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Storia compatta dell'infinito

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Cui prodest

Post n°27 pubblicato il 05 Aprile 2014 da lettorecauto
Foto di lettorecauto

Dalle quattro conoscenze episodiche che ho della cultura romana antica, mi sembra evidente che abbiano poco a che fare con gli attuali italiani.  Acquedotti lunghi centinaia di chilometri con dislivelli centimetrici per chilometro,  o l’usanza di permettere ai legionari di insultare e sbeffeggiare i loro capi dopo una campagna vittoriosa, denotano una conoscenza profonda delle leggi della natura e di quelle del cervello, applicate ad una società.

La famosa frase “cui prodest (…)”, a chi giova? è un altra perla. Capire chi beneficia da una azione apparentemente oscura, ci dà una visione chiara degli eventi e ci permette una azione appropriata. Tutto questo però prescinde dalla “stupidita” che secondo Cipolla è una caratteristica comune del genere umano e fa più danni della “malvagità”, in quanto nessuno ci beneficia alla fine (vedi Schettino). Ne dobbiamo desumere che alla domanda “cui prodest” a volte non abbiamo risposta, perchè non esiste. Però, applicassimo il concetto alla analisi politica faremmo un lavoro eccellente. Ci accorgeremmo della stupidità o dei fini totalmente personali di alcuni di loro, e oggi staremmo meglio. Personalmente, pur considerando Berlusconi un evento negativo della politica italiana, trovo altrettanto sorprendenti l’ascesa al potere di Grillo, la assidua presenza di D’Alema ed altri. Se votassimo con la domanda di fondo “cui prodest” le cose, destra o sinistra, sarebbero diverse. Detto questo…vero è anche che la legge elettorale ci dà poche possibilità di decidere e che i più degli italiani comunque non votano.

Che però la logica sia totalmente assente dal tessuto culturale italiano non è vero. Esistono punti in cui esiste, ed ha assunto posizioni abnormi e fuori a volte dalla realtà, diventando astratta. Poco tempo fa obbligato ad una riunione sulla sicurezza, ho visto che il principio della azione penale nella infortunistica (la fine della azione invece non c’è mai, durando i processi decenni (ironico)) è che qualcuno sia comunque colpevole. Ad ogni disastro, ci deve essere un colpevole.  Questo è nobile, e pure vero. Logicamente ineccepibile. Spesso. Ma il buon senso e la conoscenza della matematica ci dicono altro. E’ evidente che una catastrofe sia la combinazione di eventi sbagliati, in cui qualcuno sbaglia. Ma a volte è una definizione probabilistica, in cui il peso dell’errore è minimo, seppur determinante (la goccia che fa traboccare il vaso). Non credo sia ragionevole pretendere la ricerca del colpevole assoluto, seppur lo scopo sia nobile, cioè escludere che l’infortunato sia totalmente responsabile della propria disgrazia per poterlo risarcire. In sintesi, se lo scopo è risarcire l’infortunato potremmo a volte farlo direttamente senza impegolarsi in tediose e costose eculubrazioni legali.

Ci si potrebbe chiedere, a questo punto, quale è il concetto del mio post. Il concetto è che il mondo è estremamente complesso, e che I nostri strumenti cerebrali di analisi basati sulle sensazioni o sulla astrattizzazione sono inefficienti. Ci va una combinazione empirica che tenga conto delle leggi della fisica e della natura. Come già facevano i romani, che analizzavano tutto, ma davano alla irrazionalità il giusto peso, a volte (lasciamo I soldati sbeffeggiare I capitani, sembra sciocco, ma funziona).

 

A presto.

 
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