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Voci narranti

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Immagini di te

Post n°6 pubblicato il 08 Novembre 2006 da Elyrin
 

“Questa sera sarò il tuo cavaliere. Verresti a cena fuori, con me?”
Ecco le parole con cui ti ho accolta appena hai messo piede in casa oggi nel tardo pomeriggio. Avevo voglia di stare in tua compagnia e di passare una serata in un qualsiasi locale a rimirarti e bearmi di te. E poi, sinceramente, vorrei parlarti, chiederti una cosa; o almeno vorrei provarci.
E non resisto,sai?
Più ti osservo più diventa forte il bisogno di porti questa domanda. Lo so che è indiscreta e che la mia curiosità potrà metterti a disagio e magari irritarti al punto da tenermi il broncio, ma io devo farla, questa dannata domanda.
Ogni volta che con lo sguardo eviti qualcosa o qualcuno che non approvi e nel frattempo arricci il naso, ignara della buffa espressione che ti dipingi in volto, assumendo un aria da piccolo pipistrello rabbioso, ecco, in quei precisi momenti sento quell’interrogativo pulsarmi nelle tempie e danzarmi sulla lingua.
Chissà perché mi trattengo!
Probabilmente qualcuno direbbe che ho paura di una tua replica. Vero, è assolutamente vero. Devo ammettere che nutro un guizzo di timore quasi reverenziale nei tuoi confronti…d’altronde, come non potrei? La tua camminata è la prima tua caratteristica fra tante che mi salta in mente, così avida e rapida, quasi non avessi dita ai piedi, ma artigli affilati pronti a straziare il terreno di fronte a te. Ci credi che non mi stupirei se ti vedessi arrampicare su un albero con ai piedi i tuoi stiletti aguzzi? Probabilmente nemmeno cadresti, mentre io…io sarei proprio buffo!
E’ dolce osservare come i miei pensieri ricalchino la tua forma anche quando tu non fai nulla per stuzzicarli. Sei seduta qua, di fronte a me, sento il tuo profumo esasperantemente fruttato; se avessi un naso al posto degli occhi sarei convinto di aver a che fare con un qualche cocktail tropicale guarnito con frutta multicolore e sconosciuta.
Ti respiro.
Tu non fai caso ai miei occhi che giocano con le tue linee, non hai nemmeno idea dei pensieri che sto intrecciando ora, sei troppo impegnata a sfogliare il menù del ristorante in cui questa sera, in preda ad un raptus, ho deciso di portarti. Sei rimasta piacevolmente disorientata alla notizia, ma sei stata comunque pronta nel correre in camera ad imbellettarti e, dopo una breve attesa, sei riapparsa dalla stanza in cui ti eri nascosta, con un sorriso quasi più sfavillante dei tuoi tanti gioielli. Vederti così mi ha doppiamente reso fiero del mio fuori programma. Adoro farti risplendere.
Proprio ora mi rendo conto che dietro la poltroncina di verde velluto arabescato su cui sei seduta, ancora intenta a scegliere un piatto che sappia soddisfare in eguale misura la tua fame di estetica e le tue papille, c’è un grande specchio, immenso, che ricopre tutta la parete, riflettendo buona parte della sala del locale.
Come ho fatto a non accorgermene?
Sono stato vittima di un’illusione ottica: ero convinto di essere entrato in un arioso ristorante e ora invece mi rendo conto di essermi sbagliato a causa di uno specchio.
Curioso. Non che sia troppo piccolo ora, anzi, lo definirei più intimo, ma mi sorprende come i miei sensi siano ingannevoli e come i miei occhi non siano riusciti a valutare oggettivamente la realtà. Come se avessi quasi perso per un momento la capacità di osservare e avessi indossato inconsapevolmente una maschera le cui fessure erano rivestite di velina colorata.
