Creato da corsaramora il 24/05/2005
tutto cio' che ci accade intorno ..mie riflessioni e non...
 

Messaggi del 20/06/2005

Post N° 152

Post n°152 pubblicato il 20 Giugno 2005 da corsaramora
Foto di corsaramora

NAPOLI..un giorno qualsiesi ...di un anno qualsiesi...

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Le campane della chiesa in via Chiaia suonano a lutto. Davanti all’altare giacciono due bare ricoperte di fiori bianchi. I defunti avevano venti e ventidue anni. Di cosa sono morti? “Fatalità”, sospira un uomo. Ma una vecchia signora sbotta : “L’assassino è il sindacoo

 il sindaco , che ha ingaggiato una lotta decisa contro la criminalità. Con lui  il capo della Procura di Napoli, che conduce una battaglia senza pietà per sconfiggere la camorra, la mafia napoletana, i cui principali esponenti sono tutti in prigione.
Via Chiaia fiancheggia da un lato una zona residenziale, dall’altro i vicoli dei quartieri spagnoli, una delle zone più difficili della città, con i suoi banditi, gli eterni scugnizzi di Napoli.

Si potrebbe pensare che i vicoli di questo quartiere siano stati costruiti apposta per le bande. Strade che scottano, come la lava sui fianchi del Vesuvio. Le bande vi circolano in motorino (scooter o piccola moto), muniti di telefonino per segnalarsi i colpi buoni. Dei soldati stanno di pattuglia, sotto gli occhi disincantati dei commercianti. Una libraia di via Toledo sospira: “Prima ci lasciavano tranquilli... Bastava pagare. Adesso, non si sa più a chi pagare. Una banda, l’altra. Per non dire le tasse dovute allo Stato... Ma così proprio non può andare!”. Maria, questo il suo nome, vive nei quartieri bene, in un palazzo dove le targhe sul portone portano tutte la menzione dottore, professore o ingegnere. La violenza? “Ci siamo cresciuti. Sapevamo che non bisognava passare in certe vie. Il ‘sistema’ stabiliva le regole. Se è possibile rimpiazzarla con la legalità? Non lo so. I napoletani hanno uno strano rapporto con la legge. Chi la rispetta passa per un ritardato mentale”. Qui si ride se un automobilista si allaccia la cintura di sicurezza o se un motociclista mette il casco. Fino a oggi era il motorino la principale causa di mortalità giovanile. Quest’anno la pistola sta mietendo altrettante vittime. I morti sono già più di cento. Il “sistema” lascia spazio a dozzine di clan rivali. Le istituzioni sono ben determinate a impedire la sua ricostituzione. In città, i manifesti della Cgil, la Confederazione generale del lavoro italiana, salutano la presenza delle forze armate: occorre sconfiggere la criminalità perché le imprese ritrovino fiducia e vengano a creare posti di lavoro. Con un tasso di disoccupazione del 28 per cento, Napoli non è lontana dal record italiano in materia. Il sindaco  vuole perciò correggere il problema d’immagine di cui soffre la città. Ecco dunque il rifacimento delle facciate dei palazzi, il moltiplicarsi delle mostre, dei concerti, degli spettacoli.
Nel centro storico, un vecchio quartiere di palazzi e chiese, regna l’ordine. Gianni è il gestore di un piccolo bar, aperto dopo venti anni passati a servire la pasta in un ristorante parigino. La sua caffetteria la deve al “sistema”, come pure il posto a Parigi. Per lui la camorra faceva da agenzia di collocamento e da previdenza sociale. La parola “legalità” lo fa ridere. “Se i vecchi dovessero vivere solo della pensione, sarebbe la miseria”. Per la strada, anziane donne vendono sigarette americane di contrabbando, vestigia di un traffico che, un tempo, fece la fortuna della camorra. Ma il piccolo bandito a due passi dalla nonna propone ben altra merce. Droga. “Senza il contrabbando”, insiste Gianni, “creperebbero tutti di fame. La camorra non è un’organizzazione di notabili, è il popolo”.
Tempo fa a San Giorgio a Cremano, altro comune difficile ai piedi del Vesuvio, i sicari sono andati a vendicare un boss arrestato a seguito di una denuncia. La pistola si è inceppata e il pentito  si è salvato per miracolo. L’indomani, a Ercolano, le armi funzionavano bene. Un piccolo boss della periferia è rimasto ucciso. Non passa giorno senza che i giornali locali non facciano la “prima pagina” sui regolamenti di conto all’interno di questa guerra fratricida.
Incontro con un boss
“Michele” non dice di dov’è, perché il nome del quartiere rivelerebbe la sua identità. L’incontro avviene in territorio neutro, in un ristorante per turisti nell’isola di Ischia. Se non fosse per la guardia del corpo incollata ai suoi passi, lo si scambierebbe per un giovane ambizioso dei quartieri bene. Ma “Michele”, 30 anni, è il discendente di uno dei quattro clan storici della camorra, determinato a ristabilire il sistema delle “famiglie”. Quando parla lo si scambierebbe per un prete che difenda i valori tradizionali. Di un’eleganza sobria, alla cintura non porta la pistola ma il telefonino. Dice di non avere nulla da temere. “Non hanno nessun mandato contro di me. Cercano un traditore, ma non lo troveranno”. Segue una lunga discussione contro l’amministrazione comunale, l’inefficienza dei servizi sociali, la burocrazia. A sentirlo dire, quegli incapaci dei politici stanno per distruggere la sola istituzione popolare di Napoli, ossia la camorra. Il padrone del ristorante approva ridendo. Serve “Michele” con la deferenza dovuta a un ospite di riguardo. Dopo il municipio è la giustizia a ricevere le critiche maggiori. “I giudici”, dice, “sono gente del Nord. A Milano hanno i soldi, mentre qui non si ha il diritto di vivere!”