“Non importa quanto sia stretta la porta, quanto pieno di castighi il destino. Io sono il padrone della mia sorte: io sono il capitano della mia anima.”
Willyam Ernest Henley Esiste una categoria di persone che non ho mai visto di buon occhio: gli indifferenti. Estranei, come essi stessi amano definirsi,alla società, al paese, alla città, alla famiglia, cui appartengono, non mostrano interesse o entusiasmo per niente. A che serve cambiare? Ecco il loro credo. PrimoLevi, nel suo “Se questo è un uomo”, confessa che, dopo appena una settimana di prigionia, ha già perso ogni interesse per la cura della sua persona. Tant'è che decide di non lavarsi più. Intanto,il suo amico Steinlauf, a torso nudo e senza sapone, si strofina il corpo con forza, ma con scarso esito. Chiede a Levi come mai non si lavi, ottenendo in risposta: A che serve? Se mi lavo cosa cambia? Piaccio, forse, di più a qualcuno? Steinlauf a quelle parole si arrabbia e lo redarguisce con forza dicendogli che, così facendo, fa il gioco dei tedeschi, il cui fine è quello di renderli simili a bestie in quel lager. Il loro vero intento è quello di annullare, nei prigionieri, ogni residuo di volontà di rimanere esseri umani. Bisogna, dunque, evitare questa trappola, perché nel caso si riesca a sopravvivere a quell'inferno, si dovrà avere la forza di raccontare, di testimoniare a quale livello di malvagità può arrivare la mente umana. Quanta gente, oggi, gira gli occhi da un'altra parte per non vedere, per la paura di decidere, di scegliere? Sono persone pericolose, perché con la loro indifferenza possono distruggere sogni e progetti di uomini che, bene o male, una scelta l'hanno fatta. Con coraggio.
Soffiando nel vento (Bob Dylan) prima di essere chiamato uomo? E quanti mari deve superare una colomba bianca prima che si addormenti sulla spiaggia? E per quanto tempo dovranno volare le palle di cannone prima che verranno abolite per sempre? La risposta, mio amico sta soffiando nel vento, la risposta sta soffiando nel vento Per quanto tempo un uomo deve guardare in alto prima che riesca a vedere il cielo? E quanti orecchi deve avere un uomo prima che ascolti la gente piangere? E quanti morti ci dovranno essere affinché lui sappia che troppa gente è morta? La risposta, mio amico sta soffiando nel vento, la risposta sta soffiando nel vento Per quanti anni una montagna può esistere prima che venga spazzata via dal mare? E per quanti anni può la gente esistere prima di avere il permesso di essere libera E per quanto tempo può un uomo girare la sua testa fingendo di non vedere La risposta, mio amico sta soffiando nel vento, la risposta sta soffiando nel vento |
Quando ci incontrammo Quando ci incontrammo
Inge Mueller (1925-1966) |
p { margin-bottom: 0.21cm; } Come chiamereste quel particolare stato d'animo che deriva dalla giunzione di due sentimenti molto contrapposti tra loro come, ad esempio, la gioia più profonda e il più pungente dei dispiaceri, una sensazione che, spesso, abita il cuore di un individuo? Riuscire a trovare una definizione per tale sensazione, è un compito alquanto ingrato, credo, che, spesso intrapreso, ogni volta ci costringe ad un'amara rassegnazione, perché è come un orizzonte che si sposta di continuo, un qualcosa di ineffabile che non riusciamo a far diventare esprimibile. Io credo che il linguaggio umano non saprà mai conoscere, riconoscere e comunicare tutto quanto è umanamente sperimentabile e sensibile. E' un limite della nostra condizione di esseri umani, della nostra mente o un limite legato alla nostra cultura? Cosa,invece, ci permette di riconoscere, ad esempio, quelle lacrime che non scendono e si consumano negli occhi di una madre? I pensieri che attraversano la mente di un vecchio che , guardandosi le mani, sa che non servono più a niente e che il suo domani sarà altrettanto vuoto dell'oggi? Ma, forse, è anche un bene che non si riesca a definire certe sensazioni che nascono nel cuore. Un cuore che vuole rimane unico spettatore e che si rifiuta, ostinatamente, di comunicare con la mente. Quelle sensazioni saranno i suoi tesori che ne faranno un prezioso scrigno, per quando verrà voglia di aprirlo e aggrapparsi ai ricordi. |
