Quando la recensione è migliore del film stesso

Fragonard, Jean-Honore; The Souvenir; The Wallace Collection; http://www.artuk.org/artworks/the-souvenir-209402
Fragonard, Jean-Honore; The Souvenir; The Wallace Collection; http://www.artuk.org/artworks/the-souvenir-209402

Non vorrei affatto che fosse questo il caso – perché messo in questi termini il film è quasi un capolavoro – ma è già successo che recensioni entusiasmanti mi abbiano lasciato l’amaro in bocca; tuttavia chiarisco che, non reputandomi una lettrice ingenua, non vi avevo ravvisato alcuna ambiguità intenzionale. E resta verità incontrovertibile la pluralità di significato delle parole, per cui non è necessario mostrarsi troppo spigolosi nei confronti del recensore.

Detto ciò, a futura memoria, incollo questa recensione del magazine Il; perché se mi è piaciuto  Il filo nascosto, non potrà dispiacermi The Souvenir. Parola di CLARA MIRANDA SCHERFFIG

Ma che cos’è questo “souvenir”? È un dipinto di Jean-Honorè Fragonard che Anthony (Tom Burke) mostra a Julie (Swinton Byrne) durante il loro secondo appuntamento alla Wallace Collection. Julie è una studentessa di cinema che sta preparando il suo primo lungometraggio, le cui fotografie (scattate all’epoca dalla regista) aprono il film. Sono istantanee di Sunderland, sulla costa orientale dell’Inghilterra, che nei primi anni Ottanta (epoca del film) ospitava una delle più problematiche comunità operaie del Paese. Julie vuole documentarne la vita quotidiana, raccontare persone reali attraverso un soggetto di suo concepimento. Di natura gentile e generosa, si sorprende quando un docente le fa notare quanto la sua estrazione sociale — simboleggiata dall’appartamento pagato dai genitori a Knightsbridge — possa essere d’impedimento alla riuscita del progetto. Meno legittime sono le critiche provocatorie espresse da Anthony, un rampante impiegato al Ministero degli Esteri che non può raccontare nulla della propria vita privata perché “top secret”, giustificazione di sparizioni improvvise e portafogli vuoto.

I loro primi incontri avvengono in ristoranti e sale da tè di un’opulenza a metà tra Io sono l’Amore e Commonwealth fuori tempo massimo. Una bottiglia di champagne in fresco e vasi di gigli gonfi sono sempre sul tavolo, come una rete a mezzo campo per i ping-pong verbali di Julie e Anthony, che indossa solo mocassini di velluto e calzini sgargianti tipo Paul Smith. Ma più che un dandy, Anthony è una figura vampiresca, tanto più affascinante perché esterno alla gang di studenti e artisti di passaggio a casa di Julie. Più la relazione con Anthony si fa importante, meno presenti diventano questi amici e meno energia (e soldi) ha Julie da dedicare alle proprie ambizioni cinematografiche. L’amore è suggellato da un’erotizzante vacanza a Venezia, tra pizzi, arazzi e candelabri nello stile che piace a lui, e una visita in campagna presso i genitori di lei. Progressisti, felici di supportare la creatività e l’intelletto della figlia, passeggiano per la tenuta con cagnetti da caccia e commentano la questione dei troubles irlandesi, che turbavano allora entrambe le isole, con una risposta emblematica del loro engagementpolitico: «It’s complicated».

Avrei ucciso per vedere un film simile a quattordici, quindici anni. Come me altri spettatori godranno infinitamente della colonna sonora (tra Stop the Calvary di Joana Lewie e Love my Way dei Psychedelic Furs via Smalltown Boy dei Bronski Beat), ma noteranno anche i campanelli di allarme che l’ingenua Julie manca di riconoscere. L’unico a metterla in guardia è un amico di Anthony (un cameo del comico Richard Ayoade) che civettuolo suggerisce: «Eroina!». La scena madre di The Souvenir si svolge, come del resto gran parte del film, nell’appartamento di Julie, un bozzolo ovattato e confortevole dalle cui finestre si scorge un paesaggio cittadino tratto direttamente da diapositive in 35mm scattate all’epoca della regista. Una bomba piazzata dall’IRA scoppia ad Harrods, a due passi da casa, e Julie sobbalza nel suo soggiorno indaco, tra le mani un messaggio d’amore ancora fresco di inchiostro. La sequenza, potente e allo stesso tempo affettata nella maniera in cui questi personaggi vivono le proprie emozioni, mostra con un’efficacia incredibile l’intimità di una giovane donna: affacciata verso l’esterno, ma ancora tutta rivolta alla propria interiorità.

Succederà “il peggio”, come annuncia una livida Tilda Swinton. Ma il peggio, per quanto devastante sia il primo amore, ha vita breve nella vita di Julie, che col tempo coltiva nuovamente i suoi interessi e riprende a lavorare al proprio film. Le riprese di questo chiudono The Souvenir, e lo fanno con una delle poche sequenze in movimento. Sono infatti gli interni, inquadrati quasi sempre dalla camera fissa, che la regista anima più intensamente dei suoi personaggi, con un’abilità compositiva che ricorda il miglior Peter Greenaway e che ci seducono al punto da non volercene mai più andare. Se è vero che il cinema vive del desiderio di chi osserva, The Souvenir è una lezione indimenticabile”.