Leo Longanesi : genio quantico italico.

La Natura ha strane leggi, ma lei, almeno le rispetta.

Fanfare, bandiere, parate. Uno stupido è uno stupido. Due stupidi sono due stupidi. Diecimila stupidi sono una forza storica.

La carne in scatola americana la mangio, ma le ideologie che l’accompagnano le lascio sul piatto.

Non si ha idea delle idee della gente senza idee.

Nulla si difende con così tanto calore quanto quelle idee a cui non si crede.

Se le religioni fossero molto chiare perderebbero, coll’andar del tempo, i credenti.

La libertà tende all’obesità.

Chi rompe, non paga e siede al governo.

Non sono le idee che mi spaventano, ma le facce che rappresentano queste idee.

Leo Longanesi (1905-1957)

leo-longanesi

Il fiore velenoso

Rubin era un furbastro. Possedeva un’intelligenza atomica e non quantica (vedi post “così parlò Rose).
Non capisce che oltre una certa soglia, il danaro smette completamente di essere neutro, di essere uno strumento; e che non è manipolabile da nessuno neppure con le migliori intenzioni. Con la tecnologia il discorso è speculare.
Frank invece è sempre opportuno.

Intelligenza quantica

«Una delle ragioni che ci impediscono di avere un grande
teatro
, è che la vita pubblica, illustrata dalla stampa, è già
un sufficiente palcoscenico dove le commedie si sviluppanoUnknown
e si intrecciano, ognuna portando avanti i suoi personaggi.
Ne segue un’insofferente generale stanchezza, perché nella
cronaca c’è una pervicacia, una mancanza di pudore, un gergo
e una facilità di soluzioni che è appunto il contrario di ciò che si
propone ogni arte teatrale. 
Si aggiunga che la cronaca, nella sua imparzialità, esalta i bricconi e  umilia gli onesti, necessariamente.
Puttane, avventurieri e geni mancati salgono l’Olimpo, servono
da modelli per gli scontenti, che sono la maggioranza.
Si finisce per doverli imitare. Chi proprio non ci riesce, tace, soddisfatto di sé: ma resta col sospetto di essere inadatto per questo mondo e – coi tempi che corrono – anche per l’altro mondo
».

                                                  ENNIO FLAIANO da “La Solitudine del Satiro”

 

Flaiano scrisse queste righe a Roma, alla fine degli anni 50.
Il bel paese era quasi intatto, incurante dello stupro ambientale e antropologico che lo aspettava;
un giovane Pasolini vi si trovava ancora a suo agio, appena infastidito dai processi contro la morale;
fiorivano il cinema, la musica, le arti applicate… eppure l’occhio quantico di Flaiano vedeva già tutto in filigrana.
Se resuscitasse oggi morirebbe all’istante, stroncato dalle risate e dai singhiozzi.