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Una tranquilla, banale, ordinaria mattina del cavolo

Post n°502 pubblicato il 14 Ottobre 2009 da vertiginek

La giornata è cominciata con il telefonino che si è spaccato in tre parti. Mi sono alzata alle 6.30 e alle 7.20 il cellulare, di ultima generazione e acquistato lo scorso Natale, era già morto. Cioè, quasi morto. Per circa un’ora ho tentato di rianimarlo perché il led che ogni tanto si accendeva e allora ho creduto che fosse solo in coma. Poi, dopo la lenta agonia, è sopraggiunta la morte. Alle 9.00 in punto ero già davanti alla vetrina per comprarne uno nuovo. Lo vedo e dico alla commessa senza la minima esitazione: “Voglio quello”. Risposta: “Se ce l’avessi glielo venderei, in vetrina c’è solo la scatola giusto per far vedere che ce l’abbiamo”. “Ottimo” rispondo. “Ottimo che chiamo il fornitore che dovrebbe passare tra un’oretta  - mi fa la commessa – e provo a sentire se ce l’ha”. Chiama e capisco che il cellulare che voglio io è disponibile. Che culo.
Già che sono al negozio mi informo sulle ultime tariffe e chiedo se rispetto ai soliti 250 euro a bimestre è possibile risparmiare qualcosa. “Guardi – mi dice la commessa – può prima di tutto tenere sotto controllo il suo consumo limitando il minutaggio di conversazione, ad ogni modo c’è qualcosa che può fare al caso suo”. Arguta questa commessa, per questo io non potrei mai fare questo mestiere. Decido per una nuova tariffa e intanto è già passata una buona mezzora. Per cambiare il profilo è necessario avviare una pratica ma il computer non dà segni di vita. Si è inchiodato su una cazzo di pagina e non ne vuole sapere neppure di spegnersi. Diciamo che è la mia giornata fortunata. Intanto la commessa decide di staccare il contatore generale della corrente elettrica.. boh… e dopo una decina di minuti torna la luce e si rianima il pc. Arriva il fornitore con il mio nuovo telefonino. Lo guardo, lo provo, lo accendo ma non si accende. “A volte basta dargli un colpetto” mi dice con voce molto, molto, molto rassicurante un commesso che nel frattempo è arrivato. “Ecco, vorrei non dargli colpetti visto che dovrebbe accendersi di sua spontanea volontà solo sfiorandolo”. Il telefonino non si accende ma per fortuna ce n’è un altro identico che il fornitore ha consegnato assieme al mio e quello funziona.
Intanto la commessa continua a fare tutte le sue operazione per cambiare il mio profilo tariffario e si arriva alla firma dei moduli. “Deve mettere una firma qui leggibile”. “Se è leggibile – dico io seccata dalla richiesta ogni volta di firme che siano interpretabili – non è una firma”. E vergo sei-sette scarabocchi. Poi arriva il momento di pagare. Porgo la mia carta di credito. Non funziona. “Ha funzionato fino a ieri sera – dico io – ho fatto il pieno alla macchina e ho pagato con questa”. “Non so che dirle – ribatte la commessa – guardi qui, vede? Sullo scontrino c’è scritto pagamento non eseguito, errore di protocollo”. Riprova. Niente.
In preda ad una crisi isterica e vicina a cacciare un urlo stile Munch, tiro fuori un’altra carta di credito ma la commessa non l’accetta perché è di un circuito a cui il negozio non aderisce. Chiedo di lasciare in sospeso un momento il tutto per avere il tempo di fare un salto al bancomat. Naturalmente, per la serie che questa è la mia giornata fortunata, il bancomat mangia la mia carta di credito. Entro in banca, faccio un quarto d’ora di fila, parlo con un impiegato, gli chiedo di restituirmi la carta di credito e torno al negozio.
“Il bancomat ce l’ha con me – dico – cioè, anche il bancomat ce l’ha con me”. La commessa riprova e finalmente effettuo il pagamento. Prendo la busta con la scatola del telefonino e tutti i fogli e foglietti firmati per il nuovo contratto ed esco. Arrivo in macchina e, giusto per dar retta al mio folle sesto senso, apro la scatola per mettere la sim nel telefono e accenderlo. Non c’è il telefono. O cazzo!! Rientro nel negozio e chiedo se per caso il telefono è rimasto da qualche parte. Cerca e ricerca, il telefono è nelle mani del commesso che lo sta provando entusiasta: “Ancora non l’avevo visto questo modello – mi fa – bellissimo”. La fulmino che una saetta sparata dall’inferno non sarebbe stata niente al confronto. Afferro il telefono e torno verso la macchina dove trovo il vigile urbano che sta facendo la multa perché non ho pagato il parcheggio. “Vede – gli dico io indicando il tagliando giallo all’interno del parabrezza – ho il permesso di pubblica utilità che mi esonera dal pagamento del parcheggio”. Lui si avvicina e mi contesta il fatto che è coperto il numero di targa e non riesce a capire se quel permesso è davvero intestato alla macchina oppure no. Mi sembra di essere su Scherzi a parte, ad ogni modo prendo il permesso e glielo faccio leggere. Sul retro c’è il mio nome e cognome, e naturalmente il vigile mi chiede un documento. La patente è scaduta ma l’ho rinnovata giusto ieri sera e allora gli mostro anche il foglio della scuola guida in cui si attesta che ho già passato la visita dall’oculista e che ho pagato la bellezza di 75 euro per il rinnovo.
“Manca la marca da bollo” mi dice il vigile. “L’avrei già comprata se non fosse stato che mi si è rotto il telefono, sono andata al negozio di fronte per comprarne uno nuovo, avevano solo la scatola e ho aspettato che il corriere ne consegnasse uno, poi si è impiantato il pc per il cambio del profilo tariffario, poi non passava la carta di credito che poi il bancomat ha ingoiato, sono andata in banca per farmela restituire, poi sono tornata a prendere il telefono e mi sono accorta che c’era solo la scatola. Non le dico che mattina”. E questo poveraccio: “Senta vada a comprare una marca da bollo da 14,68 euro, la attacchi sul foglio che le ha rilasciato la scuola guida e per favore per oggi si chiuda in casa, a chiave possibilmente”.
Poi mi chiedono perché mi fa così tanto male la testa.

 
 
 
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