IL SOCIALISTA

Il Pdl discuta sulle idee di Fini


Intervista di Aldo CazzulloMinistro Tremonti, nel Palazzo della politica si parla di complotti, di elezioni anticipate, di nuove maggio­ranze. Lei che ne pensa?«Da un po’ di mesi, più che un Palaz­zo sembra una caverna».Caverna?«La caverna di Platone. Nella caver­na di Platone gli uomini non vedono la realtà, ma le ombre della realtà pro­iettate sulle pareti. Vedono immagini, profili, stereotipi, imitazioni della real­tà. Il mondo esterno, la realtà, è una cosa; l’immagine della realtà, vista dal profondo della caverna, è un’altra. C’è una drammatica asimmetria tra la real­tà del Paese e del governo e la rappre­sentazione che se ne fa. Dal lato della realtà, c’è la realtà, certo con tutte le sue complessità: negatività ma anche positività, crisi ma anche crescente co­esione sociale. Dal lato della caverna, è l’opposto o il diverso. Non solo non si vede l’essere, ma a volte si confonde l’essere — quello che è — con il dover essere — quello che si immagina deb­ba essere —; o con il voler essere, cioè quello che per proprio conto e torna­conto si vorrebbe fosse».  Chi lo vorrebbe? A chi si riferisce? Ai media? Alle opposizioni? Alle éli­tes?«Il prodotto del lavoro politico del­le élites è oggi un po’ come una nave in bottiglia. La nave è perfetta finché sta dentro la bottiglia; e l’involucro della bottiglia è anche la stampa, che tende a fornire una rappresentazione perfetta della nave. Però è una nave che affonda appena la metti non dico in mare aperto, ma nella vasca da ba­gno. Perché, come diceva quel tale, i fatti sono testardi...».Quel tale è Stalin?«Da ultimo. Mi pare che prima lo avesse detto Hegel. Ma può essere che sbagli, perché milito in una formazio­ne politica priva di 'legittimazione cul­turale'. A chi pensa davvero non serve un 'pensatoio'. Un certo lavorio cultu­ral- politico ricorda l’ironia di Barthes sul lavoro a merletto delle signorine di buona famiglia, parodia borghese del lavoro finto al posto del lavoro ve­ro. Cosa vuole: con rispetto per i mer­­letti, l’ozio è il padre dei vizi. All’oppo­sto, chi lavora non ha tempo per rica­mare. Passiamo dal ricamo alla realtà. Crisi in greco vuol dire discontinuità. E discontinuità è anche opportunità. Nelle strutture del reale, abbiamo para­dossalmente un dividendo positivo della crisi in termini di ritorno dell’eti­ca, di consolidamento della coesione sociale. Questo non significa l’assenza della crisi; anzi, proprio perché c’è la crisi abbiamo la riduzione del conflit­to e l’avvio dell’economia sociale di mercato. All’opposto, nella sovrastrut­tura c’è il contrario di quello che è il Paese e di quello che è nel Paese, il ten­tativo ossessivo di rottura. Da una par­te si chiede giustamente la celebrazio­ne dei 150 anni dello Stato; dall’altra parte c’è una caduta del senso dello Stato, con un eccesso di violenza che non corrisponde all’interesse naziona­le ».Si riferisce agli attacchi a Berlusco­ni?«Esattamente. Mi riferisco a una campagna che è orchestrata come un’ordalia paragiudiziaria, tra l’altro senza che alla base vi sia alcun elemen­to giudiziario. Domande e sentenze. L’appello al tribunale dell’opinione pubblica. Il farsi dei giornali giudici».La stampa fa il suo mestiere: dare notizie, e commentarle.«Un conto è il potere della stampa come contropotere, a tutela della liber­tà dei cittadini contro l’eccesso, con­tro il 'detournement ' del potere esecu­tivo. Questa è la funzione essenziale della libera stampa: rappresentare i fat­ti non orchestrarli, non sostituirsi al popolo nel gioco democratico».Non crede che Berlusconi abbia fatto il gioco dei suoi critici, deciden­do di alzare la voce e rispondere col­po su colpo?«Chi avrebbe fatto diversamente? A un’azione corrisponde una reazione. Mi chiedo piuttosto: tutto questo è nel­l’interesse del Paese? Io non credo che lo sia. Ora basta. Credo che nell’inte­resse nazionale sia fondamentale usci­re dalla caverna e guardare la realtà. E il governo è nella realtà, non nella ca­verna. Per quello che fa, e per come gli italiani valutano e vedono quello che fa. Non è un caso che questo governo attraverso la crisi abbia aumentato il suo consenso. Se la democrazia è un referendum quotidiano, la realtà corri­sponde positivamente al governo e il governo corrisponde alla realtà, più di tutto il resto. E se c’è una formula per uscire è che, fatto il congresso del Pd, riparta davvero organicamente l’oppo­sizione politica».Franceschini o Bersani pari sono?«Non voglio danneggiare nessuno dei due con la mia preferenza. L’impor­tante è il congresso. Una svolta positi­va democratica può essere data pro­prio dalla ripartenza dell’opposizione in Parlamento. Non tanti e diversi, ma 'un' interlocutore responsabile con cui parlare su ciascun tema».In Parlamento c’è un’altra maggio­ranza possibile?«Per risolvere i grandi problemi, co­me ha indicato l’esperienza dell’ulti­mo governo Prodi, servono grandi nu­meri. Prodi aveva piccoli numeri, e per di più litigiosi. Quelli che parlano oggi non hanno neanche i numeri».Casini dice che una nuova maggio­ranza si trova in dieci minuti.«Non credo. In ogni caso, se fosse, durerebbe a sua volta dieci minuti».Chiede il «time out», quindi? Sem­bra volerlo anche Franceschini, quando nota che «il caso escort ha danneggiato anche il Pd».