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Post N° 23

Post n°23 pubblicato il 17 Gennaio 2008 da de_Molay88
 
Tag: Maya

LA STELE DI PALENQUE
mitologia Maya

é giunto il momento di chiudere
definitivamente un capitolo della Paleoastronautica

che per oltre quarant’anni è stato avvolto da un fitto alone di
mistero: "l’Astronauta di Palenque".
Nonostante la grande passione che entrambi nutriamo da diversi anni per
la Paleoastronautica e la Clipeologia, abbiamo preso la sofferta
decisione di spezzare una lancia a favore dell’archeologia
tradizionale, fornendo con la presente un’interpretazione esplicativa a
nostro parere di gran lunga più plausibile della popolare ipotesi
extraterrestre e di quella convenzionale.
È nostra profonda convinzione, difatti, che i fautori della prima, del
calibro di Peter Kolosimo ed Erich Von Däniken, abbiano male
interpretato, sia pure in buona fede, il complesso ed articolato
bassorilievo raffigurato sulla pietra tombale e che la seconda sia
troppo approssimativa.
Nel 1974 un congresso di studiosi interpretò il simbolismo della stele
di Palenque come una sorta di transfert artistico-metaforico su pietra
del tema della rinascita spirituale; in tale contesto la figura umana
centrale, identificata con il sovrano-sacerdote Hanab Pakal II°,
sarebbe posta sopra una maschera del dio della pioggia da cui erompe un
singolare albero cruciforme con un serpente bicefalo ed il Quetzal. Il
dubbio tuttavia permane tenacemente.
Da recenti studi condotti da alcuni archeologi e sintetizzati in un
videosupporto integrativo della BBC all’opera "Archeologia: luoghi e
segreti delle antiche civiltà" con il titolo "Maya: il popolo
ritrovato", è emerso che la pietra tombale non rappresenta affatto un
velivolo di origine extraterrestre né l’individuo che sembra pilotarlo
è un paleocosmonauta.
L’inusitato bassorilievo, corredato con numerosi motivi ornamentali che
ricorderebbero moderni elementi strutturali meccanici, è in realtà il
risultato dell’euritmica combinazione artistico-allegorica di sei
bassorilievi, rinvenuti singolarmente ed indipendentemente gli uni
dagli altri in differenti siti archeologici e di cui gli esperti di
civiltà precolombiane hanno stabilito incontrovertibilmente l’esatta
valenza simbolica.
Il lucido contrassegnato con il numero 1 prende in esame il glifo che
nella stele disposta verticalmente è visibile in basso. Considerato
singolarmente tale rilievo rappresenta l’occidente, dove il sole
calante si reca a morire e dove è ubicato l’accesso al regno dei morti.
In un’antica mappa Maya, l’occidente è collocato in basso, proprio come
nella stele ed il nord, simboleggiante la terra della pioggia, è a
sinistra di esso. Il sud, a destra, rappresenta il sole a mezzogiorno,
luogo del calore ed infine l’est, in alto, il luogo dove sorge il sole
e quindi dove ha inizio la nascita o la rinascita.
Secondo la mitologia Maya, i quattro punti cardinali sono uniti da una
gigantesca croce che sorge per divenire l'albero del mondo che collega
il cielo, la terra ed il mondo degli inferi.
Tale croce, riconfigurata secondo i canoni estetici dell’arte Maya e
riportata nel lucido numero 3, simboleggia anche l’albero,
nell’accezione naturalistica del termine, la Via Lattea ed il "Bianco
Cammino", la sacra strada che corre da oriente ad occidente, dalla
nascita alla morte.
Nel lucido numero 4 è visibile un serpente a due teste, simbolo di
Itzamnà, il dragone celeste dei Maya ed allegoria della vita e della
morte mentre il lucido numero 5 mostra il Quetzal, l’uccello sacro
della mitologia centroamericana e odierno simbolo nazionale del
Guatemala. Nel lucido contrassegnato con il numero 2 si nota una sorta
di trono su cui è raffigurato in bassorilievo quello che la maggioranza
degli archeologi ritiene essere la maschera ossea scarnificata del dio
della morte, signore del livello dell’Oltretomba.
L’ultimo lucido, il numero 6, ritrae quasi sicuramente Hanab Pakal II°,
sovrano-sacerdote di Palenque, di cui la stele in questione costituisce
il coperchio del sarcofago che ha custodito per secoli le sue spoglie
mortali.
La chiave per decodificare il complesso simbolismo risultante
dall’unione allegorica dei sei bassorilievi è fornita proprio dalla
presenza di Hanab Pakal II° (fiore scudo, nell’antico e non del tutto
decrittato idioma Maya), che nella rigida e piramidale gerarchia
sociale delle città-stato Maya rappresentava il fulcro dell’universo.
In virtù di tale privilegiata condizione gli artefici della stele di
Palenque lo hanno collocato al centro del bassorilievo. Secondo
l’interpretazione che alcuni archeologi danno della pietra tombale, la
comprensione della modalità ideologica con cui la figura di Hanab Pakal
II° si incastra nel contesto allegorico generato dal mosaico glifico,
scaturisce dalla considerazione che nella mitologia Maya la farina di
frumento rappresenta la materia primordiale ed amorfa da cui tutti gli
esseri umani vengono procreati. Tale credenza nasce dalla sublimazione
della consapevolezza che il mais è la fonte primaria di alimentazione e
se in una qualsiasi cultura il benessere fisico è garantito, allora la
società, l’economia e la potenza militare possono gettare solide
fondamenta su un fertile "pabulum". In tale ottica Hanab Pakal II°
