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Post N° 462

Post n°462 pubblicato il 12 Ottobre 2005 da corsaramora

Con il film Vipera Sergio Citti affronta il melodramma. 

 Al centro della storia c'è il tema della maternità, quasi a fare della figura materna l'emblema di un valore assoluto. Riemergono come in una stagione della memoria odori e colori di una realtà visionaria della vigilia degli anni '50. Citti non è un naïf perché è del tutto cosciente della sua operazione formale e fa sì che Vipera sia un'affabulazione nata da esperienze profonde e da una volontà di liberarsene attraverso l'ironia, parlando di un mondo sottoproletario non raccontabile alla cultura borghese, con sentimenti laceranti allo stato puro, gettando sulla sua opera una luce sconosciuta di mistero non cercato.

Siamo in Sicilia durante l'ultimo periodo della seconda Guerra Mondiale. Il maniscalco Leone  abbandonato dalla moglie  che lui chiamerà Vipera, vive di stenti con la piccola figlia Rosetta 

Con la fine della guerra le cose non migliorano. La ragazzina verrà violentata da Guastamacchia , ex gerarca. Leone, dedito all'alcool, poco dopo morirà. Successivamente Rosetta partorirà il figlio dello stupro che le verrà sottratto e lei sarà rinchiusa in un istituto di rieducazione da cui uscirà maggiorenne. Una volta fuori dal collegio intraprende il suo viaggio disperato alla ricerca del figlio rapito. Nel suo peregrinare ritrova la madre e per un attimo pensa di poter vivere con lei ma si allontanerà definitivamente; incontra anche Fortunato, un ragazzino (forse suo figlio), si affezionerà a lui trovando finalmente un po' della tanto desiderata serenità.


I personaggi di Vipera sono uomini e donne che cercano disperatamente il senso di questo soggiorno terrestre. Anche Rosetta rientra in questa schiera di irriducibili segugi della verità. Il mondo appare scomposto, sgretolato, assurdo, ma noi sappiamo che alla fine del percorso accidentato della vita tutto apparirà più chiaro. Per arrivare a quella meta che si affaccia sul significato ultimo delle cose, bisogna abbandonare ogni superbia intellettuale, ogni facile schema e ogni rassicurante abitudine. Alla verità, come alla morte, si arriva con ogni parte di noi stessi e con la pazienza che abbiamo saputo impiegare.



Citti ci ha dato un grande film, meglio dire un grande universo della favola, dove le immagini "creano" piuttosto che "riferire", dove l'ombra e la luce si confondono come nei nostri giorni si confondono la paura di perdersi e il desiderio di andare fino in fondo. Citti è riuscito a trasferire sullo schermo un mondo stralunato ed estremo con invenzioni surreali e candore nel raccontare, innalzando un elogio all'ingenuità della poesia dei più diseredati, evitando qualsiasi tentazione spiritualista, mescolando umori concreti e umanissimi come la fame, il cibo, il sesso, e le invenzioni più surreali, esaltando il coraggio di chi non si è fatto corrompere dai falsi miti del benessere e dell'egoismo e si ostina a cercare la purezza dello spirito e della dignità.

 
Rosetta è una poetessa, anche se in fondo non ha scritto poesie, perché la poesia non è un mestiere, un saper verseggiare e mettere le parole bene in rima: è un attitudine dello sguardo e dell'anima, sta nella forza con cui sappiamo accettare ogni evento dell'esistenza senza distogliere gli occhi. E' in quello sguardo che le cose si armonizzano: l'intelligenza separa, giudica, contrappone - la poesia abbraccia, perdona e coglie l'unità segreta che sta dietro l'apparente frantumazione del reale. E poi le passioni, come l'amore e l'odio che possono stordire e stringere in un angolo: Rosetta dovrà conoscerle e poi lasciarle indietro se vorrà completare il suo viaggio.
 
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corsaramora
corsaramora il 12/10/05 alle 21:10 via WEB
tranquillo i grandi la storia non li dimentica,come non dimentica i peggiori..
 
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