Un caldo e splendido sole, stamattina, inonda di luce la campagna romana. Dopo la pioggia di ieri che, pare, renda felici e disposti a buoni pensieri alcune schiere di malinconici, una bella giornata si prospetta per le prossime ore, almeno fino alle prime ore del pomeriggio, stando alle previsioni meteorologiche. Maggie ha capito le mie intenzioni e comincia a fare la ruffiana, perché la porti con me a passeggio. Il vero problema è eludere l'attenzione degli altri tre cani: la gelosia non conosce regole, né confini. Così faccio finta di togliere le foglie secche dagli alberi, posti dietro casa. In questa operazione Maggie mi segue sempre, mentre gli altri tre preferiscono stendersi al sole davanti al cancello principale.L'inganno ci permette di guadagnare l'uscita dal cancelletto posto sul retro e andare via senza il solito concerto di protesta degli altri tre. Dopo un breve tratto su strada asfaltata, riprendiamo il sentiero di campagna che divide due vigneti che hanno appena offerto i loro frutti a mani esperte che li santificheranno tramutandoli in vino.Procediamo, io e Maggie,come usano procedere tutti in circostanze simili: ognuno con i propri pensieri. Oziosamente inseguo,nell'intimo, idee su alcune delle quali mi soffermo con un sorriso, da altre scappo come se dovessi salvare mia moglie dal fuoco, su un'altra ancora mi soffermo a valutare i pro e i contro, pur sapendo,in cuor mio, di desiderare che accada così come io vorrei. Intanto,Maggie, che si era allontanata per conto suo, come fa sempre, ritorna verso di me. Credo che abbia qualcosa in bocca, ma, sulle prime, non riesco a distinguere bene. Noto che, ogni tanto, lascia cadere quella cosa per riprenderla subito dopo. Poi riesco, finalmente, a realizzare cosa ha predato. E' un riccio e mi chiedo come diavolo faccia a tenerlo tra i denti senza pungersi il “tartufone”. Cerco di convincerla a mollare la presa, ma non mi ascolta e mi persuado che, in certi casi, padrone e cane parlano due lingue completamente diverse. Per fortuna, porto sempre con me, quando esco con lei, dei biscottini per cani. Ne tiro fuori due e glieli faccio vedere. Non resiste alla tentazione e molla il riccio. Ne approfitto, mentre li sgranocchia, per allontanare con il piede il riccio e intanto penso se, stamattina uscendo dalla sua tana, gli sia passato per la testa, anche lontanamente, di incrociare il suo destino con quello di un suo potenziale assassino e del suo salvatore. Maggie, intanto, ha finito di mangiare i biscotti e mi guarda come per dirmi: il dolce mi sta benissimo, ma il secondo dove l'hai messo? Gliene do un altro per ottenere la sua comprensione e rassegnazione incondizionate. Riprendiamo il cammino. In fondo al viottolo si vede la masseria di sora Pina, dove si trova dell'ottimo vino e pecorino. Sulla destra una casa colonica diroccata e in pieno abbandono. Dicono che appartenesse ad un'onesta e umile famiglia di contadini veneti. Poi, i figli hanno studiato,come i figli dei figli, e se ne sono andati a fare gli ingegneri a Milano. E' ora di tornare. Ripassando sul posto, dov'era il riccio ,noto che non c'è più. Segno che gli ho salvato la pelle. Guardo Maggie, le accarezzo il muso e le sorrido. |
L'assurdo è la lucida ragione
che constata i suoi limiti.
(A. Camus)
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