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L'AMANTE PERFETTA (TERZA ED ULTIMA PARTE)

Post n°99 pubblicato il 14 Settembre 2009 da whatsgoingon2005

La mia faccia non era diversa da quella delle altre persone che scendevano dall’autobus al mattino per recarsi al lavoro, ma assumeva connotati e valori diversi solo in quanto qualcuno era in grado di distinguerli, e perfino di amarli.

  

E non era forse  per questo che la nostra camera d’albergo, così nuda ed  anonima, diveniva preferibile, se non migliore e meno inutile,  dell’ordine delle cose che gli altri, alla sera,  ritrovavano nelle loro case, dove tutto stava sempre al solito posto, in quella disposizione  così  immobile che imbalsamava le cose come,  allo stesso tempo, le persone che vi abitano ed i loro sentimenti ?

E proprio perché era così - ed entrambi lo sapevamo -, quell’amore non avrebbe potuto avere un futuro e non sarebbe  potuto scadere nella banalità e nel quotidiano.

 

Nessuno dei due avrebbe permesso che esso potesse morire in  quel modo.

 

 

L'averlo conosciuto: questo era il vero dramma, la vera infelicità.

 

 

 

 

Ed aver capito che esso si nutre soltanto di momenti eccezionali, che non può esistere a lungo in quanto tale, e che non può neanche trasformasi in qualcosa di altro, di diverso, senza che ne venga meno la sua più intima essenza.

 

Quella tensione negli sguardi, quella incapacità di dirsi parole, significavano tutto questo.

 

 

Era preferibile non dire, e viverlo, piuttosto che ammettere che non sarebbe durato a lungo; faceva meno male.

 

Ma il non dire non guariva il male, ed aumentava soltanto l’angoscia per un distacco che prima o poi sapevamo che sarebbe dovuto avvenire.

 

E dopo?

 

Come saremmo stati dopo questa esperienza?

 

Niente sarebbe più stato uguale a prima.

 

L’aver conosciuto avrebbe modificato per sempre il nostro modo di sentire e di vivere la vita.

 

Il passato sarebbe stato completamente sepolto da quell’evento,  ed avrebbe perso interamente il suo valore alla luce di esso.

 

La vita sarebbe ripartita da lì. Non da prima.

 

Questo era forse l’elemento che più di altri aveva diritto di essere salvato.

 

Se anche l’amore fosse morto, la passione avrebbe tolto ogni significata al passato,  lo avrebbe lavato, come se fosse stata acqua, ed in quel modo, avrebbe lavato  anche ogni tristezza che esso conteneva.

 

Dal dolore della perdita si sarebbe liberata  una nuova vita.

 

Era lì che si doveva cercare la spiegazione di tutto.

 

Ma l'aspetto più sconvolgente di tutta la vicenda  risiedeva nel fatto che l'intero percorso,  era, per entrambi, già chiaramente delineato fin dal suo inizio, se non addirittura prima dell'inizio stesso.

 

Infatti, se l’incontro era stato casuale, non lo era stato di certo l’essersi scelti.

 

Un amore lontano: dalla cerchia delle persone conosciute, dalla quotidianità, ma anche da noi stessi; una passione che una volta finita non avrebbe lasciato tracce, proprio come l’acqua asciugata dal sole.

 

L’altro rappresentava, per entrambi, lo strumento, l’unico disponibile, per distruggere un passato che non voleva passare,  e per soffocare un presente tanto insignificante e deludente,  ma dal quale  non ci si poteva distaccare fino in fondo, per non perdere del tutto la propria identità.

 

Dal corridoio si sentì un piccolo rumore, improvviso; lei mi guardò come per chiedere qualcosa, e poi, pensosa, mi disse:

 

“Cosa c’è che non va?”. “Oggi ti sento distante.”.

 

“Niente”, risposi io.

 

“Va tutto bene”.

 

Con la mano le sfiorai gli occhi, dolcemente,  e gli chiesi piano di lasciarli così, socchiusi, per un attimo.

  

Soltanto per un attimo.

 

 

  *  *  *  *

 

 

 
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