Creato da corsaramora il 24/05/2005
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Messaggi del 11/07/2005

Post N° 230

Post n°230 pubblicato il 11 Luglio 2005 da corsaramora
Foto di corsaramora

Da quando lo statuto delle Nazioni Unite ha abrogato l'istituto giuridico della guerra (ius ad bellum) come esercizio lecito delle facoltà sovrane degli Stati, la guerra è stata posta fuori dal diritto.

Tuttavia, poiché la guerra come fenomeno storico continua ad esistere, anche le operazioni belliche continuano ad essere sottoposte al diritto (ius in bello), seppure in modo quanto mai problematico.

Infatti, come ha rilevato il Tribunale permanente dei popoli (Afganistan II, 20.12.1982): "oggi si sa che la guerra è portatrice di una dinamica intrinseca che la spinge al di là di tutti i limiti nei quali ci si è sforzati di contenerla, e la rende inevitabilmente gravida di crimini di guerra e periò, per sé stessa criminale."

I principi e le regole umanitarie del diritto bellico sono frutto di una lunga e sofferta elaborazione, fondata su costumi e regole consuetudinarie, che sconta il limite di fondo della imperfezione del sistema poiché, quanto più la Comunità internazionale riesce a configurare delle regole precise, tanto più diviene difficile assicurarne il rispetto per la loro incompatibilità con la logica intrinseca della violenza armata.

Attraverso il diritto bellico l'umanità manifesta la sua perenne aspirazione a liberarsi degli orrori dei conflitti armati, cercando di porre remore ed impedimenti giuridici al dispiegarsi incontrastato della violenza, pur essendo consapevole che, nel conflitto fra la forze ed il diritto è sempre quest'ultimo ad avere la peggio. Questa immanenza dei crimini di guerra avrebbe dovuto rendere particolarmente cauti coloro che si sono assunti la tremenda responsabilità di ricorrere ad uno strumento così tragico e distruttivo, qual'è appunto la guerra, per risolvere la crisi della convivenza fra Serbi ed Albanesi nel Kosovo. La guerra "umanitaria" combattuta nei balcani, si è rivelata un evento in cui le operazioni militari lanciate alla NATO appaiono svincolate dal rispetto degli obblighi giuridici derivanti dalle norme "umanitarie" del diritto bellico. Il diritto bellico moderno, per quanto riguarda la disciplina dei mezzi di condotta delle ostilità, si basa su tre regole fondamentali che sono espresse in questo modo nel I Protocollo di Ginevra del 1977:

a) "In ogni conflitto armato il diritto delle Parti in conflitto di scegliere metodi e mezzi di guerra non è illimitato";

b) "è vietato l'impiego di armi proiettili e sostanze nonché metodi o mezzi di guerra capaci di causare mali superflui o sofferenze inutili"(art. 35);

c) "Allo scopo di assicurare il rispetto e la protezione della popolazione civile e dei beni di carattere civile, le Parti in conflitto dovranno fare, in ogni momento, distinzione fra la popolazione civile ed i combattenti, nonché fra beni di carattere civile e gli obiettivi militari, e, di conseguenza, dirigere le operazioni soltanto contro obiettivi militari" (art. 48).

Questi concetti non devono essere ben chiari agli strateghi della NATO, che in più di una occasione hanno rivolto attacchi addirittura contro obiettivi esclusivamente civili. Il caso più clamoroso è la strage dei giornalisti della TV di Stato Serba, attuata nella notte fra il 22 e 23 aprile, scagliando dei missili contro l'edificio che ospita gli studi della Televisione, quando le trasmissioni erano in corso. Il fatto che la NATO abbia dichiarato la TV obiettivo militare, se, per un verso, è rivelatore della singolare concezione della libertà di stampa praticata dai vertici dell'Alleanza, per altro verso non può cambiare natura ai giornalisti che, ai sensi dell'art. 79 del I Protocollo di Ginevra devono essere considerati civili, contro i quali non è lecito condurre attacchi armati.

Le altre stragi di civili non sono state rivendicate dalla NATO come azioni legittime di guerra, ma sono state giustificate come frutto di errori o di "danni collaterali". Tuttavia dopo l'ultima strage di profughi albanesi, avvenuta a Korisa, la NATO ha cambiato registro, rifiutando di riconoscere la strage come frutto di errore, per la allegata presenza nel villagio di uno o due cannoni delle forze armate serbe ed ha affacciato l'ipotesi degli "scudi umani". Se ci fosse uno straccio di verità in questa aberrante teoria, non per questo l'attacco si potrebbe considerare lecito, in quanto il diritto bellico vieta gli attacchi che "possono provocare una combinazione di perdite umane e di danni, che risulterebbero eccessivi rispetto al vantaggio concreto e diretto previsto" (art. 51 del I Protocollo di Ginevra.). Poiché la guerra è stata scatenata per difendere i diritti umani degli albanesi, sarebbe veramente implausibile pretendere che la vita di 100 albanesi vale meno....di un cannone.

