una manciata di more

lettera da uno straniero


“non essendo radicato nelle singole parti costitutive onelle tendenze unilaterali del gruppo, egli si contrappone a tutte queste con l’atteggiamentoparticolare dell’oggettivo, che non significa una semplice distanza anon-partecipazione, bensì una formazione particolare costituita di lontananza evicinanza, di indifferenza e impegno”Exursus sullo straniero, G. SimmelLa citazione mi pare la sintesi del mio modo di rapportarmia tutti voi. e scrivo a te che  vivi le stesse discronie chevivo io, pur se in modo differente. La vita da straniero è una vita a metà. E leparole possono essere una pallonata scagliata a freddo su un viso che guardadall’altra parte, in due parole: disorientamento e bruciore. Gestisco spesso ilgioco perché mi è naturale, sono al di fuori e traggo i dadi. Dimentico peròche nel gioco ci sono anche dentro e che la razionalità sragionata alle voltemi trascina nelle sabbie mobili, per cui l’unico modo di salvarsi per respirareancora è l’immobilità. Conclusione: destino certo di morte. Ché l’immobilità ègià morte. (è il principio zero della termodinamica). I passi falsi, poi, sono di lì a pochi metri e la cadutasenza protezione rischia lo schianto e lo spappolamento. Fosse per te tibutteresti, giusto perché non hai cognizione. Io no. La morte, è vero, lainteriorizzo ma la temo ancora. E non ho, per questa volta almeno, intenzionedi contaminarmi. Preferisco rimanere straniero. Di tanto in tanto qualchescambio è ammesso, ma la contaminazione no. E dire che io di contaminazionivivo. Ma sai quando il terreno è arido è facile che s’incendi, si decostruisca.E c’ho impiegato tanto a formulare una bozza di vita fertile. Oggi decido io.