. E la droga? “Ma che la compriamo noi?”. Eppure, qualcosa non funziona più come dovrebbe: “La nostra gente smercia, ma non consuma. Le nuove bande, al contrario, sono composte di drogati che non hanno più il controllo di quello che fanno”. E’ convinto che, presto o tardi, “i politici verranno a negoziare. Altrimenti ci saranno ancora e ancora morti. Noi siamo in grado di risistemare le cose. Ma finché saremo braccati, sarà la guerra dappertutto”. Per “Michele”, non si tratta di ritirarsi, e meno ancora di giocare ai pentiti. “Ci saranno sempre dei traffici. Ma se lo Stato vuole l’anarchia, l’avrà!”.
Lo sa bene “Michele” che la morte incombe. Ma questo è il gioco, e ne accetta le regole. Parla come se fosse il rappresentante di una causa politica, in lotta contro una legge imposta dal Nord. Il fossato tra le due Italie si è di fatto approfondito. Il Nordest fa registrare il tasso di disoccupazione più basso dell’Europa Occidentale. In Campania e Calabria i senza lavoro raggiungono invece cifre record. Nel nuovo tribunale di Napoli conoscono a memoria le giustificazioni della criminalità organizzata. “I camorristi sono diventati veri politici. Prima, mantenevano gli uomini politici e questi, in cambio, gli davano consigli. Adesso, devono sbrogliarsela da soli”, dichiara un giovane sostituto procuratore.
La nuova generazione di magistrati non vuole cedere il passo sul terreno della battaglia contro il crimine. Contrariamente a quanto sostiene “Michele”, non vengono dal Nord. Il giudice Sergio Zeuli è napoletano, tornato in città per lavorare agli ordini del procuratore Agostino Cordova, uomo di punta della giustizia italiana. Dall’ufficio di Sergio Zeuli non manca la vista di qualche simbolo della vita napoletana. Un embrione abbandonato di autostrada: i lavori si sono fermati a causa dello scandalo che ha coinvolto la vecchia amministrazione comunale democristiana, le società appaltatrici nazionali e imprese mafiose. Nel complesso dello stesso palazzo di giustizia, una torre adibita ad uffici è andata bruciata prima ancora che entrasse in funzione. I magistrati sono convinti che si sia trattato di un incendio doloso e sospettano che ad appiccarlo siano state le imprese responsabili dei lavori al fine di incassare i soldi dell’assicurazione.
Il giudice........, autore di una tesi su Michel Foucault, ha ripercorso la storia criminale della città. La camorra ha per lungo tempo controllato l’amministrazione comunale. Negli anni Cinquanta, il sindaco Lauro, quello del film di Francesco Rosi Le mani sulla città, ha permesso ai camorristi di speculare sui terreni e di spandere colate di cemento su tutta la regione. L’amministrazione comunale aveva come unici interlocutori i boss della camorra. L’ultimo di questi, Raffaele Cutolo, detto Don Raffaele, era manifestamente anche l’interlocutore delle autorità. Alla fine degli anni Settanta, quando le Brigate Rosse sequestrarono l’assessore democristiano alla regione Cirillo, i dirigenti della Dc chiesero a Cutolo di intervenire e di negoziarne il rilascio. Questo perché Cirillo conosceva tutti i rapporti tra i dirigenti della Democrazia cristiana e la camorra... Dopo il regno di Don Raffaele, la camorra si è “democratizzata”. Quattro o cinque clan si sono spartiti i compiti e il territorio. Intoccabili, avevano rapporti con la Dc e il Partito socialista di Bettino Craxi. Fino a che non è sopraggiunta l’operazione Mani pulite a smantellare il “sistema”. Dopo, più niente è stato come prima. Ed ecco così dozzine di clan rivali che si fanno una guerra totale. Le loro alleanze sono provvisorie, i loro capi giovanissimi.
Magistrati abbandonati
Il giudice,,,,, conferma la diagnosi del camorrista “Michele”: “I nuovi capi hanno cercato di riorganizzare il traffico della droga. Ma i loro uomini si drogano prima di ogni azione criminale. Uccidono sotto l’effetto della cocaina. Ne segue una violenza più incontrollata”. Per combattere questa criminalità selvaggia, il palazzo di giustizia ha assunto modi da quartier generale. L’esercito presidia le entrate. In ogni aula c’è una cabina dove i pentiti possono testimoniare visti dal giudice ma non dagli imputati e dal pubblico.
Il grande timore dei magistrati è essere abbandonati dai politici. Sapendo che durante il lungo regno della Democrazia cristiana i ministri più collusi occupavano i ministeri della Giustizia e degli Interni, si capisce l’inquietudine dei magistrati! Fuori, l’esercito pattuglia. La legge o il ritorno del “sistema”? La partita è aperta. Ma il sindaco  spera che la pace venga ristabilita