Da dove sono seduto posso vedere riflessi l’ingresso della sala e i camerieri che vorticano fra i tavoli, interpreti di una strana danza dell’equilibrio tutta loro, eseguita in circostanze decisamente ostili. Vedo gli altri tavoli e i loro ospiti, alcuni immersi come te in un dibattito mentale sulla validità del gusto di un sufflè rispetto ad un altro, altri invece persi come me, a guardarsi attorno, ma persi soprattutto a guardare colui o colei, come nel mio caso, che ci sono seduti di fronte e, come vedo nella maggioranza dei casi, ci ignorano. Di certo non intenzionalmente. E’ solo che il menù al momento appare più interessante e fruibile di noi eremiti elucubranti che gli siamo di fronte. E come biasimarli, io farei altrettanto, in particolare ora che mi sto guardando in volto. Non sembra proprio che in realtà io sia sereno e tranquillo, tutt’altro, ce l’ho proprio scritto in faccia: devo farti quella domanda. E forse ti ho portato fuori solo per portela. Sono come una pellicola in negativo, per una volta gradirei che i miei muscoli facciali non si contraessero dettati solo dagli scuri malumori, ma anche dai bianchi sentimenti che mi animano. Mi sorrido e distendo le guance e con il piede sfioro uno dei tuoi. Rispondi alla mia periferica carezza, soprappensiero. Dal grande specchio di fronte a me posso vedere anche la tua schiena e il tuoi collo, nonché i tuoi capelli e tutte quelle parti di te che ti angosciano tanto, dal momento che non riesci mai a verificare se siano a posto o meno.
Bè, te lo dico ora: sei perfetta, simmetricamente impeccabile, rigorosa fino alla follia e tremendamente bella.
Questa mattina eri tutta trafelata, presa dai tuoi progetti giornalieri lavorativi, che sei scappata di casa dimenticando il tuo rossetto vicino alla tazza vuota di caffè. Quando me ne sono accorto ho riso, pensando all’orrore che si sarebbe dipinto sui tuoi occhi una volta arrivata in ufficio, dove ti saresti specchiata di sfuggita all’ingresso e ti saresti resa conto che il tuo viso aveva qualche tono di rosa in meno.
I brividi! Mi sono venuti per te. E non sia mai; ho preso lo stick e l’ho messo in una busta bianca insieme ad un biglietto con le parole: “a stasera ,arlecchino” e, mentre mi recavo al negozio l’ho lasciato alla reception della tua ditta, raccomandandomi che ti venisse recapitato non prima di una mezz’ora. Su, dai, un po’ di disperazione dovevo infliggertela, non trovi? Magari d’ora in poi deciderai di farne a meno, per me sei bella anche senza.
E’ l’intera giornata che raccolgo idee e parole per poterti chiedere ciò che fastidiosamente ed inopportunamente mi ulcera la mente e ora che è calata la sera non dispongo del vocabolario che mi sarei aspettato, accidenti. Vedo le tue dita amorevolmente smaltate girare l’ultima pagina del menù e quindi mi decido subito ad inventarmi quale piatto ordinare, o sarò io anche questa volta a fare la figura dell’eterno indeciso. Penso, penso…ma non mi viene in mente niente. Una novità. Quando arriverà il cameriere e inizierà la trafila della comanda le tue risposte e risate argentine lasceranno il turno al mio imbarazzato silenzio e ai miei “boh” detti con lo sguardo. Allora tu alzerai un sopracciglio con disappunto e ordinerai per me un piatto che volevi assaggiare ma che non volevi ordinare per evitare di sembrare ingorda. Buffo che ogni volta questo piatto si riveli delizioso e che tu voglia assolutamente fare cambio con uno dei tuoi perché non erano proprio come te li aspettavi,ahimè, poco male, tanto io sono onnivoro e mangio di tutto, anche i cibi neri, mentre tu no.
Accenno ad un colpo di tosse. Nello specchio vedo la tua nuca castana e liscia alzarsi un poco.
“Ho quasi deciso” mi dici.
“Anche io” replico.
Mi guardi e mi sorridi. Che ciglia lunghe che hai, non riesco a non guardarle. Le hai talmente lunghe che ti dà addirittura fastidio portare gli occhiali. Ogni volta che devi usarli è una commedia in cui io, da spettatore, mi godo le tue traversie con le lenti che ti piegano tutte le ciglia e ti tanno un fastidio insopportabile, senza contare che macchi i vetri con il mascara ed allora è davvero impossibile leggere in quelle condizioni. Mi chiedo come sarebbe la tua vita senza rimmel. Forse sembreresti meno gatta, ma almeno potresti mettere gli occhiali.
