Creato da patty1_mah1 il 12/06/2006

guardando le stelle

sognare....

 

 

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Vorrei urlare e sfogare quello che ho taciuto finora

Post n°1328 pubblicato il 24 Gennaio 2017 da patty1_mah

 

A volte vorremmo correre come lupi e raggiungere

 la montagna più alta per ululare alla luna quello

che abbiamo taciuto, nascosto e mai detto ad

alta voce.

 Forse succederà prima del previsto, quando l’indecisione,

 le apparenze e la

paura

dell’opinione

altrui saranno solo una nebbia da cui

scappare.

Viviamo in una cultura che punta a reprimere

le emozioni, lo sappiamo tutti. Quando un

bambino

compie cinque anni, inizia a sviluppare certi

 meccanismi di repressione: trattiene le lacrime,

si guarda bene dal dire certe parole e abbassa

 il viso, soddisfacendo, così, quei dettami ormai

abituali del mondo degli adulti, “non piangere”,

 “non parlare”,

“non esprimerti”. 

Metà della popolazione mondiale ha qualcosa
da dire, ma sta in silenzio.
L’altra metà non ha nulla da dire, ma
non smette di parlare.
 
Robert Lee Frost

Apprendere fin da piccoli la cultura delle

 “emozioni prigioniere” ha ovviamente delle

conseguenze. Si arriva all’età adulta come schiavi

del silenzio e delle verità nascoste.

 Spesso il bambino che impara a nascondere

le emozioni finisce per trovare altri canali

 attraverso

cui esprimere ciò che nasconde, da cui spesso

emergono costante aggressività, rabbia e sfida. 

 Sigmund Freud diceva che la mente è come un
 iceberg. Solamente la settima parte emerge
dall’acqua, il resto rimane nascosto, immerso
in un universo gelato dove conserviamo le
emozioni represse e le parole riservate
 al silenzio per paura delle conseguenze
 nell’ambito
 della sfera pubblica.

Vi invitiamo a riflettere sull’argomento.

 Siamo funamboli su un filo instabile 

Di sicuro in diverse occasioni quando ci hanno

chiesto:

 “È successo qualcosa? Hai una brutta cera”,

abbiamo risposto frettolosamente: “No, no.

Sto bene. Va tutto bene”. Con questa frase

battiamo

in ritirata per tempo ricorrendo ad un

formalismo comune che tutti mettono in pratica,

quello delle

false apparenze. Perché a nessuno importa che

 i nostri pezzi si sorreggano su un filo instabile,

perché capiamo che il dolore emotivo è privato.

Il vero problema, però, dipende spesso dalla

nostra incapacità di sfogarci davanti alle persone

che per noi sono davvero importanti.

Non lo facciamo perché siamo convinti che

“esibire” il dolore, il fastidio o i timori significhi

perdere il nostro potere personale.

In qualche modo, rivelare al partner o ad un

familiare che non siamo felici, per via di

determinate circostanze o per un fatto in

particolare, ci fa sviluppare una sorta di

“codipendenza”. Vale a dire, ci sentiamo più

responsabili di come reagiscono gli altri di fronte

 ad un fatto concreto che non delle circostanze

in cui ci troviamo.

Attribuire maggiore valore alla possibile reazione

altrui che non al problema di base ci spinge a

lasciare

 le cose così come sono. Siamo rimasti in silenzio

per tanto tempo, dunque resistere ancora un po’

non fa differenza. Normalizziamo la sofferenza

come chi assume un semplice analgesico per una

ferita traumatica o come chi offre acqua a chi sta annegando.

Non è la cosa più conveniente da fare.

Nessuno è un eterno funambolo che cammina

sulle sue corde instabili, perché prima o poi

quelle

 corde si spezzeranno e la caduta sarà inevitabile. Logicamente,

più in alto si è arrivati seguendo

questa dinamica, più forte sarà l’urto e anche

 le sue conseguenze.

Siamo ciò che abbiamo taciuto, ma meritiamo

di essere liberi

Questo dato è curioso e vale la pena ricordarlo:

quando qualcosa non ci piace, ci ferisce

o ci dà

fastidio, come una parola di disprezzo,

il cervello

impiega

appena 100 millisecondi per reagire

 emotivamente.

Poi, in soli 600 millisecondi,

registra quell’emozione nella corteccia

cerebrale.

A volte non basta dire la verità: conviene mostrare la causa della falsità.
 
Aristotele

 Quando diremo a noi stessi: “Non mi tocca quello che ho sentito, continuerò a

comportarmi come se non me ne importasse”, sarà ormai tardi, perché i nostri meccanismi cerebrali hanno già codificato quell’impatto emotivo. Cercare di registrarlo in altro modo significa ingannare noi stessi, sprecare energia inutilmente e perdere risorse che dovremmo investire in altre strategie.

Ci hanno insegnato a lungo che mostrare

le nostre

 vere emozioni non è un bene, che chi dice

la verità è aggressivo e che sarà sempre meglio

una piccola bugia che un’amara verità detta

ad alta voce. Non è vero. Si può essere assertivi

senza essere aggressivi. C’è di più,

sarebbe bene cominciare a cambiare

la classica idea che oppone l’emozione

 alla ragione, perché è comunque

sbagliata.

Permetterci di provare a pieno i

sentimenti

spesso

 ci aiuta a capire quali sono i nostri

 bisogni.

Fa luce su molti vuoti di pensiero che spesso

riempiamo di false idee: “Se resisto ancora

un po’,

le cose possono migliorare”, “Di sicuro non

pensava davvero quello che ha detto, meglio

se mi comporto come se niente fosse”.

 Capire, ascoltare e sentire completamente

 le nostre emozioni è una necessità vitale da

soddisfare ogni giorno.

Dobbiamo imparare l’arte dell’assertività,

quel sano esercizio “io sento, io merito”.

Dobbiamo ululare alla luna, alla notte e al

giorno tutto ciò che siamo, che meritiamo e che

 valiamo. Basta dare importanza e priorità alle

emozioni degli altri. È il momento di vivere senza

paura.

La mente è meravigliosa

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