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Post N° 152

Post n°152 pubblicato il 20 Giugno 2005 da corsaramora

NAPOLI..un giorno qualsiesi ...di un anno qualsiesi...

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Le campane della chiesa in via Chiaia suonano a lutto. Davanti all’altare giacciono due bare ricoperte di fiori bianchi. I defunti avevano venti e ventidue anni. Di cosa sono morti? “Fatalità”, sospira un uomo. Ma una vecchia signora sbotta : “L’assassino è il sindacoo

 il sindaco , che ha ingaggiato una lotta decisa contro la criminalità. Con lui  il capo della Procura di Napoli, che conduce una battaglia senza pietà per sconfiggere la camorra, la mafia napoletana, i cui principali esponenti sono tutti in prigione.
Via Chiaia fiancheggia da un lato una zona residenziale, dall’altro i vicoli dei quartieri spagnoli, una delle zone più difficili della città, con i suoi banditi, gli eterni scugnizzi di Napoli.

Si potrebbe pensare che i vicoli di questo quartiere siano stati costruiti apposta per le bande. Strade che scottano, come la lava sui fianchi del Vesuvio. Le bande vi circolano in motorino (scooter o piccola moto), muniti di telefonino per segnalarsi i colpi buoni. Dei soldati stanno di pattuglia, sotto gli occhi disincantati dei commercianti. Una libraia di via Toledo sospira: “Prima ci lasciavano tranquilli... Bastava pagare. Adesso, non si sa più a chi pagare. Una banda, l’altra. Per non dire le tasse dovute allo Stato... Ma così proprio non può andare!”. Maria, questo il suo nome, vive nei quartieri bene, in un palazzo dove le targhe sul portone portano tutte la menzione dottore, professore o ingegnere. La violenza? “Ci siamo cresciuti. Sapevamo che non bisognava passare in certe vie. Il ‘sistema’ stabiliva le regole. Se è possibile rimpiazzarla con la legalità? Non lo so. I napoletani hanno uno strano rapporto con la legge. Chi la rispetta passa per un ritardato mentale”. Qui si ride se un automobilista si allaccia la cintura di sicurezza o se un motociclista mette il casco. Fino a oggi era il motorino la principale causa di mortalità giovanile. Quest’anno la pistola sta mietendo altrettante vittime. I morti sono già più di cento. Il “sistema” lascia spazio a dozzine di clan rivali. Le istituzioni sono ben determinate a impedire la sua ricostituzione. In città, i manifesti della Cgil, la Confederazione generale del lavoro italiana, salutano la presenza delle forze armate: occorre sconfiggere la criminalità perché le imprese ritrovino fiducia e vengano a creare posti di lavoro. Con un tasso di disoccupazione del 28 per cento, Napoli non è lontana dal record italiano in materia. Il sindaco  vuole perciò correggere il problema d’immagine di cui soffre la città. Ecco dunque il rifacimento delle facciate dei palazzi, il moltiplicarsi delle mostre, dei concerti, degli spettacoli.
Nel centro storico, un vecchio quartiere di palazzi e chiese, regna l’ordine. Gianni è il gestore di un piccolo bar, aperto dopo venti anni passati a servire la pasta in un ristorante parigino. La sua caffetteria la deve al “sistema”, come pure il posto a Parigi. Per lui la camorra faceva da agenzia di collocamento e da previdenza sociale. La parola “legalità” lo fa ridere. “Se i vecchi dovessero vivere solo della pensione, sarebbe la miseria”. Per la strada, anziane donne vendono sigarette americane di contrabbando, vestigia di un traffico che, un tempo, fece la fortuna della camorra. Ma il piccolo bandito a due passi dalla nonna propone ben altra merce. Droga. “Senza il contrabbando”, insiste Gianni, “creperebbero tutti di fame. La camorra non è un’organizzazione di notabili, è il popolo”.
Tempo fa a San Giorgio a Cremano, altro comune difficile ai piedi del Vesuvio, i sicari sono andati a vendicare un boss arrestato a seguito di una denuncia. La pistola si è inceppata e il pentito  si è salvato per miracolo. L’indomani, a Ercolano, le armi funzionavano bene. Un piccolo boss della periferia è rimasto ucciso. Non passa giorno senza che i giornali locali non facciano la “prima pagina” sui regolamenti di conto all’interno di questa guerra fratricida.
Incontro con un boss
“Michele” non dice di dov’è, perché il nome del quartiere rivelerebbe la sua identità. L’incontro avviene in territorio neutro, in un ristorante per turisti nell’isola di Ischia. Se non fosse per la guardia del corpo incollata ai suoi passi, lo si scambierebbe per un giovane ambizioso dei quartieri bene. Ma “Michele”, 30 anni, è il discendente di uno dei quattro clan storici della camorra, determinato a ristabilire il sistema delle “famiglie”. Quando parla lo si scambierebbe per un prete che difenda i valori tradizionali. Di un’eleganza sobria, alla cintura non porta la pistola ma il telefonino. Dice di non avere nulla da temere. “Non hanno nessun mandato contro di me. Cercano un traditore, ma non lo troveranno”. Segue una lunga discussione contro l’amministrazione comunale, l’inefficienza dei servizi sociali, la burocrazia. A sentirlo dire, quegli incapaci dei politici stanno per distruggere la sola istituzione popolare di Napoli, ossia la camorra. Il padrone del ristorante approva ridendo. Serve “Michele” con la deferenza dovuta a un ospite di riguardo. Dopo il municipio è la giustizia a ricevere le critiche maggiori. “I giudici”, dice, “sono gente del Nord. A Milano hanno i soldi, mentre qui non si ha il diritto di vivere!”