utopia2006

Alcune considerazioni personali


Se ritorno con la mente a tutti gli incontri che abbiamo fatto nella settimana in Kurdistan mi sembra di percepire ancora, fortissimo, l'incredibile desiderio delle persone di esprimersi, di raccontare la propria storia, di parlare dei problemi della loro terra. Non importa se la lingua è diversa e per me quasi incomprensibile: l'importante è dare sfogo a questo fiume di parole, come se così facendo si potesse gustare, per un attimo almeno, quella libertà tanto desiderata, quanto irragiungibile.In particolare questa esigenza così forte sembra venire dai settorì più "deboli" della società kurda: i giovani e le donne.Mi sembra ancora di averla davanti: una donna, di età imprecisata, non giovane comunque, che si siede improvvisamante di fronte a me, quando stava per terminare l'incontro, a Nusaybin, con alcuni membri del partito DTP. E poi inizia a parlare. Nella traduzione di Aladin la donna racconta che suo figlio è stato preso, trascinato fuori di casa, e ammazzato proprio davanti ai suoi occhi. Anche l'altra sua figlia è stata uccisa a Nusaybin. Un altro figlio ancora è in prigione e anche lei è stata per 7 mesi in carcere, per avere pronunciato la parola "Kurdistan". Poi la donna si alza ed esce dalla stanza: senza salutare.Non so bene come descrivere la voce e le parole di quella donna: si percepivano sicuramante rabbia e tristezza, ma anche fierezza e voglia di combattere. Era una donna Kurda!Un'altra sensazione fortissima che mi sembra ancora di provare è quel misto di rabbia e frustrazione che deriva dalla presenza "asfissiante" delle forze di polizia. Poliziotti in borgese che ci seguono, mezzi blindati che corrono avanti e indietro per le strade di città, posti di blocco e controlli. Poi l'attenzione quasi ossessiva di Aladin nei nostri confronti, perchè non ci capiti niente. Ed il suo telefono che continua a squillare quando ci muoviamo da un posto all'altro. E' davvero una strategia di intimidazione, quella operata dai militari, che produce una situazione di tensione costante e altissima. In poche parole manca ancora la libertà di opinione e non è garantita l'integrità fisica delle persone.L'ultima mia considerazione poi riguarda la guerra combattuta negli anni '90. E' vero che sono passati molti anni ma le ferite inferte in quel periodo sono ancora presenti ed hanno prodotto una lunga catena di problemi. Un primo esempio è la questione dei villaggi distrutti. Centinaia di miglia di profughi fuggiti da questi villaggi hanno dovuto lasciare tutto ciò che possedevano perscappareed andare a vivere in luogi diversi, spesso in città di medie o grandi dimensioni. Tutte queste città, come per esempio Kiziltepe, hanno subito una vera e propria invasione che ha messo in ginocchio tutti i servizi pubblici. In primo luogo l'accesso all'acqua, poi la viabilità, gli ospedali e le scuole. Tuttei questi servizi doveveano essere ri-adeguati alle esigenza di una popolazione cittadina raddoppiata se non triplicata.Poi c'è l'impatto sociale e culturale, che come al solito è più pesante nei settori deboli della popolazione, le donne in primo luogo. Le ragazze provenineti dalle campagne, una volta in città, hanno trovato una realtà culturale molto diversa: adeguarsi è davvero difficile, c'è bisogno di aiuto. In questa situazione di difficoltà e povertà gli abusi sulle donne sono aumentati: dalle violenze familiari ai delitti d'onore, dai matrimoni combinati all'impossibilità di frequentare la scuola. Per far fronte a tutte queste problematiche stanno nascendo organizzazioni della società civile che, assieme alle municipalità, stanno tentando di iniziare un percorso volto all'emancipazione femminile. Per concludere, la storia degli ultimi anni in Kurdistan è stata segnata profondamante dalla guerra. Per questo le parole del sindaco, donna, di Kiziltepe mi sembrano davvero appropriate:"In guerra sono le persone, le personi comuni, non i combattenti, quelle che escono sconfitte. Noi siamo contro la guerra".Ma non si può eludere neanche la questione posta dal presidente del DTP, sempre di Kiziltepe: "Se non risolve la questione kurda, non si può risolvere nessun'altra questione. Il primo problema è quello Kurdo".Marco