ART IS AN ATTITUDE

Cinque parole. Una vita


"Al mattino la speranza c’era. Si posava come un effimero bagliore sui capelli neri e lisci di mia madre, che io non ho mai osato toccare, e si stendeva sulla mia lingua insieme allo zucchero del semolino tiepido che mangiavo lentamente, mentre osservavo le sue mani affusolate, ripiegate l’una sull’altra, immobili sul giornale che parlava dell’influenza spagnola e del Trattato di Versailles. Mio padre era andato al lavoro e mio fratello a scuola. Perciò mia madre era sola, anche se c’ero io, e se restavo perfettamente immobile senza dire nulla, la quiete distante del suo cuore misterioso poteva durare finché il mattino non fosse invecchiato e lei non fosse dovuta uscire per fare la spesa in Istedgade come una signora qualunque.

(...)

Era un’estranea misteriosa, e io mi mettevo in testa di essere stata scambiata in culla, di non essere affatto figlia sua. Una volta vestita, si piazzava davanti allo specchio della camera da letto, sputava su un fazzolettino di carta rosa e se lo strofinava forte sulle guance. Io portavo le tazze in cucina e dentro di me c’erano strani paroloni che mi strisciavano sulla mente come una membrana protettiva. Un canto, una poesia, qualcosa di lenitivo, di ritmico, d’infinitamente melanconico, ma mai triste né deprimente allo stesso modo in cui sapevo che sarebbe stato triste e deprimente il resto della mia giornata. Quando queste onde chiare mi scorrevano dentro, sapevo che mia madre non poteva farmi più nulla, perché in quel momento perdeva ogni importanza per me. Lo sapeva anche lei, e i suoi occhi si riempivano di una gelida ostilità. Non mi picchiava mai, quando la mia mente era in quella disposizione, però non mi rivolgeva la parola. Da allora fino al mattino seguente, solo i nostri corpi erano vicini l’uno all’altro. Ed evitavano, malgrado lo spazio ristretto, ogni minimo contatto".

Tove Ditlevsen, Infanzia

Tove Ditlevsen si suicidò nel 1976. In Danimarca era una celebrità. "Al mattino la speranza c’era".

In foto Tove Ditlevsen