“Sai, c’è una cosa che mi gira per la mente…”accenno io, accarezzandomi il collo in un gesto di latente imbarazzo.
“Una cosa COSA?” mi rispondi.
Bella domanda. Se potessi parlare con la tua nuca sarebbe più semplice, sembra così indifesa, di certo potrei porle domande inaccettabili per i tuoi occhi, che sono la tua arma più affilata, quasi più delle tue fluide parole velenose.
“Una cosa sul genere di una domanda” formulo io. Stiamo per ordinare, forse non dovrei chiederglielo ma non resisto, le parole mi scappano di bocca disordinate e infantili.
“Chiedimi tutto quello che vuoi…Cameriere!” Alzi la mano per attirare l’attenzione di uno dei tanti ballerini che vorticano sullo specchio lucido, dietro alla tua nuca.
“Io…bè, ecco. Perché, perché hai rimandato tutto di nuovo?”
Ecco, l’ho detto. Mi sembra di scorgere due fiammelle che ti sbucano dalle narici.
“Mi sembrava di averti già spiegato le motivazioni della mia scelta, io…” La tua voce ha cambiato modulo.
“No, no, non voglio sapere il perché di questo in particolare” la interrompo “vorrei sapere perché tutte le volte che fai una cosa, qualsiasi cosa, come il letto la mattina, poi ripassi e lo rifai nuovamente. Anche oggi, in cucina; hai lavato un bicchiere e lo hai posato sullo sgocciolatoio. Poi poco dopo sei ripassata e lo hai rilavato. Ecco quello che mi chiedevo. Perché rifai sempre tutto?”
Lei mi guarda perplessa, come se le avessi fatto la domanda più sciocca della sua intera esistenza. Ma non fa in tempo a dire nulla perché arriva il cameriere. E’ affannato, ma cerca di non darlo a vedere, sorride plasticamente e si appresta a registrare i nostri desideri di una sera. Ordiniamo abbastanza velocemente. Il mio stomaco borbotta in sottofondo, ho una discreta fame.
Andatosene, il cameriere si avvicina ad un altro tavolo: stesso affanno, stesso sorriso: mi chiedo se non sia meccanico.
Attiri la mia attenzione toccandomi il dorso della mano.
“Non capisco bene ciò che dici. Non è poi vero che rifaccio tutto, mi piace solo verificare che ciò che ho sistemato prima sia in buono stato e che non abbia quindi più bisogno di essere risistemato.”
Decido di intavolare questa discussione con te, ma senza guardarti negli occhi, facendo scivolare il mio sguardo sulla tua guancia fino allo specchio e osservando la tua nuca, invece dei tuoi occhi, poiché mi sembra meno ingannatrice di loro, almeno per me.
Da anni non so più dove cercare la tua anima, ma ora mi sembra di averla ritrovata. Ed è a lei che parlo, come se mi stessi rivolgendo ad un ricordo o ad una fotografia impolverata.
“Non credo sia solo questo, è quasi un affanno, il tuo. Se scrivi un biglietto poi lo strappi e lo riscrivi, sempre. Mi chiedo se per caso tu non sia insicura di te stessa e di come fai le cose.”
“Io?Santo cielo, stai scherzando! Non ho certo fatto anni di terapia per sviluppare un’insicurezza patologica!Ti sbagli, stanne certo” Ghigni.
Dentro di me sorrido. Non oso farlo sul viso perché temo penseresti che ti sto prendendo in giro, ma non è così. E’ solo che ricordo il tuo temperamento di dieci anni fa, e di come tentennavi ogni momento per tutto e di come mi tenevi la mano per strada quasi avessi il timore che qualcuno ti avesse fatto inciampare di proposito. Eri molto più fragile, come la tua nuca ora, non che lo lasciassi trasparire ma io avevo il privilegio di vederlo, come mi sembra ora di vederla tremare riflessa nello specchio. Solo io posso farlo.
“Pensaci, per favore. Hai rimandato anche la festa del nostro anniversario. Eppure avevi organizzato tutto. Non credo sia solo precisione, temo ci sia qualcosa di più. Come se ti dessi da sola delle incertezze rivedendo tutto ciò che hai già fatto. Non inquisirti troppo.”
