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Se il Pianeta muore di Bistecca

Post n°8 pubblicato il 27 Marzo 2008 da jhulianne

LA STAMPA
25 MARZO 2008

MARIO TOZZI

Proviamo a riflettere
ancora una volta sulla scelta degli uomini di +sacrificare; animali in
grandi quantità in occasione delle feste comandate, magari appena dopo
un digiuno o un venerdì +di magro;. Atteso che quasi nessuno ricorda
più neppure lontanamente l'eventuale origine religiosa o tradizion ale,
resta l'ecatombe priva di senso logico e del tutto fuori linea rispetto
al futuro ambientale del pianeta. Non è questione di empatia con altri
esseri viventi. Non è, in altre parole, questione di decine di migliaia
di agnelli sgozzati, di centinaia di migliaia di maiali dissanguati e
milioni di polli costretti a vivere tutta la loro vita nello spazio di
un foglio A4: nessun animale si comporta così verso gli altri, e già
questo uso industriale e massivo di altri viventi ci porrebbe
oggettivamente fuori dal corso naturale della storia del pianeta. Il
fatto è che gli uomini non nascono carnivori ni predatori, al
contrario, come testimoniamo i ritrovamenti paleontologici per anni
male interpretati: noi eravamo oggetto della caccia di tigri dai denti
a sciabola insieme ai mammuth, non gli uccisori degli altri.
Dentizione, lunghezza dell'intestino e molti altri caratteri
testimoniano che eravamo destinati a mangiare vegetali e solo
occasionalmente proteine di origine animale, carogne o animali malati
cacciati per caso, un po' come fanno altri primati.
Non è neppure
questione di salute, sebbene da tempo i dati medici espongano molto
chiaramente che un eccesso di consumo di carni produca malattie
cardiovascolari, diabete e tumori. I tre milioni di danesi che furono
costretti dall'embargo del 1917 a una dieta di patate e orzo (da grandi
consumatori di burro, latte e carni bovine che erano) videro ridotto il
tasso di mortalità di quasi il 35%. Come a dire che vivere al vertice
della scala delle proteine è piuttosto un rischio che non un vantaggio.
Nelle culture carnivore occidentali l'incidenza del tumore al colon è
dieci volte superiore a quella delle culture vegetariane asiatiche,
tanto da arrivare alla conclusione che la sola quantità ottimale di
consumo di carne rossa è zero.
E' un'altra, però, la ragione per
abbattere il con sumo di carne. E' una ragione ambientale nel senso più
ampio del termine. Per allevare il complesso bovino mondiale, composto
da quasi un miliardo e mezzo di capi, ci vogliono pascoli sempre più
ampi: ma dove li impiantiamo, visto che la superficie di terre emerse è
sempre quella e che, anzi, la terra migliore, quella più fertile e più
vicina alle fonti d'acqua, è già virtualmente esaurita? Pervicacemente
si sottraggono territori sempre più ampi alle foreste tropicali e
pluviali, che però reggono uno sfruttamento industriale solo per cinque
o sei anni, dopo di che non sono più fertili e dunque spingono a
disboscare nuove terre. La carne sottrae foresta al mondo, visto che
per ottenerne 1 kg ce ne vogliono 9 di mangimi: gli animali di
allevamento non consumano liberamente erba come si crede, ma vengono
+finiti; (come si dice) a cereali. E a chi verrano sottratti quei
cereali, se non ad altri uomi ni, che per questo patiranno la fame? Un
manzo di allevamento di 500 kg ha consumato 1200 kg di granaglie, come
a dire che, solo negli Usa, 157 milioni di vegetali, che potrebbero
essere consumati dagli uomini, finiscono invece a produrre 28 milioni
di tonnellate di carne. E per allevare un manzo ci vuole tanta acqua
quanto quella che serve a far galleggiare un incrociatore. Ha un senso
tutto questo in un pianeta in cui sono milioni coloro che non hanno il
mais per sopravvivere, mentre altri si devono mettere a dieta per
ridurre i rischi del consumo di carne? Desertificazione, disboscamenti,
sprechi dacqua, alterazioni degli ecosistemi, inquinamento delle
falde, incremento dei gas serra sono questi i veri motivi per cui
dovremmo ridurre il consumo di carne. Ma mettere in conto i danni
ambientali della bistecca è un tabù che nessuno si sogna di discutere
seriamente.

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