Premio Strega 2024

Premio Strega 2024, volata finale per sei libri

A breve conosceremo il libro vincitore. Io tifo per Giartosio.

La pasta al forno con i peperoni era croccante quasi quanto la parola croccante, era untuosa come untuosa. Tu che leggi, pronuncia queste due parole a voce alta prima di proseguire, così sappiamo di cosa stiamo parlandoFatto? Allora andiamo. Era sera. Antonio serviva i maccheroni, noi altri tre sorseggiavamo del Rapitalà, gli ospiti stavano parcheggiando, e in tavola c’erano dei piatti di coccio grezzo dipinti a grandi fiori arancioni: perfettamente brutti in quanto immagini, ma in quanto realtà perfettamente belli.

Con Chiara e Antonio avevamo preso in affitto, io e Carlo, una casetta al mare in Sicilia. Chiara era l’amica che ci aveva fatti conoscere tre anni prima; ora, innamorati e fieri della nostra unione, eravamo una coppia consolidata (che espressione terribile, da lezione di chimica o fisica, qualcosa da desiderare e da temere e di cui soprattutto illudersi!). Proprio per confermarci tali, ma anche per smentirci tali, avevamo voglia di esplorare luoghi nuovi; però portandoci dietro Chiara come una prova d’acquisto, e scegliendo – tra tutte le parti d’Italia a noi ancora ignote – giusto la regione in cui lei era cresciuta. Non ci ero stato quasi mai, in Sicilia, ma soprattutto non l’avevo pensataQuando sentivo la parola Sicilia dovevo subito pronunciare sottovoce, o almeno pensare a alta voce, le parole: triquetra insulaEra la definizione offerta nel mio primo libro di esercizi latini, prima media, capitolo sulla prima declinazione. La Sicilia, l’isola triangolare. La pronunciavo con due accenti sdruccioli (tríquetra ínsu­la), sbagliando – si dice triquétra; ma lo sbaglio rendeva meglio quel nonsoché di arduo, inerpicato, distanziante, sdrucciolevole, che sentivo nell’idea di Sicilia.” Tommaso Giartosio, Autobiogrammatica

“In assenza di occhi umani, la catasta di uccelli precipitati sul ghiaccio non suscita nessuno stupore. La temperatura è scesa di quasi venti gradi sotto lo zero. Le emozioni mancano da giorni. Disperse: come il governatore noto per avere camminato sulla superficie congelata del lago, contando i passi che separano Lindau da Bregenz, 7330.“Catturato dalla nebbia” è la voce che allude al suo destino: imprecisa, in ogni caso arresa. Il batticuore degli animali selvatici, non più destato dai cacciatori, è solo una conseguenza dell’ipotermia. Risalire nelle aree interne non è un lasciapassare per la salvezza. I lupi, come nelle fiabe, è preferibile non incontrarli. Va comunque male alle anatre, che a centinaia muoiono assiderate. L’orrida stagione è arrivata di nuovo in anticipo, con temperature da inverno pieno già nel mese di novembre. L’Epifania ha spaccato la crosta, spessa due piedi, con un vento furibondo, ma non era il segno del disgelo. Non ancora. Il grande lago è coperto di ghiaccio. E ciò che a carnevale era diventato festoso e magico – catturare volatili storditi dal freddo a mani nude, cuocere un montone facendo fuoco là dove di solito c’è acqua –, la quaresima l’ha reso lugubre.” Paolo Di Paolo, Romanzo senza umani

Il disordine che trovo al mattino mi ricorda che non sono più sola. Amanda è tornata, mi guardo intorno e inciampo nelle sue tracce: sul bracciolo del divano il piatto con un pane smozzicato, e nel bicchiere un residuo di bevanda. La coperta è ammucchiata in un angolo, accanto al libro rovesciato sempre sulle stesse pagine. Negli ultimi tempi il sonno ha perso in leggerezza, non la sento muoversi in casa. Solo a volte quando mi giro su un fianco i suoi passi tardivi vibrano fino al pavimento della mia camera.

