dis.attenzioni

dionaea2

In effetti, a scuola, nemmeno gli piaceva la Storia. Lui aveva sempre lo sguardo rivolto verso il futuro. Anche in treno si sedeva sempre dal lato del finestrino che guardava avanti, quello dove il futuro ti viene incontro. Quello dove vedi le cose arrivare. Non il finestrino dove guardi il paesaggio passato e non quello a venire. Alla Storia preferiva la geografia e, proprio attraverso questa, si trovò a dover capire la Storia. Da quella geografia che cambiava continuamente confini e nomi, a cominciare da quell’Impero Romano la cui megalomania li aveva portati a stare sul cazzo a mezzo mondo, anzi ben più di mezzo. Alla fine, le sberle che avevano dato gli sono state restituite con interessi ben più grossi dei profitti. Chissà quanta autonomia avrebbe avuto ancora il loro passato – quello artistico ovviamente, perché il resto era tutto da dimenticare – prima che si esaurissero del tutto quelle poche briciole di dignità lasciandoci con quello che siamo diventati.
Erano i suoi pensieri di qualche sera prima, quella del suo onomastico, intanto che arrivassero un po’ di amici e, fra essi, lei. Quella che gli regalò la Dionaea muscipula, una piantina carnivora. Più che la Dionaea lo sorprese il biglietto: “perché ci siamo noi in questa pianta.”
Qualche mese; tre, forse quattro. Altalenanti. Quelle cose che, come la sabbia fra le dita, stringi stringi, dopo, si può tranquillamente restare amici perché, tranne granelli sparsi, non c’è altro.
“Perché ci siamo noi in questa pianta?”
“Perché una pianta carnivora non è né carne, né pesce.”
“Questo eravamo?”
“Cos’altro?”
“Ci abbiamo provato, però”, disse senza badare che continuava a piegare il biglietto. Sempre più a metà.
“Già…”, gli rispose abbassando gli occhi su quel biglietto ridotto a straccetto, “… ci abbiamo provato.”
Prima di andar via, gli suggerì di non farle mai mancare l’acqua sul fondo, “facci attenzione”, disse.

e poi…

Poi, parlo per me, mettere assieme Serena e Michela per trascorrere un’ora, come alternativa a leggere un libro anche solo a sentirselo raccontare e se, a farlo sono due persone giuste, intelligenti, per nulla autogratificanti, qualche chicca di saggezza e l’ironia, sarà un gran bel piacere. Serve il web, un divano (anche in vimini e cuscini), qualcosa da sorseggiare ed una sigaretta o meno.

castelli di rabbia

Io adoro questa donna per come gioca, non con le bambole, ma con quei bambolotti che, pieni di sé e facendosi scudo del proprio titolo, pensano che il mondo penda dalle loro labbra e, quando gli si chiede di spiegare il senso di quanto abbiano detto o scritto, ecco che proprio loro vanno in bambola al punto da riattaccare il telefono. Così, all’occhio attento, quello di chi vede quello che altri non riescono a vedere, non sfugge che più della cattiva educazione, quel gesto è una disperata via di fuga dal vicolo cieco in cui ti sei cacciato.