Qualcosa sugli asfodeli

Fiori selvatici dei Monti Sibillini tra letteratura e mito

“V come Vegetazione«È un vegetale» si dice dei malati terminali o dei sessantottini imborghesiti, di chi vive ormai solo di flebo o di pantofole. Un’espressione davvero stupida, infamante per gli alberi ed i fiori. Un’ennesima prova della limitatezza della vista umana, dell’ottusità quasi fiabesca della specie. Da parte mia sono persuaso che quella vegetale sia la forma di vita più felice, più intensa e più gioiosa su questo tragico pianeta. I vegetali: loro sì che sanno vivere! Nella nostra ansia di movimento a tutti i costi, nel nostro infantile dinamismo, li disprezziamo perché stanno fermi. Non cambiano indirizzo. Non vanno mai in vacanza. Non salgono e non scendono le scale. Non fanno a botte, non si prendono a cornate per la leadership del branco. Sembrano perfino poco interessati all’affermazione della loro personalità individuale. Come distinguere, in un ginepraio, un ginepro dall’altro? Ma il loro dinamismo è tutto di testa, come quello dei saggi, degli yogi. Di testa, non di piedi. Affondano le radici nel punto che il destino gli ha assegnato. Lo accettano, il destino, senza protestare. Ne succhiano gli umori. Trovano l’acqua, anche nel deserto. […]

L’asfodelo, per tutto l’anno, non è che un gambo trascurabilissimo, un tubicino di materia organica verdastra che se ne sta lì, dritto non si sa ben perché, a far cosa. Un nulla, fra gli ulivi, i mandorli, i mirti e i lentischi: come un pelo pubico, dal quale la vista non è minimamente attratta: al contrario, distratta da attrazioni ben più forti, lo oltrepassa fino a ignorarne del tutto l’esistenza. Questo, per undici mesi, è un asfodelo: un pelo della terra, e niente più. Poi, d’un tratto, fiorisce. Qui succede nel tardo gennaio, e dura a stento fino al far di marzo. Una mattina imbocchi il solito sentiero e, miracolo, lo trovi cosparso di asfodeli. Tutti fioriti, bianchi senz’esser troppo bianchi, senza dar nell’occhio individualmente, ma solo nell’insieme. Il paesaggio ne è trasformato a un punto che ti può cogliere il sospetto d’esser morto e di stare camminando sulle nuvole. Non riconosci più le stesse svolte, gli stessi arbusti torti, gli stessi formicai. Ora l’asfodelo assume un’importanza preponderante, enorme, l’occhio vede solo quello, fugge d’asfodelo in asfodelo fino alla cima del colle, misura i passi calcolando le distanze da fiore a fiore. Sarebbe come se i peli del pube dell’amante, un bel giorno, si facessero d’oro o di diamanti o di rubini, scintillassero al punto di trasformarsi nella vera attrazione della zona. Animalmente, non accade. Vegetalmente, sì. Mi sembra interessante, la creatività della natura vegetale, paragonata alla ripetitività dell’animale. Ho fantasie botaniche, talvolta. Ho ammirazione e invidia delle piante”.

Ezio Sinigaglia, Sillabario all’incontrario

Ricordando certe proficue conversazioni sull’amore. Su un prato di asfodeli.

Qualcosa sugli asfodeliultima modifica: 2023-10-25T10:52:41+02:00da hyponoia

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