“Oh, che sciocchezza. Si chiama precisione, tutto qua, non ha altri nomi. Uh, guarda, sta arrivando il cameriere”
Il ragazzo si avvicina al tavolo con una bottiglia di vino, la poggia sul tavolo con charme preconfigurato e se ne va. Vuoi finire il discorso, perché non ti versi nemmeno da bere, nonostante poco prima ti fossi lamentata di avere sete. Si vede che l’argomento ti mette a disagio e mi dispiace.
“Tu prima hai parlato di incertezze…pensi sia sbagliato non essere sempre sicuri del proprio operato? Tu lo sei? E se per caso a me piacesse sentirmi disorientata?”
Disorientato. Come lo sono io ora mentre guardo te e poi il tuo riflesso nello specchio. Sembrano due persone differenti e continuo a chiedermi a chi mi stia rivolgendo in realtà e perché stasera io veda due te.
Resto in silenzio, per darti un poco di tregua e lasciarti sorseggiare il vino rosso, mentre rifletto sulla strana atmosfera creatasi stasera, con questo grande specchio di fronte a me e te che sembri trasfigurata. Dal momento che stasera mi rendo conto di essere in preda ad un inganno orchestrato da me stesso a mia insaputa, una domanda la vorrei porre a me stesso: qual è la tua percezione della realtà? Cosa vedi nella tua donna ora e cosa hai sempre visto in lei da quando la conosci? E colei che ora ti è davanti pensi sia reale? O la realtà è quella che lo specchio ti sta rivelando? Scruto con ansia le due donne e mi trovo più confuso che mai. Non avrei dovuto chiedere nulla, la mia domanda mi si è rivolta contro e ora l’insicuro dei due sono io.
Disorientato.
Come faccio dall’inizio di questa serata, ti guardo e cerco di capire se l’immagine che ho di te è distorta da una patina che ho ti ho messo addosso o che mi sono creato. Il tuo modo di muovere le mani e di sistemarti i capelli, il tuo sbattere le palpebre e lo nascondere uno sbadiglio: ti guardo ma non riesco più a trovare aggettivi per te. Che serata strana, e che strano questo specchio. Fra le due te quella che ora riconosco meglio è il tuo riflesso, sai?
“Guardati alle spalle” ti dico, curioso.
“Cosa?” mi dici più perplessa che mai. Stasera ti ho davvero esasperato e incuriosita.
“Voltati, guarda cosa c’è dietro di te” la incito. Voglio vedere una cosa. Voglio vedere se per caso lo specchio può aiutarmi nel mio enigma e può sciogliere i miei nodi, poicjè io sono annegato nella mia mente.
Ti giri lentamente ed esclami sorpresa quando vedi lo specchio, alto, e ti chiedi come tu non possa averlo visto prima e subito dopo sei già lì che controlli che il tuo viso sia tutto a posto. Stai tranquilla, sei bellissima, ogni imperfezione diventa virtù su di te, vorrei dirti. Poi ti vedo vagare con lo sguardo per la sala riflessa: ora vedi anche tu gli altri tavoli e la danza dei camerieri e all’improvviso vedi anche me, seduto dietro di te. E io rivedo te, seduta davanti a me. Ma dietro di te.
Mi sorridi e io replico la gradevole smorfia e ti osservo con grande intensità. Forse ora starai pensando che sono in preda ad un desiderio improvviso e incalzante, ma in realtà mi sto solo accorgendo che sei diversa riflessa in quello specchio, che le tue labbra sottili sono più incerte e i tuoi occhi scuri sono più profondi. Mi sembra impossibile, ma credo di riuscire a carpire i tuoi pensieri e ciò che ti preoccupa in questo esatto momento.
“Non preoccuparti, vedrai che le portate arriveranno subito”
“Lo spero, sai, ho una fame…” mi dici. Ma io sapevo che stavi morendo di fame, l’ho visto nello specchio proprio un secondo fa.
