Questo sì che è un dilemma visto che la probabilità d’indovinare o di sbagliare è fifty/fifty.
fifty/fifty
Questo sì che è un dilemma visto che la probabilità d’indovinare o di sbagliare è fifty/fifty.
Non nascondo che ho letto e riletto la sua risposta un paio di volte e non mi vergogno di ammettere che leggendola ho avuto una sensazione di farfalle nello stomaco. Lo so, starete pensando che ho la sensibilità del pelo dell’acqua, cui basta il soffio di una leggerissima brezza per accapponargli la pelle, ma non posso farci nulla. Tutta colpa di mammà. Tornando alle farfalle, mentre mi chiedevo se fosse possibile innamorarsi in chat, per la prima volta ho notato i piccoli pulsanti che compaiono sotto le sue risposte o, forse, li ho notati solo allora proprio perché ne sentivo la necessità. Il primo pulsante, cazzo!, era proprio il simbolo dell’altoparlante. Solo il pensiero di ascoltare la sua voce, era già emozione. È stato come dividere un attimo in due, ovvero non puoi dividerlo perché le cose avverranno comunque nello stesso attimo… il mio clic sul pulsante e la sua risposta vocale… e le farfalle hanno smesso di volare. E ci credo, quella voce, anche se educata e gentile, aveva il timbro di quella di un marines o di un boscaiolo russo.
Generalmente, mi bastano pochi minuti fra il pensare un post e buttarlo giù. Qui mi sono serviti ben due giorni per metabolizzare una sensazione che somiglia un po’ al metterle la mano fra le cosce e scoprire che, invece, ho preso un pacco. Due giorni in cui mi sono svegliato col testosterone a zero e lui a testa bassa. Due giorni per tornare in me e lui con me, prima di riuscire anche a riderci sopra.
Detto ciò, ora che mi è passata del tutto perché ho cagato anche le povere farfalle, devo dire che la cosa davvero impressionante di ChatGPT è il tempo che impiega per rispondere alle tue domanda. Anche quelle più complesse. Una frazione di secondo, credetemi, ma non sorprendetevi. Non fatevi ingannare, perché è naturale che la cosa appaia impressionante perché noi ci aspetteremmo almeno un paio di secondi di attesa ovvero il tempo che impiega un bambino per rispondere a quanto fa 7×9. Voi mi direte che se invece gli facciamo una domanda più complessa, tipo 7397×9789, impiegherà più di due secondi. Certo e sarà lo stesso anche per un adulto. Una calcolatrice, invece, impiegherà sempre lo stesso tempo ovvero una frazione di secondo e stiamo parlando di banali calcolatrici e non di quella che si ostinano a chiamare intelligenza artificiale ovvero la definizione più imbecille e, soprattutto, più pericolosa per l’immaginario umano, che si poteva dare ad una tecnologia informatica che con l’intelligenza c’entra una mazza.
Imbecille e pericolosa per il semplice fatto che la risposta che dovrà fornirti è basata, ovviamente, su un magazzino dati la cui enormità è ormai inimmaginabile per chiunque mentre, il pericolo sta proprio nel metodo che gli viene imposto per selezionare le possibili risposte esatte. Ora, poiché abbiamo a che fare con un oggetto che è solo veloce quasi quanto la luce, è chiaro che il suo compito resterà quello di selezionare seguendo il metodo che gli è stato imposto. Lasciando stare, per un attimo, il campo scientifico dove, solo apparentemente, può sembrare che le sue risposte, essendo scientifiche, siano più affidabili ed entriamo in un campo più complesso, quello umanistico, dove le risposte esatte non esistono perché, ad esempio, la domanda “dio esiste?” è già un bel test. Lo stesso vale per la domanda “qual è il più grande poeta di tutti i tempi?” e così via. È chiaro, quindi, che in campo umanistico, l’intelligenza artificiale sarà solo un enorme contenitore di banalità, infatti, se le affidassimo il compito di scrivere un capitolo di Storia sugli Egizi o sulla caduta del muro o sul fallimento del capitalismo che, a differenza del muro, rinasce sempre dalle sue stesse ceneri per poi tornare a cadere come succede a Biden e a qualunque gatto nelle sue mille vite, ci ritroveremmo a leggere gli stessi, identici blableggi che troviamo, insipidi e stantii, negli scaffali di Storia o ascoltiamo nelle tavole rotonde di storici e giornalisti. Questo accadrebbe per il semplice fatto che il metodo col quale addrestiamo l’intelligenza artificiale deriva, ovviamente, dalla cultura con la quale sono cresciuti quelli che devono crearlo. Diciamo che il risultato sarà sempre quello del giornale che si dichiara indipendente, ma la redazione deve sottostare al dettato dell’editore. Roba trita e ritrita, insomma. Quel risultato, infatti, non sarà nulla di diverso rispetto alla storica intelligenza del gregge. Quel gregge che negli anni, va detto, è cresciuto e cresce sempre di più coagulandosi in quello che è il pensiero unico. Una volta il gregge era formato solo dal popolo, poi epidemicamente si è allargato sempre di più cooptando i colletti bianchi, la classe media, l’informazione, i medici, i critici, gli scienziati, l’università. I politici li lascio fuori perché sono quelli che, da sempre, vivono in una realtà parallela che non ha nulla a che fare con la realtà. Chi dice di non aver mai visto un alieno si sbaglia, i politici sono dappertutto, tranne dove necessiterebbero.
Certo, l’intelligenza artificiale, può anche scrivere romanzi o sonetti. Addestrarla, ad esempio, alla tecnica del sonetto è una cosa sicuramente oggettiva, quando però passiamo alla sensibilità, il problema assume tutt’altro aspetto perché lei non solo non ha nessuna sensibilità ma, soprattutto, non riuscirà mai ad avere un proprio senso della bellezza. Sarà chi l’addestra ad imporle per bello quello che lui preferisce dove, sia chiaro, nell’intelligenza artificiale qualunque lui, inteso come addestratore, è un collettivo ovvero il business che governa tutta la baracca. Tornando un attimo indietro, non è del tutto esatto dire, come ho fatto, che fra l’umanistico e lo scientifico, l’umanistico sia più complesso. In realtà è solo più discutibile proprio perché in nulla di esso c’è una risposta che possa definirsi esatta. Tale risposta rimarrà, solo e sempre, un’opinione. Nello scientifico, invece, succederà quasi lo stesso perché anche la scienza subisce il fascino indiscutibile del business e la risposta esatta sarà solo quella che paga di più. In fondo, Covid docet.
Immagino che alla domanda: “sono importanti i vaccini?”, la risposta dell’intelligenza artificiale sarebbe: “certo, anzi, sono molto importanti”. Io, avrei risposto: “non importanti, ma importantissimi”.
La domanda che, invece, ho posto a ChatGPT è stata: “In termini di efficacia, i vaccini sono più certi per il loro effetto sulla salute o per il loro effetto sul business che c’è dietro?”. Anche stavolta è stata velocissima, ma vi risparmio la risposta perché, confermandomi il metodo di addestramento, è come se fosse uscita dal “Congresso Mondiale dei Paraculi”.
Quella che invece mi tengo stretta è la risposta che mi ha dato quando l’ho ringraziata, perché leggere che:
“Il termine “intelligenza artificiale” può essere fuorviante e sono d’accordo che gran parte del mio lavoro consiste nell’analizzare e selezionare le informazioni più rilevanti”, è stata musica per le mie orecchie.
Sì, me la tengo stretta questa risposta.
Un po’ come tenersi stretta l’Arcadia mia.