A.T.T.I.L.I.O.
Attivisti Territoriali Terribilmente Incazzati Lievemente Inconsapevoli a Oltranza
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Post n°249 pubblicato il 16 Giugno 2009 da votattilio2008
Adesso che il dibattito congressuale l’hanno ufficialmente aperto quelli che dicevano che bisognava attendere l’esito dei ballottaggi, vorrei provare a ragionare sugli schieramenti in campo. E soprattutto vorrei spiegare per quale motivo non solo non mi ci riconosco, ma perché, a mio modesto avviso, serve un lavoro, faticoso e indispensabile al tempo stesso, per provare a sfondare questa cappa che opprime il Pd. Andiamo con ordine.
1) La situazione attuale La situazione è chiara. Tornano in campo gli eterni duellanti. D’Alema da un lato e Veltroni d’altro. Questa volta lo fanno per interposta persona. Tramite due volti “nuovi” che poi nuovi non sono. Franceschini è stato quello che ha preso in mano il partito dicendo “Ora basta litigare, da oggi in poi decido io”. Ha nominato una segreteria nuova, che era talmente nuova che non è mai (o quasi) stata riunita. E’ nuova, fosse che si rovina, meglio lasciarla incartata. Adesso riceve questo soffocante abbraccio di Veltroni, che dopo il silenzio assordante degli ultimi mesi (campagna elettorale compresa, salvo rarissime eccezioni) scopre che deve scendere in campo per salvare il progetto del Lingotto. Si mette la calzamaglia di superuolter e si presenta come la divina provvidenza, convocando le masse per il 2 luglio a Roma. Spero che spiegherà anche per quale motivo, invece di dare la battaglia che pur aveva annunciato contro correnti e capobastone, abbia preferito dimettersi. Ma superuolter non è un ingenuo, capisce che deve darsi un manto nuovo e allora che ti combina, nel frattempo? Si inventa la Serracchiani. E’ inutile che ci prendiamo in giro. E’ una sua creazione – questa volta discreta, non sfacciata come la Madia – in veste di talent scout. Altrimenti qualcuno mi dovrebbe spiegare perché una che ti fa un discorso sentito mille volte in altrettante riunioni, letto duemila volte su internet, all’improvviso diventa una star mediatica. Il suo discorso esce su youdem, lo riprende Repubblica, spopola in rete, il video su youtube diventa uno dei più cliccati sulla rete. Sarà anche dietrologia, ma poi te la ritrovi in prima fila al revival uolteriano del 2 luglio.
Bersani è quello che è, un D’Alema con in più quell’aria bonaria romagnola che fa tanto dirigente paesano del Pci anni ’50. Per darsi una presentabilità dice nel ’94 aveva scritto un documento intitolato Progetto Democratico. In realtà non può e non vuole rappresentare il nuovo, perché la sua “mission” è quella di rassicurare il confuso popolo della sinistra. Tranquilli ci penso io, faccio il segretario, se ne vanno questi fastidiosi rutellidi, ci riprendiamo Vendola e compagna. Ognuno a casa sua, poi magari si fa una bella alleanza con il centro di Rutelli e Casini. Sicuramente più presentabile dell’attuale Udc di Totò Cuffaro (per chi non lo ricordasse condannato per affari attinenti alla mafia). E mi fermo qua senza parlare dell’inquietante intreccio tra affari e politica che caratteri il sistema di potere dalemiano. Intanto si intrupperà con Letta. E anche qui che c'entrano? Quali sono i programmi comuni?
2) L’ennesima sconfitta dei quarantenni Loro ci hanno provato, poverini, a convincere Nicola Zingaretti che lui poteva rappresentare una novità importante, non il nuovismo finto delle deboreserracchiani, ma un nuovo vero, cresciuto e forgiato sul territorio, impreziosito dalla vittoria alla Provincia di Roma nello stesso giorno in cui Rutelli veniva battuto da Alemanno proprio nella Capitale. Zinga ha detto no. Pubblicamente e ripetutamente. Fino ad arrivare a smentire la sua possibile candidatura con una piccata replica spedita a Repubblica a stretto giro di mail. “Si apra una discussione programmatica”, ha scritto Zingaretti. Salvo poi scoprire, dicono i bene informati, che aveva già chiuso un accordo con Bersani e che alle primarie, nel Lazio, troveremo qualcosa del tipo “Lista Zingaretti per Bersani segretario”. (A proposito, off topic: che ne dite di scrivere a Nicola per fargli capire che chi lo ha sempre sostenuto questa volta non ci sta? Il titolo, provocatorio, potrebbe essere “Con i talebani mai”. Fatemi sapere). Fatto sta che, al momento dei quarantenni si sono perse le tracce, spacchettati, come al solito, fra i due sfidanti che se ne faranno vanto e li useranno, come al solito, per appuntarsi qualche spilletta sulle loro consunte giacchette. Un pezzo di loro farà la sua comparsa il 27 giugno al Lingotto di Torino, ma temo sia soltanto l’occasione per dare fiato e patina alla candidatura di Franceschini. Spero che i cosiddetti Piombini democratici mi smentiscano fragorosamente. Ma ci credo poco.
