Monet, o dell’imponderabilità di un giardino

Pont japonais dans les jardins de Giverny

Scrive Chiara Gatti:

Quando, fra i campi coltivati a orzo e frumento di Giverny, piccolo comune rurale al confine fra Île-de-France e Normandia, cominciò a fiorire il giardino di Claude Monet (1840-1926), i contadini del posto gli chiesero sbigottiti come potesse sprecare tanto terreno per piantare peonie e campanule, invece degli ortaggi. Il pittore parigino, ormai cinquantenne e riconosciuto come un maestro, cercò di spiegare loro che in quel modo coltivava la bellezza e che quei fiori, per lui, non erano solo un «piacere per gli occhi, ma motivi da dipingere». “Inventò”, così, il paesaggio intimo dei suoi quadri. I locali gli diedero del matto. Lui si chiuse il cancello alle spalle e si rimise a potare i glicini.

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Appartengono a tempi ormai lontani quelle rimostranze contadine. Ora è normale che qualcuno pianti fiori, alberi e siepi per amore del bello. Non interessa la rendita, ma si mira a fare del proprio giardino una fruizione estatica. E pazienza se, come fu per me, un angolo s’ostinerà a restare segreto: nell’invisibile dimorano le ombre, e se vuoi che Ulisse torni a Itaca devi fare finta di niente.

Claude Monet's garden at Giverny

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Monet, o dell’imponderabilità di un giardinoultima modifica: 2024-06-19T09:54:31+02:00da hyponoia

2 pensieri riguardo “Monet, o dell’imponderabilità di un giardino”

  1. Sono stato a Giverny l’anno scorso. Un senso di avvilimento mi ha lasciato in eredità quel giardino che sarebbe ancora meraviglioso se non fosse per la gente, troppa gente, troppi tutti, anche io.
    Ma non so quale sarebbe la soluzione, detto che sarebbe importante preservare un posto formidabile per tanti motivi: chiudere di nuovo quel cancello, come faceva Monet?
    Non credo sia possibile. Ma così è Disneyland.

  2. La massificazione è una brutta faccenda, pretende di omaggiare il bello ma in realtà lo calpesta. Richiudere quel cancello? Assolutamente sì. Dipendesse da me, darei in pasto (e la sola espressione mi fa orrore ma è di questo che parliamo) il giardino attraverso un drone. E sarebbe già troppo perché se è vero che la bellezza è di tutti, è vero altresì che non è per tutti.

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