sarebbe quindi identificabile con il dio del mais. La conclusione a cui
siamo giunti dopo aver meticolosamente esaminato il materiale
letterario e filmico in nostro possesso e soprattutto il simbolismo di
cui ciascuno dei sei glifi è portatore, diverge in parte da quella a
cui sono approdati alcuni archeologi e si ispira, accostandovisi per
alcuni elementi, a quella scaturita da ricerche condotte da altri
studiosi, interpretazione quest’ultima a nostro parere più plausibile e
realistica.
Testata d’angolo su cui la civiltà Maya edificò, come del resto tutte
le grandi culture del passato, l’impalcatura religiosa, fu la profonda
consapevolezza interiore che l’anima fosse immortale e che una volta
deperito il corpo fisico si elevasse in cielo in un atto di rinascita
spirituale per continuare ad esistere in eterno.
Secondo il nostro modesto parere, questo iter spirituale è descritto
con dovizia di particolari, probabilmente con intento propiziatorio,
proprio nel bassorilievo della stele di Palenque, di cui Hanab Pakal
II° è la figura dominante e centrale, il fulcro dell’universo appunto.
Egli è raffigurato nell’atto di emergere dall’accesso al regno
dell’oltretomba, allegoria questa della sconfitta della morte e della rinascita
spirituale.
Gli artefici del manufatto hanno voluto conferire alla genesi
escatologica del re-sacerdote una soluzione di continuità attraverso il
"Bianco Cammino" ritraendo Pakal, che proprio a questo punto del suo
viaggio spirituale si identifica secondo alcuni archeologi con il dio
del mais, nell’atto di percorrere in senso inverso rispetto a quando
era in vita la strada che decorre da oriente ad occidente, dalla
nascita alla morte, quindi nell’ottica post mortem da quest’ultima alla
rinascita dell’anima immortale. Il Quetzal, il sacro uccello, simbolo
del cielo, rappresenta la meta finale del percorso spirituale di Pakal
oppure il veicolo grazie al quale egli ascende in cielo dove vivrà in
eterno.
A questo punto ci sembra doveroso passare in rassegna alcuni dettagli
anacronistici che potrebbero ancora instillare dubbi sulla correttezza
della nostra analisi.
I ricercatori di Paleoastronautica hanno voluto vedere nella cintura
cerimoniale di Pakal una moderna cintura di sicurezza, tuttavia tale
interpretazione, se inquadrata nell’ottica allegorica della stele di
Palenque, risulta priva di fondamento.
Da notare inoltre che la cintura in questione è della stessa foggia dei
bracciali che il re-sacerdote indossa ai polsi ed alle caviglie,
bracciali impreziositi da denti di giaguaro.
Il bizzarro copricapo che sovrasta la testa dell’uomo della stele non è
affatto un casco spaziale bensì un copricapo da guerra. Una prova di
ciò è fornita dal rinvenimento in alcuni siti archeologici di
bassorilievi raffiguranti guerrieri con tale copricapo indosso ed il
contesto in cui queste figure sono inserite induce a ritenere che i
copricapi in questione abbiano una valenza bellica.
Un’analisi superficiale della pietra tombale potrebbe trarre in inganno
la percezione visiva di un osservatore poco accorto, creando in lui la
convinzione illusoria che il re-sacerdote azioni con entrambe le mani
una sorta di leve o pomelli, tuttavia è lapalissiano come il presunto
dispositivo di pilotaggio manovrato con la mano sinistra sia in realtà
uno dei molteplici motivi decorativi dell’albero del mondo. La mano
destra invece non afferra alcunché.
Qualche studioso sostiene che l’uomo "cavalchi" il presunto velivolo
che in ragione di ciò è stato da molti identificato con una sorta di
aereomoto.
Risulta evidente, tuttavia, come ciascun arto inferiore individui nello
spazio contestuale del bassorilievo un piano ben delimitato,
raffigurato anteriormente rispetto all’albero cruciforme. Se gli arti
inferiori di Pakal fossero stati ritratti uno per lato sarebbe stato
corretto concludere che il sovrano-sacerdote assumesse effettivamente
la postura di chi conduce una moto o monta un cavallo, tuttavia tale
condizione situazionale non è riscontrabile nel bassorilievo.
Il presunto dispositivo raffigurato in prossimità del naso di Pakal,
proprio in ragione dell’estrema vicinanza ad esso, è stato interpretato
come un moderno inalatore d’aria, simile a quelli di cui i piloti degli
aerei militari usufruiscono quando volano ad alta quota, tuttavia ci
sembra più plausibile considerarlo, anche in questo caso, uno degli
innumerevoli motivi ornamentali che costellano il bassorilievo.
Ad un esame più approfondito risulta chiaro come esso non penetri
affatto nelle cavità nasali del regnante bensì sia posto in
corrispondenza dell’estremità distale del naso senza peraltro neanche
sfiorarlo.
L’esame dei resti di Hanab Pakal II° ha consentito di quantificare la
sua statura in 173 centimetri, quasi 20 centimetri in più rispetto
all’altezza media dei Maya (circa 155 centimetri).
Questa apparentemente anomala peculiarità anatomica non deve essere
frettolosamente ed acriticamente ricondotta alla sia pur remota
possibilità che il sovrano-sacerdote non fosse originario di questo
pianeta in quanto in tutte le culture passate e presenti vi sono
individui la cui altezza è ben oltre la media senza che per questo
portino nella propria struttura cellulare un genoma alieno.
 

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