 Dichiara che i ragazzi dei quartieri poveri non necessariamente diventano dei criminali. Il quotidiano locale Il Mattino tenta di far passare il messaggio, pubblicando in un inserto la storia esemplare di uno scugnizzo dei rioni intorno alla stazione che divenne l’attore comico più popolare d’Italia: il celebre Totò. Uscire dalla tragedia per ritrovare la comicità: un bel programma.

 
 
 

Post N° 151

Post n°151 pubblicato il 20 Giugno 2005 da corsaramora
Foto di corsaramora

 La politica è notoriamente il regno, soprattutto in Italia, delle dichiarazioni di parte: i politici intervistati da televisioni e giornali quasi inevitabilmente rilasciano dichiarazioni che sono in linea con il pensiero dominante del partito o della coalizione a cui appartengono. E' molto raro che si verifichi il contrario

Ciò rientra naturalmente nella logica degli schieramenti politici. Tuttavia l'omogeneità delle dichiarazioni appiattite sulla logica degli schieramenti mi ha sempre dato terribilmente fastidio, perché a me capita di cambiare i miei giudizi su cose o persone, se nel frattempo acquisisco nuove informazioni, o di giudicare bene o male il comportamento di qualcuno in base a quello che fa, non in base allo schieramento a cui appartiene.

