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Post N° 690

Post n°690 pubblicato il 20 Giugno 2006 da corsaramora

           

L’indagine di Potenza coincide con l’entrata in vigore dei due penultimi decreti che attuano la riforma Castelli. Coincide con l’inizio di efficacia di una norma che, letta fuori del contesto costituzionale, renderebbe il procuratore capo unico titolare dell’azione penale. La norma prevede anche che solo il capo possa interloquire con la stampa e mai i singoli sostituti. Siamo in presenza, dunque, di un forte corto circuito

Da un lato abbiamo un’indagine condotta con mezzi invasivi, quali le intercettazioni con l’immancabile divulgazione mediatica dei verbali, dall’altro una normativa che sembrerebbe d’ora innanzi rendere difficili tutte le iniziative dei sostituti procuratori. Cosicché i detrattori, per partito preso, dell’indagine guardano alle nuove regole con speranza, i sostenitori, anch’essi per partito preso, rimpiangono l’introdotto indebolimento dei poteri dei pm. Credo che proprio la loquace confusione del momento debba indurci a ragionare con la necessaria, per quanto difficile, pacatezza. La Costituzione affida la funzione giurisdizionale ai magistrati ordinari, senza distinguere tra giudici e inquirenti. Dunque il capo dell’ufficio non potrà impedire che il sostituto in presenza di indizi indaghi, e in presenza di elementi che giustificano il dibattimento, chieda il rinvio a giudizio. Il capo della procura è l’unico a poter fare conferenze stampa, questo è certo. Ma la sua non è una comunicazione privata. È pubblica e deve riflettere l’orientamento dei suoi sostituti. Ben altro allora è la tutela della riservatezza delle persone messo in pericolo da una diffusione delle intercettazioni che nulla ha a che vedere con il controllo sociale sulla giurisdizione. L’esperienza della globalizzazione e della forte capacità dei centri finanziari di collegarsi tra loro al di là di ogni barriera statuale e geografica dimostra che i poteri, vecchi e nuovi, soffrono i controlli. In tutti i sistemi democratici la funzione di controllo è in crisi, perché chi dovrebbe assoggettarsi rifiuta di farlo e invoca immancabilmente ragioni di efficienza di mercato e ragioni di libertà individuale, cioè pretese di irresponsabilità. Queste ragioni esistono, ma il problema è bilanciare le esigenze della sicurezza collettiva, che richiedono capacità di indagine effettiva e informazione tempestiva, con quelle che riguardano il diritto del singolo. Credo sia una sciocchezza l’idea di punire chi pubblica. Non solo perché la pericolosità delle pretese di irresponsabilità, tra l’altro difficili da individuare, può essere contrastata solo con una conoscenza contestuale al loro manifestarsi. Ma perché una simile norma non la farebbe nessuno. Men che mai la debolissima politica che abbiamo di fronte. Non credo sia possibile nemmeno immaginare un momento di chiarezza, di apertura a tutti, giornalisti compresi, dei risultati dell’indagine. Questo dovrebbe avvenire già oggi. Mentre il problema è che le pubblicazioni dei verbali, cioè la loro uscita dal segreto di Pulcinella fatto di decine di magistrati, avvocati, poliziotti e impiegati, avviene proprio nella fase di segretezza. Credo si debba ragionare in tema di autoriforma possibile. Credo, senza farmi molte illusioni, al di là delle iniziative legislative che si tenteranno, che avvocati, magistrati e giornalisti debbano riflettere su quanto la loro funzione si stia indebolendo di fronte all’uso strumentale dei diritti di riservatezza. Occorre una presa di coscienza deontologica circa il pericolo che corrono i controlli. Per capire che la realtà del controprocesso fatto il giorno dopo sul giornale, come avveniva negli anni Cinquanta, non è quella dell’indagine parallela o addirittura anticipatrice di quella giudiziaria fatta dal mezzo televisivo. Cosicché l’opinione pubblica non ha il tempo di distinguere il virtuale dal reale, e non ha il dovere di fare studi giuridici prima di vedere un tg per formarsi una determinazione politica. Alla fine, la qualità della nostra democrazia del diritto può essere influenzata in modo decisivo non solo dalla confusione dei nostri linguaggi, ma dall’attesa di una riforma che faccia il miracolo di far processare i ladri dopo un’indagine innocua, elegante ed educata come una tavola rotonda tra giuristi

 
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