Creato da lavocecelata il 28/06/2007
nel confessionale delle nuvole

 

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continenti a perdere

Post n°32 pubblicato il 08 Aprile 2014 da lavocecelata

 

 

Quando il Sogno incontrò la Realtà, tutto, e dico tutto, si fece confuso e mutevole, come una faccia che cambiasse continuamente i suoi tratti somatici. Un ciclico rimescolìo continuo e discontinuo di flussi opposti. Tutto si ridusse all'alternarsi della corrente, e comunque andasse portò con se' la sensazione di sentirsi fuori posto. Cosa c'era da capire? Cosa c'era da trovare? Forse una matrice. O era una radice? C'era chi puntava al significato delle cose e chi invece non credeva al significato in sé. Confusione generò confusione. Solitudine generò solitudine. Così la chiarezza perse il suo fascino e la sofferenza ne prese il posto ben più fascinosa.
Quella sera la luna cantava sulla spiaggia di luglio ma non aveva consigli da dare a chi non l'andava a cercare, niente che potesse riguardare il tempo a venire, niente che impedisse ai serpenti di sibilare, meno di niente alle falene abbagliate e svolazzanti.
Ma la luna è la luna ed anche chi non la vede, la sente, c'è per chi canta e per chi ringhia: il nordico ringhiava. La sua voce gutturale si stava esibendo in un duetto strambo con la voce di Egon che stava mettendo tutta la sua anima nell'interpretare Feeling ad uso e consumo di un qualche amore nascente. Sbuffai per la complicazione, i vari pro e contro dell'intervenire in un alterco privato sono ben noti a tutti. Li puoi fermare o li puoi far degenare, ma già qualche testa s'era girata a fissare l'angolo da dove provenivano le grida. Guardai i colleghi sparsi per il club: li vidi già in campana perciò zigzagando presi ad avvicinarmi al tavolo dell'iroso e spocchioso nordico, quando incrociai lo sguardo della ragazza. Quello sguardo mi implorava di non intervenire. Tornai sui miei passi e mi misi in posizione di riposo. Poco dopo notai il nordico chiamare un cameriere. Lo vidi pagare ed alzarsi. Uscì in maniera abbastanza tracotante e da insalutato ospite, sollevando polvere e mormorìi.
La ragazza era rimasta sola. Sembrava disinteressata da tutto ciò che la circondava. La luna non aveva consigli da darmi ed il mondo non avrebbe cambiato il suo corso per una lite tra amanti, tuttavia feci il giro completo della pista e mi fermai davanti a lei. Mi chinai quel tanto per poterla vedere in viso e per farmi vedere. Stava piangendo. Se c'è una cosa che non ho mai tollerato è veder piangere una persona da sola. Se c'è da piangere è sempre meglio farlo in due, come minimo, meglio se in tre o quattro, sennò la cosa potrebbe andare per le lunghe e diventare un dramma. Piangendo in molti sullo stesso tema, spesso finisce a ridere. «Cosa succede,signorina? Posso esserle utile?», le chiesi e le offrii l'immacolato fazzoletto bianco estratto dal taschino della mia giacca, di cui la direzione m'aveva gentilmente dotato. Vedi a cosa serviva, mi dissi, mentre la ragazza ci dava una soffiata dentro esalando un:"Ed ora come farò? sono senza soldi e non so dove andare...», una storia è una storia, niente di più, niente di meno, vanno e vengono, c'è chi vince e c'è chi perde, chi si chiede perchè e chi se ne frega, chi s'intromette e chi se ne lava le mani, chi fa San Martino e chi s'eclissa. A me non interessava cos'era successo, perchè fosse successo, ma cosa sarebbe stato domani per me se non me ne fossi interessato. Se c'era un problema lo si risolveva e basta, forse era un modo per guadagnarsi il paradiso o forse l'inferno, ma di quel poco che m'avevano insegnato m'era rimasto impresso che gli ostacoli ci vengono messi davanti agli stinchi per essere superati, non certo per tornare indietro. Al primo intervallo dell'orchestra fermai Egon che stava andandosene in camerino.«La ragazza lì dietro non ha il becco d'un quattrino e non sa dove andare a dormire, stanotte. Come sei messo a casa tua?» Egon guardò la ragazza.«M'ero accorto ch'era scoppiato qualcosa...non c'è rimedio?», le chiese. La ragazza scosse sconsolata la testa.«Stai tranquilla, puoi dormire da me». D'altra parte quelli erano tempi dove si poteva dormire dappertutto, nelle stazioni o nei salotti sconosciuti, sui pavimenti di camere di ignoti che t'aprivano la porta e ti dicevano entra amico, che musica ti piace? c' era solo il rischio di riconoscersi in quella voce, c'era il  bisogno di riconoscersi in quel continente, bisogno di quello spessore pietroso, della resistenza di quella povera terra fatta di parole, compattata di sensi a forza di passaggi e calpestìi, di nervi possibili, di muscoli mentali, di connessioni in quel troppo che sembrava possibile e che era invece inverosimile. Era quella cacofonia, quell'anarchia di vita, un rimescolìo continuo di piani sognati, spiegati al vento, nemmeno mai dimenticati, a volte nemmeno compresi, spesso seppelliti, piombati, di cui qualche volta fummo derubati.
Alle 5 del mattino salimmo in auto, ed annotai con curiosità che Egon non aveva occhi che per la ragazza. Come ti chiami? Gabriella, sei bellissima, tu canti in modo splendido, non esageriamo, dove abiti? a Milano, ma hai del bagaglio? spero di ritrovarlo in albergo, mi sentii un po' tassista ed ancora una volta un po' ruffiano, forse Egon non era poi così di là dell'altro continente come avevo creduto, risi da solo e quei due mi guardarono stupiti, forse era la prima volta che mi vedevano ridere, poi scoppiarono a ridere anche loro. Quel mattino Egon non mi prese la mano e non mi baciò, ma lo fece Gabriella, prima che sparissero nel buio del portone.
Ridevo sì, perchè anche allora quel che contava era sempre la solita alba rossa che non costava niente, là dove la spiaggia dorata era sfuggita all'asfalto, alle benne, ai rulli compressori, alle zone industriali in espansione ed il rapido buttarsi in acqua e sparire sotto l'onda, togliersi il peso di certi massi, sentire il fruscìo del mare che rimbombava filtrato, gorgogliante, dilavato nelle orecchie, nel sifone delle risonanze e dei ricordi, curva di rumore rosa, bianco, azzurro e verde speranza, colori da bambino, forti e senza rischio, poi strizzarsi come torcioni e ritrovare un po' di quel che s'era perduto tra continente e continente, dell'innocenza.

 

 

 

capannina

 
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