«Non lo chiedo io. Lo chiede l’inte­resse del Paese. Può essere un contri­buto positivo del congresso dei demo­cratici ».Anche l’ombra delle elezioni antici­pate esiste solo nella caverna?«Certo. Il governo Berlusconi è sta­to eletto sulla base di un programma elettorale. La fedeltà al programma non è un optional; è un elemento fon­damentale dell’etica politica. Un gover­no senza programma o un program­ma senza governo non sono quello che serve al Paese e non sono quello che è nel nostro cuore e nella nostra mente».La Lega non pesa forse troppo sul governo?«La Lega è l’unico alleato che abbia­mo. La sintesi politica la fanno, e sem­pre bene, i due leader, Berlusconi e Bossi».Fini rivendica più democrazia in­terna al Pdl. È davvero isolato?«La macchina politica è un po’ co­me un computer. È fatta da hardware e da software. È fatta dagli apparati, che vanno dalla base verso i vertici— dagli amministratori locali agli organi di presidenza — e da idee e principi, simboli e messaggi. Fini ha posto tut­te e due le questioni: quella dell’hard­ware e quella del software. Ci sono nella politica contemporanea due for­me di hardware, e corrispondono al­l’alternativa non casuale tra 'Partito della libertà' e 'Popolo della libertà'. La scelta, nell’alternativa tra partito e popolo, è stata nel senso del popolo. Partito è una struttura novecentesca; popolo è una forma diversa di fare po­litica. Ma è politica, appunto, e non dogmatica o scolastica. Il fatto che sia popolo e non partito non esclude dun­que in radice forme comunque utili e necessarie di organizzazione. E queste possono e devono essere attivate in forma sempre più intensa e organica, per scadenze, temi, decisioni; su que­sto credo che nessuno, neanche il pre­sidente Berlusconi, sia contrario. Si può assumere anzi che questa formu­la non riduca ma rafforzi la sua leader­ship ».Fini pone anche una questione di idee e principi.«Giusto. Un computer ècorpus mecanicum , che resta inerte, senza il software. E su questo campo, in que­sto mese, si è sviluppata l’azione di Fi­ni. Ed è su questo, su immigrazione, interesse nazionale, tipo di patria, glo­balizzazione, catalogo dei valori e dei principi, che non solo tra Fondazioni ma dentro il Pdl si può e si deve aprire una discussione, dove vince chi con­vince. Una discussione preparata ma­gari anche da un nuovo centro studi. Questo non vuol dire cambiare il pro­gramma elettorale, ma capire il pro­gramma elettorale».Crisi: siamo nella fase della paura o della speranza?«Siamo in zona prudenza. La paura è finita, ed è finita perché sono scesi in campo i governi. Nel mondo, un’enorme massa di debiti privati è stata girata sui debiti pubblici, e que­sto trasferimento è stato decisivo per eliminare la sfiducia. Non è che così i problemi sono stati tutti risolti, ma la catastrofe è stata evitata, ricostruendo una base fiduciaria indispensabile al­l’economia. Proprio perché alla platea dei debitori privati si è sostituita la so­vranità degli Stati. Il ritorno degli Stati può essere positivo anche perché por­ta con sé il ritorno delle regole neces­sarie per evitare crisi future. E il 'di­scorso sulle regole', nell’agenda inter­nazionale, l’ha posto il governo Berlu­sconi ».L’Italia però ha un enorme debito pubblico, che continua a crescere.«La crescita del debito pubblico ita­liano è causata solo dalla decrescita dell’economia, ed è comunque per la prima volta negli ultimi decenni infe­riore alla velocità di crescita degli altri debiti pubblici. Secondo le proiezioni, questo differenziale fondamentale ne­gativo dell’Italia si chiuderà, in rappor­to con gli altri grandi Paesi europei, nei prossimi anni. In più abbiamo un enorme stock di risparmio e l’Italia non ha un’economia drogata dalla fi­nanza ma la seconda manifattura d’Eu­ropa. I confronti non si fanno sul pas­sato, quando la crescita degli altri era drogata da un eccesso di debito priva­to, ma sul futuro. Un futuro che è tut­to da scrivere».Ma per affrontarlo, vi ricordano in molti, servono le riforme strutturali.«La riforma delle riforme è il federa­lismo fiscale. Non è il progetto di una forza politica, ma il futuro dell’Italia. Che rischia di essere un Paese troppo duale. Il Centro-Nord, 40 milioni di abitanti, un medio-grande Paese euro­peo, da solo produce più ricchezza del­la media europea. Il Meridione d’Ita­lia, 20 milioni di abitanti, grande co­me Portogallo e Grecia messi insieme, sta invece sotto la media europea. Mai come nel 'caso Italia' vale il discorso di Trilussa sulla statistica dei due pol­li. Non solo. In Italia di polli ce ne so­no tre: c’è anche il terzo pollo, il pollo dell’evasione dell’illegalità della crimi­nalità. Metà del governo della cosa pubblica è in Italia fuori dal vincolo democratico fondamentale:no taxa­tion without representation . È questo il caso tipico dello 'Stato criminoge­no', che produce irresponsabilità, amoralità, evasione fiscale. Ed il Sud ne soffre di più. Possibile che sia così difficile trovare al Sud un amministra­tore che non abbia la moglie o la sorel­la, un parente o un compare proprieta­rio di una clinica? La Calabria non ha quasi più i bilanci, le giunte di Campa­nia e Puglia sono quel che sono. Il fe­deralismo fiscale è la risposta che chiu­derà la questione meridionale — oggi più che mai questione nazionale — e produrrà le risorse per le altre rifor­me ».