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Post N° 711

Post n°711 pubblicato il 02 Agosto 2006 da corsaramora

Il discorso è difficile e troppe volte è stato evitato. Eppure è indifferibile affrontarlo, sfidando l’impopolarità e perfino la incomprensione. Nel Medio Oriente non è oggi in corso una delle tante dolorose guerre locali tra lo Stato d’Israele e le organizzazioni militarizzate dei Palestinesi. Ormai si è di fronte ad una guerra che coinvolge, in forme ancora diverse, tutti o quasi gli Stati della regione. Sono coinvolti gli Stati islamici radicali (Siria e Iran), che controllano o dominano (poco conta la differenza) il Libano e l’Autorità Palestinese, dove, non dimentichiamolo, elezioni democratiche hanno portato al governo forze estremistiche e terroristiche. Ma coinvolti sono, indirettamente, anche gli Stati arabi moderati (Egitto, Giordania, Arabia Saudita), ridotti al silenzio nel timido tentativo di conservare la propria attuale configurazione politica (aperta alla collaborazione, più o meno fedele, con l’Occidente), salvandola dal rischio del radicalismo, allignante nella popolazione. Sono convinto che serva poco e significhi poco cercare i responsabili di questa situazione tra i belligeranti. I responsabili sono altrove. Grande è la responsabilità degli Stati Uniti, che da decenni strumentalizzano Israele, facendone il proprio gendarme per vigilare una delle zone più ricche di petrolio, necessario al proprio sviluppo economico. 

Le amministrazioni democratiche (basti ricordare quella di Bill Clinton) avevano avvertito il modificarsi della situazione dopo decenni di subordinazione araba e avevano cercato di trovare una soluzione. L’amministrazione repubblicana, dominata da un pericoloso neoconservatorismo, ha interrotto questi sforzi e aggravato la situazione, in nome della guerra preventiva e dell’unilateralismo della massima potenza militare del mondo. Non discuto la gravità dell’attentato delle due torri. Ma siamo sicuri che la guerra in Iraq (non sto parlando di quella in Afghanistan, legata appunto all’attacco terroristico), sia stata una risposta al terrorismo? Rimasi colpito quando, in un seminario organizzato dal gruppo Ds del Senato, in previsione della guerra in Iraq, un esperto disse che la vera ragione era altra. Ricordo che, proseguendo ai ritmi attuali, tra il 2025 e il 2030 la Cina sarà la maggiore potenza mondiale e che gli Stati Uniti cercano di arginare questa evoluzione, controllando le fonti di energia, e di ritardarla in tutti i modi, creando un nuovo e diverso equilibrio geo-politico e strategico. Credo che la tesi meriti di essere considerata attentamente, senza escludere, di certo, la risposta al terrorismo, ma evitando di ergere questo ad alibi di ogni azione sbagliata. Ma come e chi può dire con serietà che in Iraq si sta costruendo la democrazia, quando ormai è quotidiano il bollettino degli attentati e delle decine di morti? Ancora. Mi sembra difficile non prestare attenzione alla minaccia dell’opzione militare per controllare lo sviluppo atomico iraniano. Che non possa essere questa un’altra opzione unilaterale e preventiva per bloccare un pericolo di proliferazione atomica, costi quel che costi, una simile opzione, potendosi contare su una potenza militare oggi senza confronti? Israele va difeso in ogni modo. Ma non può correre il rischio di trasformare la propria difesa in un ricatto morale verso l’Occidente, in nome di ciò che l’Occidente (sia pure in una sua forma patologica) ha fatto soffrire al popolo ebreo. Ha ragione il Papa: la violenza non si ferma con la violenza. I valori morali, religiosi, civili non si difendono con le crociate. Aiuta Israele chi chiede di non usare la legge del taglione. Il discorso è difficile, l’ho detto. Ma l’antisemitismo si vince se non si deve condannare Israele per le stragi di bambini (come quella di Cana) e di civili. L’antisemitismo si vince in nome dei valori della solidarietà, della tolleranza, del rispetto, della libertà. L’antisemitismo si vince se non si strumentalizza Israele, in nome del suo sacrosanto diritto alla difesa, alla vita tranquilla, come uno Stato tra Stati diversi e autonomi, e non perché serva agli interessi strategici di qualche potenza o superpotenza. 

il mattino


 
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