Tutta questa lunga premessa per dire che, tra tutte le dichiarazioni appiattite su logiche di schieramento che si sentono fare quotidianamente dai nostri politici sia di destra sia di sinistra, quelle che mi indignano più di tutte sono quelle - ricorrenti - dei politici del Centrodestra sulla guerra in Iraq. A fronte di una guerra che l'Italia non voleva assolutamente e a cui, per ragioni molto discutibili, si è piegata, continuano imperterriti a dichiarare: il nostro scopo è affiancare l'America per portare la democrazia e la libertà in Iraq.

Sono oltre due anni che ce lo ripetono ogni giorno e, ogni volta che riascolto l'atroce tiritera, mi domando: ma credono veramente a quello che dicono?

La violazione del diritto internazionale perpetrata dagli Stati Uniti nell'attaccare l'Iraq è talmente grande ed evidente che non si può far finta che non esista. Se anche non ci fosse stata l'occupazione seguita alla guerra, sarebbe bastata quella sola violazione per mettere l'America ed i suoi alleati dalla parte del torto

Oggi l'Iraq sta molto peggio di come stava sotto Saddam e non si vede una strada di uscita dalla crisi.

farebbero bene i politici del Centrodestra se  si astenessero una buona volta dal nominare la libertà e la democrazia quando parlano dell'invasione dell'Iraq. Quel che l'America ha fatto all'Iraq non ha nulla a che fare, neppure da lontano, con la libertà e la democrazia. Noi, come alleati, andando lì in armi, abbiamo sostanzialmente approvato un'azione bellica illegale ed immorale.

 
 
 

Post N° 150

Post n°150 pubblicato il 20 Giugno 2005 da corsaramora
Foto di corsaramora

La vignetta satirica dice:


Fai questa promessa:
La guerra è pace.
La schiavitù è libertà.
L'ignoranza è forza.

 
 
 

Post N° 149

Post n°149 pubblicato il 20 Giugno 2005 da corsaramora
Foto di corsaramora

spero che il vecchio saggio non mi censuri e oltre a tacciarmi di poca obiettivita',non mi proponga per l'ingresso nella bolgia degli eretici...

Nuova legge di Stato

sulla fecondazione:

si decreta che il fiato

è il nonno dell'embrione

che il bacio è indissolubile

(specie per una nubile)

e andare insieme al cine

è un mezzo per il Fine.

L'occhiata sul sedere

la mano sulla chiappa

valgono come tappa

del divin provvedere.

Lo Stato liberale

diffonde un manuale

che insegna a fornicare

a scopo familiare.

Minuzioso e sconcissimo

è apprezzatissimo

dal Clero e dal Palazzo.

 
 
 

Post N° 148

Post n°148 pubblicato il 20 Giugno 2005 da corsaramora
Foto di corsaramora

buona giornata

 
 
 

Post N° 147

Post n°147 pubblicato il 20 Giugno 2005 da corsaramora
Foto di corsaramora

15 Gennaio 2003 

dedicato al vecchio del mare....

Condannati i «picchiatori a punti»
Bergamo, avevano fissato un punteggio per ogni «nemico» colpito. Pestare un ebreo valeva il massimo
LUCA FAZIO
MILANO
Associazione a delinquere finalizzata a lesioni aggravate da motivi razziali. Per questo l'altra sera sono stati condannati dal tribunale di Bergamo otto skinheads che nel corso degli anni hanno organizzato scorribande punitive per dare una lezione ai loro «nemici» virtuali e non: ebrei, stranieri, poliziotti, spacciatori. Il giudice De Vita ha inflitto 4 anni di reclusione a Roberto Rigamonti e Francesco Guercio, ventottenni, ritenuti responsabili del pestaggio di due marocchini. Per associazione a delinquere invece sono stati condannati a poco più di 2 anni Omar Caravina, Tommi Cavenati, Fabrizio Cozzi, Massimo Vecchi, Graziano Pessina, Giovanni Gigliuto e Gianluca Rottoli. Se l'è cavata con 8 mesi Chiara Mazzoleni. Tutti sono stati ammessi al rito abbreviato che ha consentito la riduzione di un terzo della pena. Un altro picchiatore invece è stato rinviato a giudizio avendo scelto il processo ordinario.

