ed io e la crusca


Nell’amore siamo noi a dare valore al tempo, ma lui ha valore sono nel realizzarlo. Per renderlo concreto, non sprecarlo. Nella sua durata, invece, lui non conta. Non incide. Non decide. L’amore non finisce perché sta durando troppo. Se l’amore scadesse, lo troveremmo in vendita e lo compreremmo leggendone la data sulla confezione. L’amore finisce perché siamo stati noi oppure, come accadde ad E e D, perché secondo gli accademici della Crusca, la D era diventata eufonica e non poteva più stare assieme alla E. Da un giorno all’altro, come se si fosse trattato di una malattia infettiva.
“Ma la grammatica?”, chiese D ai gendarmi che lo portavano via mentre E cercava di trattenerlo per la mano.
“La grammatica siamo noi!”, dissero i gendarmi della Crusca trascinando via D nel pianto straziante e disperato di E.
Nessun processo, nessun testimone. Una condanna senza un reato. Una sentenza senza processo. Un amore distrutto. Una congiunzione disgiunta. Nessuno scese in piazza. Nessuno protestò. La vigliaccheria del dizionario fu peggiore della porcata della Crusca ed io – sì ed io, millemila volte ed io – anche a costo della vita, gliela farò pagare.
ed io e la cruscaultima modifica: 2019-06-16T17:00:50+02:00da arienpassant

8 pensieri riguardo “ed io e la crusca”

  1. E io dico che sbagli non foss’altro che per una questione di suono: “e io”, dolce musicale arrendevole; “ed io”, impetuoso perentorio reazionario, queste ultime caratteristiche innocue in sé ma che in un contesto significativamente lungo risultano ormai ingombranti, ridondanti. Certo, la “e” e la “d” separate in quel modo fanno compassione, soprattutto la “d” che per decenni, in difesa della compagna, ha lottato per aver ragione di sostantivi e(d) aggettivi vocal-muniti in testa…Ma anche le regole linguistiche sono un monito della caducità di ogni cosa, che ti piaccia oppure no. 🙂

  2. Ecco, si può vivere anche di opinioni diverse senza, per esse, litigare. Lei ed io non avevamo litigato mai. Forse per questo, nei luoghi più impervi, Amazzonia compresa, riuscivamo a durare. Una capanna fatta di canne di bambù e fango che non c’entrava un cazzo con la stronzata dei due cuori ed una capanna, perché era solo condivisione di uno spazio nel quale si ritrovano due persone adulte. Anche due cuori? Certo, ma anche due teste, due fegati, due milze, due stomaci, quattro reni, tre paia di labbra e tant’altro. E, soprattutto, la cosa più importante, molto più dei due cuori: il rispetto reciproco che, cuore o non cuore, è quello che reggeva davvero tutto l’ambaradan. E poco importavano i segni delle mie vesciche sulle mani, quello è altro. Come lo era l’ampliamento che mi aveva chiesto per ricavarne un salotto ed un divano; come lo era la finestra verso l’alto che le ricavai per guardare le stelle cadenti. Come pure il bagno con la vasca dell’idromassaggio, altra sua richiesta. In fondo per me era riempire il tempo. Oddio, era anche dover riempire il serbatoio che avevo posizionato sulla collinetta in modo che la pressione facesse funzionare il getto per l’idromassaggio. Quelle erano attenzioni. Certo, anch’esse come il rispetto rientrano nella reciprocità ma, a differenza del rispetto, appartengono alla sfera del ritorno. Quando fai qualcosa per gli altri e non lo fai perché ti aspetti la ricompensa, ma lo fai perché ne hai voglia ed il ritorno è star bene. Sicuramente se ne potrebbe discutere, ma si potrebbe mai litigare per una sterile questione linguistica quando lingua e litigio sono già un ossimoro?
    “Separando le cose caduche da cert’altre cose capirai che nemmeno il dramma di D ed E può giustificare una guerra”, mi disse.
    “Ho capito, è meglio dire ‘tu e io’, allora”, le dissi.
    “No… “noi”, è ancora meglio”, e sorrise.

  3. A reggere, reggeva. Come noi che eravamo ancora là e nessuna voglia di andar via e questo significava che stavamo bene. Anzi, ancora meglio. Piano piano avevamo fatto anche amicizia con gli indigeni che, prima, ci spiavano da lontano temendo che potessimo essere pericolosi e destabilizzanti come tutti i bianchi. Col tempo, invece, avvicinandosi sempre più piano, con l’atteggiamento proprio del gatto verso il gomitolo, l’altezza delle difese si abbassa in modo inversamente proporzionale alla fiducia. E alla distanza. Come fanno le dita quando vuoi rischiare di scottarti solo un millimetro di una di esse piuttosto che tutta la mano. A ruota seguono poi le labbra. Prima nel movimento di un sorriso, sempre sotto la supervisione attenta dello sguardo. Poi la necessità di un bacio che, nel primitivo che ci portiamo dietro, è ridurre ancor più le distanze per sondarci con l’odore e con il tatto delle labbra che è più acuto e veritiero di quello delle mani.
    Del resto siamo così abitudinari che nemmeno ci accorgiamo più che prima di mangiare odoriamo e, tante volte, basta quello per farci dire “no, grazie” ma, come se non bastasse, passi l’odore ma, comunque, assaggiamo. Per fortuna non è un processo lungo, altrimenti mangeremmo quando le cose si sono ormai raffreddate o sono già scadute. Da non sottovalutare, poi, che tante volte nemmeno odoriamo o assaggiamo ed è quando il “no, grazie” non ha superato nemmeno il primo test, quello dello sguardo o quello dell’informazione:
    “che roba é?”
    “locuste fritte”
    “no, grazie”
    “non ti piacciono?”
    “no”
    “come fai a dirlo senza assaggiarle?”
    “indubbiamente, ma pur non avendolo mai preso nel culo, se me lo propongono come piacevole, rispondo ‘no, grazie’. Sarà sbagliato, ma sono fatto così. Non sono del tipo che bisogna provare tutto nella vita e pazienza se mi perderò qualche prelibatezza”.
    Alla fine, non fu amicizia ma abbastanza fiducia in più con gl’indigeni, pur continuando a mangiare ciascuno secondo le proprie abitudini ed i propri gusti.

  4. Era finito fra gli spam, in modo automatico. Sono proprio i limiti dell’intelligenza artificiale. Non potrà mai andare oltre la parola e meno male. Un po’ come il traduttore di Google. Può tradurre anche in modo vocale ma non coglierà mai gli alti, bassi o le pause. Tradurrà con la stessa cadenza una poesia della Garrida o della Dickinson…
    I traduttori vocali sono sicuramente una conquista, ma non potranno mai avere un’anima.

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