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Mio padre (1925 – 1992) parte II

Post n°10 pubblicato il 18 Febbraio 2012 da cecchettosilvana
 
Foto di cecchettosilvana

ponte sul Muson

Nella mia mente, i racconti di mio padre, scorrono come un vecchio film in bianco e nero. Ricordo le sue parole che diceva: ”Negli anni ’30, la mia famiglia non possedeva niente eppure eravamo felici, senza soldi, ma felici”.

Secondo figlio di sei fratelli. Primo maschio. Adorava suo padre e raccontava molto spesso una barzelletta che diceva così: - sono figlio di un umile falegname, il nome di mio padre inizia con la “G”. Chi sono? Noi, figli, ridevamo, perché sapevamo l’inganno e come poteva essere frainteso e c'era sempre un nuovo nel gruppo che li chiedeva: - sei Gesù? E lui rispondeva: - no, sono pinocchio…-.

Il nome di mio nonno era Giovanni, nato a fine dell’800 ed era in verità un umile falegname molto bravo nel suo mestiere. Sua moglie, mia nonna, nata nel 1901, si chiamava Marina Barca (il nome lo diceva tutto…) nati, entrambi, a Montebelluna; approdati, negli anni ’20 dopo sposati, a Villarasso, Castelfranco Veneto:

“…città murata edificata, nel 1195 dal Comune di Treviso, sopra un preesistente terrapieno (probabilmente una 'Motta' preistorica) lungo il torrente Muson poco lontano dal villaggio di Pieve Nuova (attuale Borgo Pieve), non lontano dall'incrocio tra le vie romane Aurelia e Postumia, luogo di confine naturale con i turbolenti territori padovani e vicentini. La popolazione del castello non era formata da soldati, ma da liberi cittadini che, stabilendovisi, potevano godere dell'esenzione da ogni imposta (da cui il toponimo Castelfranco, vale a dire "libero"). Un modo per incoraggiare l'insediamento e la fedeltà alla Marca”.

            A quei tempi avere un mestiere non implicava avere soldi, ma serviva a poter sfamare la famiglia e avere alcuni privilegi (si fa per dire); ad esempio un falegname poteva fabbricare dei mobili su misura, una bicicletta (fatta di legno), un gabinetto… (costruito rigorosamente dietro, in fondo, fuori casa, lontano dall’abitazione). Vi chiederete cosa aveva di particolare? Mio padre raccontava: “Eravamo l’unica famiglia, nei dintorni, ad avere un cesso dotato di un comodo sedile di legno con il coperchio, i nostri vicini avevano soltanto un buco a terra, come quelli alla turca”.

            Fabbricarsi le cose era normale, di sicuro costava molto meno. Se, per caso, non si era in grado di farlo? Si cercava un artigiano capace di realizzarlo, poi il pagamento avveniva tramite uno scambio, un baratto di lavori; in questo modo, le famiglie si aiutavano tra loro ed era più facile e dignitoso andare avanti. Le cose che si compravano, già fatte, erano veramente poche per ciò si era più allenati ad aguzzare l’ingegno e la creatività. Perfino i bambini si facevano i giocattoli con quello che trovavano in giro…(… continua… non mancate!).

 

 

 

 
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