Non so a che ora si sveglierà. Bevo il caffè, metto in tavola i biscotti e l’unica tazza rimasta della sua adolescenza. Dalla finestra il sole ci cade sopra, illumina la mucca con un ciuffo d’erba in bocca. Lascio il bricco vuoto sul fornello, un segnale per dire: scaldati il latte. Potrà macchiarlo con il caffè rimasto nella moka oppure ignorare tutto. Potrà apprezzare il mio pensiero per lei o scocciarsi di essere trattata come una bambina. Non capisco i suoi turni di lavoro, se così posso chiamarlo, uscite e rientri a casa mi risultano imprevedibili. Ogni mia domanda in proposito la irrita. Cerco di incontrarla ai pasti. Donatella Di Pietrantonio, L’età fragile

“Ottobre 1945. L’anno scolastico inizia in ritardo. È il primo dell’Italia liberata e non è semplice ripartire dalle macerie. La maestra Gilla guarda con angoscia quei muri che fino a poche settimane prima alloggiavano nazisti. È arrivata a Borgo di Dentro per sfuggire alle bombe che martoriavano la sua Genova, e come tanti giovani ha combattuto e ha rischiato la vita, scommettendo sulla costruzione di un futuro migliore che altri compagni non vedranno. Ma ora non vuole pensare a quello che la guerra le ha tolto, e le ventitré allieve di quinta elementare che ha di fronte sono una ragione sufficiente per tenere a bada la tristezza. Al suono della campanella è rimasto un posto vuoto, in prima fila. La bambina a cui è destinato raggiunge la classe poco dopo, accompagnata dalla bidella e da un biglietto del direttore. Si chiama Francesca e arriva dal vicino orfanotrofio. È preparata, diligente, ma non parla e Gilla nei suoi occhi riconosce subito la tristezza di chi si trova solo in un mondo cui non appartiene.” Raffaella Romagnolo, Aggiustare l’universo

“Le bambine, scese dalla macchina, si erano messe a correre e non ci avevano salutato. Ferma sulla porta, mia madre le aveva abbracciate e mi aveva sorriso sollevando il mento come a dire Non ti preoccupare. Luigi aveva messo in moto prima che potessi dispiacermi o pentirmi di aver accettato l’invito per un fine settimana a Ponza, in una casa dalla quale si vedeva il porto. La traversata in traghetto da Formia era stata piacevole e il venerdì pomeriggio caldo. Caldo umido. E infatti, sabato e domenica mattina, prima della partenza, l’aria era spessa e pareva dovesse piovere, ma non aveva piovuto. Avevamo passeggiato, mangiato, e c’eravamo fatti il bagno. Luigi no, diceva che l’acqua era fredda. Anche se non era vero. Semplicemente, preferiva ascoltare le chiacchiere seduto ai tavoli del bar del porto. La domenica sera, rientrati a casa, avevo messo a letto le bambine, sfogliato l’edizione pomeridiana del Golfo, il foglio ciclostilato delle due parrocchie, e avevo fumato una sigaretta. Se non ho letto della morte di Vittoria è perché prima di andare a dormire non leggo i necrologi e gli annunci immobiliari. “Chiara Valerio, Chi dice e chi tace

“Soprattutto il sabato il mercato è preso d’assalto da una massa di persone. Ci sono folle nelle corsie, non si passa. Di fronte a ogni banco uomini e donne si spingono e parlano forte. Sembrano una versione insurrezionale della Borsa di Wall Street. Dentro i banchi dei commercianti con furia si accelerano i movimenti, per servire tutti il prima possibile. C’è una danza lì dentro, con persone a loro volta in massa, che devono prevenire le traiettorie dei movimenti uno dell’altra, una dell’altro. Qui per esempio si vendono carni: di pollo, di agnello, di coniglio. Mentre uno spacca il coniglio per il lungo sul ceppo di legno cercando di evitare l’esplosione delle sue ossa e mira il centro del cranio per aprirlo in due metà con un solo colpo di coltello, l’altro apre un pollo per scaturirne il solo petto, e poi affettarlo. I tempi di utilizzazione del ceppo dipendono da velocità: nel servire il cliente, nello spolpare la bestia, nell’impacchettarla e sbatterla sulla bilancia per stabilire il prezzo. Prendere i soldi, dare il resto. Avanti un altro, avanti un’altra.” Dario Voltolini, Invernale