Creato da corsaramora il 24/05/2005
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Messaggi del 18/09/2005

Post N° 406

Post n°406 pubblicato il 18 Settembre 2005 da corsaramora
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 germania  Angela Merkel al voto

 
 
 

Post N° 405

Post n°405 pubblicato il 18 Settembre 2005 da corsaramora
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Nella nuova Camera afgana un deputato su quattro sarà donna

 
 
 

Post N° 404

Post n°404 pubblicato il 18 Settembre 2005 da corsaramora
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Dal palcoscenico, ha saputo osservare l'umanità e far luce, con il faro della semplicità, sugli aspetti più complessi della commedia umana. Che in una città come Napoli - dove Eduardo nasce esattamente un secolo fa,  si trasforma in tragicommedia umana, costituita da innumerevoli personaggi e situazioni, impossibili in altri contesti che non siano quelli della città partenopea. E' a questo serbatoio di unicità che Eduardo attinge per stimolare il suo talento creativo, rafforzato anche dal fatto di essere figlio d'arte. Suo padre è infatti Eduardo Scarpetta, commediografo i tra i più noti alla fine dell'Ottocento, famoso per aver creato un personaggio caratteristico del teatro napoletano: "don Felice Sciosciammoca", una sorta di "cocco di mamma" dal portamento elegante, icona di quei dandy in sedicesimo che a Napoli sono chiamati "gagà". Scarpetta è però conosciuto anche per il suo sfrenato libertinaggio, che sovente sconfina nel più bieco opportunismo.
Sua moglie è Rosa De Filippo, una bella popolana alla quale si attribuisce una breve relazione con Sua Maestà, Vittorio Emanuele II. Breve, ma tanto intensa da portare alla nascita di un bel maschietto, che verrà chiamato Domenico. Eduardo e Rosa, in quel momento, non sono ancora sposati. La Casa Reale, quindi, ne favorisce il matrimonio assegnando alla ragazza una "dote" di 25.000 lire, argomento di fronte al quale Scarpetta non può che dire di sì. E senza alcun rimorso. Peppino De Filippo - uno dei tanti figli, e partner di Eduardo prima e di Totò poi - racconterà in seguito che una sera, durante una rappresentazione, uno spettatore dal loggione rivolge a Scarpetta questa considerazione: "Don Edua', tenite 'e cuorna!" (Don Eduardo, vostra moglie vi tradisce, ndr). Egli, dal palco, risponde con prontezza: "Sì, ma so' corna reali!". Il piccolo Eduardo cresce comunque in un clima sereno, rallegrato dalla presenza dei suoi due fratelli cui è più legato, Titina e Peppino, con i quali divide il gioco quotidiano nella casa al numero 3 di vico Ascensione a Chiaia.
La zona è il cuore di Napoli, un vero palco sul quale ogni giorno va in scena l'inimitabile vita partenopea. Una vita fatta di "miseria e nobiltà" (che, non a caso, è il titolo di un'altra famosissima commedia di Scarpetta): eleganti famiglie borghesi dividono le strade del quartiere con i popolani più caratteristici. Tra questi è l'acquaiolo, con il suo monumentale carrello ornato di limoni grossi come meloni, che per pochi centesimi vende bicchieri d'acqua ai passanti afflitti dalla "calimma", l'insopportabile caldo afoso del golfo di Napoli. Un caldo reso però più gradevole dall'odore del caffè tostato, che dalle case a piano terra (i "bassi") sale a deliziare l'olfatto dei "nobili". 

Tostare il caffe' e'compito dei poveri, che non possono permettersi di acquistarlo già pronto per essere macinato e preparato nella "cuccuma", la tipica caffettiera. E allora, non potendo rinunciare ad una delle più radicate consuetudini cittadine, lo tostano loro stessi in un attrezzo cilindrico chiamato "abbrustulaturo", ormai consegnato alla galleria dei ricordi più remoti. Questa, per grandi linee, è la Napoli che si imprime a fuoco nella memoria di Eduardo, e che ne condizionerà - in positivo - tutta la futura produzione teatrale.

 durante un viaggio in treno, sui fogli che fino a poco prima avvolgevano un panino al formaggio - scrive il Sik sik, parte della rivista Pulcinella, principe in sogno.

forma una compagnia con peppino e titina,
ma Milano, Palermo o Roma non sono Napoli. Il pubblico non gradisce quella comicità tanto caratteristica da essere unica, e vuole le ballerine, le musiche e le battute che stanno contribuendo all'affermazione, un po' ovunque, del varietà. La prosa dei De Filippo, insomma, non attecchisce se non nei teatri di casa loro: dal "Sannazaro" al "Kursaal" al "San Ferdinando", la Napoli della buona borghesia (com'è ovvio, i popolani non potendo permettersi il prezzo del biglietto) si spella le mani per applaudire quei tre giovani attori che finalmente riescono a colmare il vuoto culturale lasciato dal ritiro dalle scene del padre, Eduardo Scarpetta, nel 1910. Il successo dei figli, merito soprattutto delle qualità di scrittore di Eduardo, è alimentato anche dalla critica giornalistica, in particolare quella di Massimo Bontempelli, che dalle colonne de "Il Mattino" non perde occasione per incensare il trio.
Tanta benevolenza incuriosisce un gigante del teatro quale Luigi Pirandello, che nel 1933 si reca al teatro "Sannazaro" per assistere a uno spettacolo dei De Filippo. Ma un primo contatto tra Eduardo e lo scrittore siciliano si era già stabilito nel '19, quando il giovanissimo Eduardo rimane folgorato dai Sei personaggi in cerca d'autore. Da quel momento, Pirandello diviene un fermo punto di riferimento, in particolare per quelle sfumature essenziali nella costruzione della psicologia dei personaggi. Quest'affinità elettiva sfocerà in tre anni di importanti collaborazioni, destinate a concludersi nel 1936, con la morte del maestro agrigentino. Del quale Eduardo tradurrà in vernacolo Il berretto a sonagli, Liolà e la novella L'abito nuovo, ottenendo questa volta, su scala nazionale, un successo che farà da traino anche per quelle commedie che, sino ad allora, erano rimaste confinate nella cerchia del napoletano.

 Conclusi i bombardamenti alleati su Napoli, dello storico teatro san Ferdinando non rimane che un informe cumulo di macerie. Eduardo lo acquista per sei milioni, cifra che all'epoca è considerata rilevante, ma che diventa un'enormità se investita in quel modo.
Il maestro però è caparbio, e non intende far svanire il suo sogno: quello di regalare alla sua città una sede adeguata per rappresentare il meglio della tradizione teatrale partenopea. I costi di ristrutturazione sono tuttavia altissimi, e la produzione per il teatro non è in grado di soddisfarli. Il cinema, allora, diventa lo strumento principe per guadagnare quel denaro così necessario. Eduardo scrive copioni, li dirige, ne interpreta altri, chiama alla sua corte nomi quali Totò e Anna Magnani. Ma non basta: da un lato, i costi lievitano senza interruzione; dall'altro, offerte sempre più congrue, affinché egli venda il quel teatro, piovono da ogni dove. Il maestro però non cede, e il 21 gennaio 1954 inaugura il suo gioiello, in cui debutterà ogni suo lavoro.

 
 
 

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