Il 15 luglio del 1997, Gianni Versace, fu ucciso davanti alla sua villa di Miami, raggiunto da due colpi di pistola, sparati da Andrew Cunanan, giovane di 28 anni, gigolò bello ed intelligente, che amava la bella vita alle spalle di ricchi amanti. Venticinque anni dopo, la criminologa Roberta Bruzzone, nel libro Versace (RaiLibri) ripercorre gli eventi, analizzando tutti punti oscuri dell’indagine (all’inizio si ipotizzò un omicidio legato alla mafia o una vendetta di qualche conoscente) e azzerando ogni dubbio alimentato per anni da libri, serie tv e speculazioni.
Ci sono ancora punti oscuri sull’assassinio?
«Ritengo di no, ho avuto accesso alla documentazione di prima mano e secondo il mio parere, i punti oscuri sono infondati e per ognuno ho dato spiegazioni sul piano tecnico-scientifico. All’epoca e successivamente si parlò anche di un presunto complotto. Si ipotizzò che il suicidio di Andrew Cunanan fosse stato una messa in scena per chiudere rapidamente l’inchiesta. Nel libro ho dimostrato che Cunanan è morto nell’house-boat ed è senza dubbio lui ad aver sparato due colpi di pistola a Gianni Versace».
Nessun dubbio sul suicidio dell’assassino?
«No, le tracce sulla scena, le caratteristiche delle lesioni, l’andamento delle tracce ematiche, mi portano ad affermare che sia morto lì. Ha usato la pistola Taurus, prima di Versace, almeno su altri 2 soggetti ed alla fine su di sè. L’assassino è solo lui, non ci sono dubbi».
Chi ha adombrato dubbi?
«In molti nel corso degli anni hanno tentato di smentire la tesi che Cunanan fosse l’omicida. Anche Chico Forti ( il filmmaker italiano detenuto in America con l’accusa di omicidio, per cui governo italiano ha chiesto l’estradizione ndr), fece un documentario nel 1997, Il sorriso della medusa, in cui ipotizzava delle alternative, che secondo me sono del tutto prive di fondamento».
Lei definisce l’indagine imperfetta. Perché?
«L’assassino non si nascose mai bene, usò il pick-up rubato a una sua vittima, che parcheggiò per giorni vicino casa di Versace, prendendo molte multe. Fece tanti errori ed era facile per la polizia, trovare quello che per i suoi omicidi precedenti era tra i 10 maggior ricercati d’America».
Perché Cunanan uccise Versace?
«Perché rappresentava tutto quello che lui avrebbe voluto essere senza mai riuscirci. Per lui era un’ossessione. Siccome aveva già ucciso 4 persone, era ormai destinato alla detenzione a vita, ma voleva rimanere indimenticabile. Versace è l’unica vittima che ha scelto con una motivazione psicologica, per fare qualcosa di grandioso, anche se malvagio».
Quindi è riuscito nel suo obiettivo?
«Si, ha scelto la vittima perfetta, ha ucciso un simbolo e facendolo diventa immortale, quasi come il simbolo stesso».
Nella serie tv, American Crime Story si ipotizza che Versace e Cunanan si fossero conosciuti. È vero?
«Non ci sono tracce di un incontro reale. È vero che raccontasse in giro di averlo conosciuto a San Francisco in un party in onore di Versace, ma potrebbe solo averlo visto. Era un mitomane, aveva un bisogno compulsivo di sentirsi importante».