. E la droga? “Ma che la compriamo noi?”. Eppure, qualcosa non funziona più come dovrebbe: “La nostra gente smercia, ma non consuma. Le nuove bande, al contrario, sono composte di drogati che non hanno più il controllo di quello che fanno”. E’ convinto che, presto o tardi, “i politici verranno a negoziare. Altrimenti ci saranno ancora e ancora morti. Noi siamo in grado di risistemare le cose. Ma finché saremo braccati, sarà la guerra dappertutto”. Per “Michele”, non si tratta di ritirarsi, e meno ancora di giocare ai pentiti. “Ci saranno sempre dei traffici. Ma se lo Stato vuole l’anarchia, l’avrà!”.
Lo sa bene “Michele” che la morte incombe. Ma questo è il gioco, e ne accetta le regole. Parla come se fosse il rappresentante di una causa politica, in lotta contro una legge imposta dal Nord. Il fossato tra le due Italie si è di fatto approfondito. Il Nordest fa registrare il tasso di disoccupazione più basso dell’Europa Occidentale. In Campania e Calabria i senza lavoro raggiungono invece cifre record. Nel nuovo tribunale di Napoli conoscono a memoria le giustificazioni della criminalità organizzata. “I camorristi sono diventati veri politici. Prima, mantenevano gli uomini politici e questi, in cambio, gli davano consigli. Adesso, devono sbrogliarsela da soli”, dichiara un giovane sostituto procuratore.
La nuova generazione di magistrati non vuole cedere il passo sul terreno della battaglia contro il crimine. Contrariamente a quanto sostiene “Michele”, non vengono dal Nord. Il giudice Sergio Zeuli è napoletano, tornato in città per lavorare agli ordini del procuratore Agostino Cordova, uomo di punta della giustizia italiana. Dall’ufficio di Sergio Zeuli non manca la vista di qualche simbolo della vita napoletana. Un embrione abbandonato di autostrada: i lavori si sono fermati a causa dello scandalo che ha coinvolto la vecchia amministrazione comunale democristiana, le società appaltatrici nazionali e imprese mafiose. Nel complesso dello stesso palazzo di giustizia, una torre adibita ad uffici è andata bruciata prima ancora che entrasse in funzione. I magistrati sono convinti che si sia trattato di un incendio doloso e sospettano che ad appiccarlo siano state le imprese responsabili dei lavori al fine di incassare i soldi dell’assicurazione.
Il giudice........, autore di una tesi su Michel Foucault, ha ripercorso la storia criminale della città. La camorra ha per lungo tempo controllato l’amministrazione comunale. Negli anni Cinquanta, il sindaco Lauro, quello del film di Francesco Rosi Le mani sulla città, ha permesso ai camorristi di speculare sui terreni e di spandere colate di cemento su tutta la regione. L’amministrazione comunale aveva come unici interlocutori i boss della camorra. L’ultimo di questi, Raffaele Cutolo, detto Don Raffaele, era manifestamente anche l’interlocutore delle autorità. Alla fine degli anni Settanta, quando le Brigate Rosse sequestrarono l’assessore democristiano alla regione Cirillo, i dirigenti della Dc chiesero a Cutolo di intervenire e di negoziarne il rilascio. Questo perché Cirillo conosceva tutti i rapporti tra i dirigenti della Democrazia cristiana e la camorra... Dopo il regno di Don Raffaele, la camorra si è “democratizzata”. Quattro o cinque clan si sono spartiti i compiti e il territorio. Intoccabili, avevano rapporti con la Dc e il Partito socialista di Bettino Craxi. Fino a che non è sopraggiunta l’operazione Mani pulite a smantellare il “sistema”. Dopo, più niente è stato come prima. Ed ecco così dozzine di clan rivali che si fanno una guerra totale. Le loro alleanze sono provvisorie, i loro capi giovanissimi.
Magistrati abbandonati
Il giudice,,,,, conferma la diagnosi del camorrista “Michele”: “I nuovi capi hanno cercato di riorganizzare il traffico della droga. Ma i loro uomini si drogano prima di ogni azione criminale. Uccidono sotto l’effetto della cocaina. Ne segue una violenza più incontrollata”. Per combattere questa criminalità selvaggia, il palazzo di giustizia ha assunto modi da quartier generale. L’esercito presidia le entrate. In ogni aula c’è una cabina dove i pentiti possono testimoniare visti dal giudice ma non dagli imputati e dal pubblico.
Il grande timore dei magistrati è essere abbandonati dai politici. Sapendo che durante il lungo regno della Democrazia cristiana i ministri più collusi occupavano i ministeri della Giustizia e degli Interni, si capisce l’inquietudine dei magistrati! Fuori, l’esercito pattuglia. La legge o il ritorno del “sistema”? La partita è aperta. Ma il sindaco  spera che la pace venga ristabilita

 Dichiara che i ragazzi dei quartieri poveri non necessariamente diventano dei criminali. Il quotidiano locale Il Mattino tenta di far passare il messaggio, pubblicando in un inserto la storia esemplare di uno scugnizzo dei rioni intorno alla stazione che divenne l’attore comico più popolare d’Italia: il celebre Totò. Uscire dalla tragedia per ritrovare la comicità: un bel programma.

 
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