politico e di impresa. ma davvero credi che non appena trasformi l'università in fondazione privata, così, d'incanto, pioveanno i soldi dei privati? di quali privati? delle banche? è falsa anche l'equazione per la quale se devo competere per avere i finanziamenti, allora dovrò fare ricerca più seria: se devo competere per avere i soldi dei privati, piuttosto, dovrò fare ricerca su ciò che interessa agli eventuali sponsor (un esempio: a chi intersserebbe sovvenzionare la ricerca sulle malattie rare?). tutto fumo negli occhi.
 
cicciolucre85
cicciolucre85 il 08/11/08 alle 18:44 via WEB
Sono d’accordo sul fatto che non basta trasformare le università in fondazioni per rendere e più competitiva la ricerca e più efficiente il sistema di finanziamento della ricerca. È vero anche che taluni settori sarebbero fortemente discriminati nella ricerca finanziata da privati, come la ricerca per malattie rare o ad esempio la ricerca di base in ambito chimico. È pur vero che se in Italia, il settore della ricerca non risulta essere un investimento che fa gola è senz’altro perché nessun finanziamento finora l’ha reso appetibile. Quindi restano secondo me aperte due questioni: 1) rendere il settore della ricerca un settore forte dell’università, e questo a mio avviso deve essere il primo compito che qualsiasi governo italiano dovrebbe mettere in atto in termini di riforma dell’università. Alla ricerca, ma solo ed esclusivamente alla ricerca, bisogna fornire dunque finanziamenti statali, in un primo momento, per rompere dunque quel circolo vizioso secondo cui “io non finanzio perché il ricercatore non rende, io ricercatore me ne vado perché non ricevo finanziamenti”; 2) una volta che il settore della ricerca sarà diventato un pilastro dell’università italiana, si può rendere efficiente l’ingresso dei privati, fermo restando il finanziamento pubblico per quelle università che non dovessero ricevere finanziamenti privati. Diciamo che di tutte e due le cose, s’è fatta con un decreto solo la seconda, la meno urgente…
 
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