Distolgo un attimo gli occhi da te e cerco il cameriere, impaziente anche io per la lunga attesa e decisamente affamato, vista l’ora. Tu navighi ancora nelle acque argentee guizzanti di colore dello specchio. Sentiamo dei rapidi passi e ci voltiamo di scatto entrambi, speranzosi: ecco il cameriere con i nostri antipasti: che gioia! Affondiamo le posate nei cibi con puro piacere e ai primi bocconi siamo invasi da una sorta di delirio. Sono così preso dalle pietanze che per un poco non ti considero, che infame che sono. Ma prima di guardarti nuovamente osservo lo specchio imponente e la sagoma del ragazzo in divisa che ci ha servito che scompare dietro ad una porta. L’occhio mi scivola sulle tue spalle riflesse, intente a dondolare mentre tagliuzzi una fettina di formaggio francese decisamente odoroso; l’immagine non è cambiata, sei sempre la tu effimera di dieci anni fa, quando ancora non avevi dedicato giorni e giorni della tua vita a costruirti una in cui ti saresti rinchiusa ostinatamente, senza nemmeno lasciare uno spiraglio per me. Eri meravigliosa, come lo sei ora, naturalmente, ma non posso fare a meno di adorare l’immagine della donna a cui ho deciso di dedicare la mia vita.
“Ti piace il formaggio!” Mi chiedi. Così facendo mi costringi a guardarti per risponderti e…
“O-ottimo!Davvero…” rispondo. Ora si che sono decisamente disorientato. Sei tu? Qua, seduta di fronte a me, sei davvero tu?Che strano, eppure mi sembri più radiosa e più fragile, quasi sonora nei tuoi movimenti e con la curva delle spalle più dolce, più…
“Stai bene?” chiedo cauto.
“Eccome!Mai stata meglio, è un locale molto carino e mi sento davvero bene. Grazie.” Rispondi cristallina. E improvvisamente mi rendo conto che alle tue spalle, riflessa allo specchio, la tua immagine è cambiata.E’ rigida.
Per qualche secondo mi spavento, convinto che tu sia stata risucchiata dallo specchio e che lui abbia sostituito il tuo riflesso a te. Oppure che questo abbia rubato i miei occhi e mi abbia restituito quelli di un tempo. Sono cosi’ turbato che mi dimentico di mangiare. E mentre tu invece ti godi quelle delizie io ti osservo, ti osservo e mi chiedo: perché, perché…perché lo specchio ora riflette la mia visione di te degli ultimi anni? Perché ora sto capendo che per quasi una vita ho percepito di te solo la forza, mentre ho sempre rifiutato la tua debolezza, che era la caratteristica più affascinante e dolce di te? Con cosa mi hai rubato il cuore tu tanto tanto tempo fa? Te lo ricordi? Io si. E’ stato lo stesso modo di accarezzarti il lobo dell’orecchio che vedo ora, questo tuo inconscio gesto dettato forse solo dalla paura di perdere il prezioso orecchino, ma eseguito con una leggerezza tale da lasciarmi incantato, quasi fosse un movimento magico.
La cosa più folle è vederti muovere un braccio nella realtà e al tempo stesso vederti non farlo nel riflesso dello specchio.
‘E’ la mia mente’, mi dico. Oppure più semplicemente è lo specchio che ha illuso la mia realtà imprimendomi la sua. Si, è sicuramente così, perché ora ti vedo più mia.
E mi sto giusto chiedendo come sia successo che i miei occhi ti hanno persa per tanti anni che mi chiami e mi dici: “Il secondo è arrivato da un po’, non vorrai mica lasciarlo raffreddare, vero?”
E mi sorridi, dolce e piena di luce. Io afferro una forchetta e inebetito mi tuffo nelle tue fossette sulle guance felice di averti di fronte e di averti portato qua e di averti guardata in due modi diversi nello stesso tempo, ma soprattutto felice di aver ritrovato la donna grazie a cui ho imparato ad assaggiare la vita.
Non guarderò più lo specchio per il resto della serata, ma quando sarò a casa la prima cosa che farò sarà quella di trascinarti davanti a quello della camera da letto e di scambiarci lì di fronte un bacio appassionato e sincero, cosicché, fra non so quanti anni, potrò riguardarti riflessa nella stessa superficie e magari riscoprire che, come un idiota, i miei occhi hanno disimparato nuovamente a guardarti, ma che, grazie ad una nuova illusione, potrò riaverti come ti ho riavuta stasera.

 
 
 
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