Per quanto riguarda il divieto di impiegare armi atte a causare mali superflui, tale principio seppure sviluppato in modo paradossale, tanto che attualmente è proibito l'uso delle frecce avvelenate, ma non è proibito - esplicitamente - l'uso delle armi nucleari gioca comunque un ruolo nei conflitti. Esso impedisce l'uso di alcune categorie di armi particolarmente pericolose, come i gas asfissianti e le armi batteriologiche (oggetto di apposite convenzioni) e limita fortemente l'uso di un tipo di arma (le c.d. bombe a frammentazione) a cui la NATO, invece, ha fatto ricorso in modo indiscriminato, in violazione della Convenzione di Ginevra del 10 ottobre 1980 (ratificata in Italia con legge 14/12/1994 n. 715), provocando - fra l'altro - una strage al mercato di Nis la mattina del 6 maggio. Lo stesso discorso può farsi per l'uso dei proiettili contenenti uranio impoverito. Questo tipo di arma, infatti, per le conseguenze dannose che provoca sull'ambiente, colpisce in modo indiscriminato e causa necessariamente delle sofferenze superflue poiché provoca dei danni alla popolazione ed ai belligeranti, anche quando la guerra è finita (si pensi alla c.d. Sindrome del Golfo). In ogni caso l'uso massiccio dell'uranio impoverito comporta una modifica dell'ambiente ai fini militari, come tale vietata dalla Convenzione di New York del 10 dicembre 1976 (ratificata in Italia con legge 29/11/1980 n. 962).

 
 
 

Post N° 229

Post n°229 pubblicato il 11 Luglio 2005 da corsaramora
Foto di corsaramora

ed ora buona giornata e buon lavoro

 
 
 

Post N° 228

Post n°228 pubblicato il 11 Luglio 2005 da corsaramora
Foto di corsaramora

"con l'Illuminismo  nacque l'autonomia intellettuale, il rifiuto della tradizione acritica e dell'autorità, il disgusto per l'intolleranza e la persecuzione, la ricerca indipendente e la convinzione rivoluzionaria che la conoscenza è, in ultima analisi, potere.
Per due secoli i progressisti hanno sostenuto la scienza contro l'oscurantismo, ricercato la verità e la sua diffusione. Oggi sappiamo però, ad esempio, che circa la metà degli americani credono nel creazionismo del Vecchio Testamento, invece che nell'interpretazione secolare dell'evoluzione, e che milioni di suoi cittadini si sono abbeverati di ignoranza popolare, invenzioni storiche e costruzioni intellettuali paranormali, dimostrando così, cosa solo apparentemente incomprensibile per una società industriale progredita, un livello di superstizione religiosa pari a quello del Bangladesh. Come nota Francis Wheen, l'idea di fondo è che "Dio è arrivato in America a bordo del Mayflower e da allora vi risiede permanentemente" (da qui a parlare ed agire in suo nome, il passo è tanto breve quanto spaventoso). La cultura è diventata evangelica: nell'era  e del mercato sublimale, quello che la gente "sente" è molto più importante di quello che "pensa". Il nuovo irrazionalismo è così l'espressione della disperazione di persone che si sentono incapaci di migliorare la propria vita (sfidando concretamente i legislatori ed il sistema economico e sociale che essi controllano) e sospettano quindi di essere alla mercé di forze segrete e impersonali. La dimensione sociale della religione diventa quindi il cuore di un mondo senza cuore. Ma proclamare il primato del sentimento sulla razionalità, del personale rispetto al civile, e demonizzare l'Illuminismo (in quanto le idee di giustizia ed uguaglianza commettono l'errore fatale di appellarsi alla razionalità per indurre cambiamenti reali) si rivela per quello che è, e cioè una versione mascherata dell'egoismo. Questa è l'eredità postmoderna che rammollisce, una paralisi della ragione, un rifiuto ad osservare ogni differenza qualitativa fra ipotesi ragionevoli e ammassi di sciocchezze.
"Gli uomini", come ha detto George Orwell, "pensano in branco: si vedrà che impazziscono in branco e che recuperano la ragione solo lentamente, e a uno a uno". Il che ci riporta indietro, all'Illuminismo, ma anche al genio dei padri fondatori dell'America, Thomas Jefferson, che, scrivendo lo Statuto della Virginia sulla libertà religiosa, ebbe il coraggio di dichiarare nel 1779 (e far approvare nel 1786) che alla ragione dell'uomo può essere affidata la formazione delle sue opinioni personali, e seppe garantire simultaneamente la libertà di religione e la libertà dalla religione.
In questo senso, oggi, l'etica laica resiste alla seduzione di dogmi e miti utilizzati come riempitivi di quei vuoti inevitabilmente lasciati da ogni sforzo di comprensione e di dominio della realtà. Essa ritiene quindi che il paventato consolidamento della politica attraverso il credo religioso rischi di indebolire il pluralismo e di ridurre la sfera di autonomia delle scelte individuali e sociali, introducendo un clima paternalistico, di intolleranza se non addirittura di subdola violenza, nella convivenza
civile.
L'etica laica partecipa quindi alla composizione dei conflitti fra diverse visioni del mondo e cerca di mettere al riparo dall'intolleranza la libertà dei cittadini.
Se il sonno della ragione produce mostri, e gli ultimi due decenni ne hanno visti una moltitudine sterminata, la verità è grande comunque e prevarrà o, per dirla più realisticamente con G. Santayana, "la verità è crudele ma può essere amata".