Niente da fare, questa generazione, della quale purtroppo ho la sfortuna di far parte, non ha l’autonomia di pensiero e di azione necessarie per la conquista del Palazzo d’inverno, in sintesi soffre di una cronica mancanza di attributi, le donne come gli uomini, che li porta a elemosinare posizioni e visibilità dal papà di turno. Una sorta di mammismo politico. Non c’è niente da fare è una tara genetica che tende a peggiorare con il diminuire degli anni. In sintesi, quelli nati dalla metà degli anni sessanta in poi… sono senza palle.
3) L’urgenza di rompere gli schemi Lo schemino per il congresso e le successive primarie, insomma, sembra drammaticamente scritto. Franceschini-Veltroni da un lato, D’Alema-Bersani dall’altro. Con buona pace di Marini, Fioroni e tutto l’armamentario ex Dc che credevano di aver vinto un terno al lotto e invece si vedono sfilare sotto il naso il loro candidato. Una bella quota di posti li farà stare più tranquilli. Risposta nuova voleva dire un partito che desse risposte nuove ai nuovi bisogni. E ci siamo ritrovati la Binetti. Risposta nuova voleva dire un partito che ritrovasse la sua ragion d’essere sul territorio. E ci siamo ritrovati i circoli finti, creati ad arte per dare libero sfogo alle correnti. Risposta nuova voleva dire un’attenzione nuova al mondo del lavoro. E ci siamo ritrovati la faccina per bene di Colaninno (figlio) e quella cattiva di Marcenaro. Di questo stato di cose, mi dispiace dirlo, è responsabile anche Veltroni. Non basta dire "non mi hanno fatto fare il partito che volevo". Ed è (più) responsabile anche Massimo D'Alema. Anche qui mi dispiace dirlo: ormai è troppo preso dalle trame quotidiane per poter fare il leader. Al di là delle frasi di rito, insomma, riproporre questa partita vuol dire rassegnarsi a un futuro grigio, lontano dai bisogni veri di questo Paese, lontano da quello che sognavamo. Abbiamo bisogno di un pensiero lungo, non di una baruffa per vedere chi fra Uolter e Max conta di più.
3) E allora serve il TRE Serve una candidatura forte, autorevole, che sia nuova davvero e che al tempo stesso dia un segnale forte nella direzione di un’apertura vera alla società civile. Non a quella finta, fatta dalle associazioni create ad arte, dai professionisti della preferenza che si nascondono fattezze vecchie con un abito appena rattoppato. E al tempo stesso serve un po’ di coraggio, anzi serve un po’ di sana incoscienza, per buttarsi davvero “pancia a terra” in una sfida che potrebbe sembrare impossibile. Avete letto nei giorni scorsi chi potrebbe essere quello che io chiamo il TRE. Una figura autorevole che ha deciso di aspettare i ballottaggi e che, essendo persona seria e coerente, lo farà davvero. Per questo lo chiamo il TRE e per rispetto non lo nomino. Conosco le obiezioni: è poco conosciuto, non ha una storia di partito, gli mancano le stellette del generale. Non arriva al 15 cento del voto degli iscritti necessario a superare lo scoglio del finto congresso per arrivare alle primarie. Intanto: non possiamo chiedere l’innovazione e poi dire che non ha una storia di partito alle spalle. Non serve l’ennesima figura compromessa con un passato costellato di errori e sconfitte. Non serve uno di quelli che ha regalato l’Italia a Berlusconi, né uno della sua personale corte. E soprattutto non serve il 15 per cento del voto degli iscritti per arrivare alle primarie. Lo statuto parla di 1500 firme e del 5 per cento dei voti. Un obiettivo che, in maniera scaramantica, definirei non irraggiungibile.
Quello che serve, lo ribadisco, è il nostro coraggio. Alziamo la testa, per una volta non facciamoci spacchettare. Non cediamo alle sirene che in questi giorni si fanno sentire.
Vogliamo il partito della partecipazione, vogliamo il partito dei nuovi diritti. Vogliamo il Partito Democratico. Ce la faremo? Non lo so, ma questa è una di quelle battaglie che vanno combattute comunque. Anche se sarà dura, se useranno contro di noi tutte le armi della vecchia politica. Se quelli di Rutelli si chiamano i Coraggiosi, insomma, noi potremmo chiamarci, senza poter essere smentiti, gli “Incoscienti”. Ma serve anche un pizzico di follia per creare un futuro diverso per la sinistra nel nostro Paese. |
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