Il gruppetto da tempo era sotto osservazione dai carabinieri della bergamasca (fin dal 1996), che sempre più spesso avevano a che fare con risse riconducibili ai soliti noti. Insomma, sono vecchie conoscenze dell'ultra destra locale con la fedina penale tutt'altro che immacolata. La svolta, solo quando, dopo il pestaggio a scopo di rapina di uno straniero di Terno d'Isola (Bg), i carabinieri di Zogno hanno bussato alla porta di Rigamonti. La perquisizione ha destato scalpore a causa di un foglietto su cui era stata tracciata una sorta di classifica con un punteggio per ogni bersaglio colpito. Massacrare un ebreo, in teoria, avrebbe fatto guadagnare al picchiatore «50 punti». Stesso punteggio per l'improbabile pestaggio di «un digos» e di uno spacciatore, valeva 40 punti un poliziotto, uno straniero 35, un «tossico» e un «negro» 20, un «compagno» 15 e 5 punti «lo scemo di turno».

I ragazzi si sono difesi dicendo che si trattava solo di un gioco, ma al tribunale - aggressione del marocchino a parte - quel gioco è bastato per riconoscere l'associazione a delinquere. Sull'episodio, tempo fa, il centro sociale di Bergamo Paci Paciana aveva fatto notare, con un lettera a un quotidiano locale, che quella banda di fascistelli era tutt'altro che sconosciuta, e che era ora di impedire l'agibilità a tutti i gruppi di estrema destra. Scrivevano, per esempio che «la messa fuori legge di Forza Nuova e un convinto percorso sociale e politico di prevenzione possono allontanare l'incubo di tornare a vivere i tempi cupi del passato». Come a Verona, pochi giorni fa.


 
 
 

Post N° 146

Post n°146 pubblicato il 20 Giugno 2005 da corsaramora
Foto di corsaramora

per il vecchio del mare che continuamente mi dedica post e con la sua obiettivita' e la sua saggezza si ritiene il detentore della verita' inchiesta sulla radicale destra di BergamoAntifa, 31.05.2005 09:25

ALLA LUCE DEL SOLE!

Hanno bruciato centri sociali e automobili.. Hanno minacciato, aggredito e
accoltellato..
Chi sono? Cosa vogliono? Chi si nasconde dietro di loro?
La risposta a questi interrogativi in un’inchiesta approfondita sulla destra radicale a Bergamo che per la prima volta tenta di fare luce sui retroscena delle violenze di stampo intollerante avvenute nell’ultimo anno in ututta la Lombardia.
Nomi, episodi, formazioni politiche coinvolte: nessuno viene risparmiato in un’inchiesta che cade pesante come un macigno...


Era il 13 giugno del 2003 quando a Bonate Sotto, un comune della Bassa bergamasca, un gruppo di boneheads aggrediva quattro giovani, spedendone due al pronto soccorso e incendiando la loro automobile.
I responsabili di quella aggressione non sono ignoti, come non sono ignoti i motivi che li spinsero ad agire. I boneheads che colpirono quella notte infatti furono denunciati pochi giorni dopo e, tra le accuse, comparve anche quella di violenza per motivi razziali, un elemento che chiariva inequivocabilmente la matrice politica del gesto. A questa aggressione ne seguiranno molte altre fino ad oggi e con esse emergerà sempre più chiaramente l’esistenza di un gruppo organizzato, a cui gli stessi autori della aggressione del 13 giugno appartengono: “Skinheads Berghém”. 

 
 
 

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