 
 
 

Post N° 227

Post n°227 pubblicato il 11 Luglio 2005 da corsaramora
Foto di corsaramora

Vocabolario italiano:" PACE"

Situazione contraria allo stato di
guerra, garantita dal rispetto dell'idea di interdipendenza nei
rapporti internazionali e caratterizzata, all'interno di uno stesso
stato, dal normale e fruttuoso svolgimento della vita politica,
economica, sociale e culturale". Ma poi, in terza accezione, segnala
che il termine "pace" è inteso anche come simbolo di rassegnazione e
questa interpretazione viene rafforzata dai significati attribuiti
all'aggettivo "pacifico": "Amante della tranquillità o anche della
placidità o addirittura dell'apatia; privo di contrasti e di
turbamenti".


Preciso che non e' un vocabolario comunista,ne' fascista ,ne' il vocabolario scritto dalla CEI....

 
 
 

Post N° 226

Post n°226 pubblicato il 11 Luglio 2005 da corsaramora
Foto di corsaramora

Bin Laden/ Il vicepresidente Usa: "Sappiamo dov'è, ma non conosciamo il suo indirizzo"
Venerdí 24.06.2005 11:00

Sappiamo dov'è Bin Laden. Ad assicurarlo, in un'intervista, il vice presidente americano Dick Cheney, che ha confermato quanto dichiarato di recente dal capo della Cia, Porter Goss. Il vicepresidente Usa ha affermanto di sapere dove si nasconde Osama bin Laden, anche se soltanto in termini generali.

"Abbiamo un'idea piuttosto precisa dell'area approssimativa nella quale si trova", ha assicurato. "Però... beh, sapete, non è che abbia il suo indirizzo di casa".

Sul settimanale 'Time' domenica Goss aveva invece sostenuto di avere un'idea "eccellente" circa l'attuale ubicazione del fondatore di 'al-Qaeda', il "signor bin Laden", lo aveva definito; anche se poi si era affrettato ad aggiungere che, per poterlo catturare, prima occorrerà "rafforzare gli anelli deboli" tuttora esistenti nella "guerra al terrorismo".

Il numero due di Bush ha inotre difeso la sua recente presa di posizione sul fatto che la guerriglia irachena si trovi "agli ultimi spasimi", ribadendo che i progressi che si stanno facendo nella costruzione di un nuovo governo iracheno e la formazione della democrazia finiranno per fermare definitivamente la violenza.

"Ci sarà ancora un fiume di sangue nei prossimi mesi" - ha detto Cheney -, nei quali i ribelli cercheranno di fermare la marcia della democrazia in Iraq, ma poi la situazione migliorerà e avremo un Iraq democratico.

"Se controllate nel dizionario alla parola 'spasimo', può anche essere un periodo violento, la parte finale di una rivoluzione", ha continuato. "Potrebbe infatti accadere un'intensificazione del conflitto, ma lo è perché i terroristi comprendono che se ce la facciamo a raggiungere il nostro obiettivo - costruire una democrazia stabile in Iraq - per loro sarà una grossa sconfitta".


 
 
 

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