Novembre 2019: Joy Division – UNKNOWN PLEASURES (1979)

Unknowm pleasures

 

Data di pubblicazione: 15 giugno 1979
Registrato a: Strawberry Studios (Stockport)
Produttore: Martin Hannett
Formazione: Ian Curtis (voce), Bernard Sumner (chitarre, tastiere), Peter Hook (basso, cori), Stephen Morris (batteria, percussioni)

 

 

Lato A

 

                        Disorder
                        Days of the lords
                        Candidate
                        Insight
                        New dawn fades
Lato B

 

                        She’s lost control
                        Shadowplay
                        Wilderness
                        Interzone
                        I remember nothing

 

 

Vorrei essere uno schermo sferico di Warhol appeso al muro
o il piccolo Joe o magari Lou.
Mi piacerebbe essere tutti loro, tutti i cuori infranti di New York,
e i segreti di apparterrebbero,
ti metterei nella pellicola di un film
e sarebbe bellissimo
(Ian Curtis)

 

Una meteora! Una straordinaria meteora! Eppure tanto valse per introdurre nella storia del rock qualcosa di totalmente nuovo, di elettrizzante! Qualcosa che avrebbe contribuito a creare un nuovo linguaggio nel mondo del rock, già scosso dalla potenza iconoclasta e trascinatrice del punk, e ora immerso nella pece nera della New Wave, che proprio a Manchester trovò uno dei suoi linguaggi più oscuri, notturni e geniali che si possano immaginare. Il tempo di appena due album, entrambi leggendari, accendeva la fiamma dell’eternità di un genio che non vide purtroppo quell’ascesa incredibile di una carriera che era ad un passo dal punto di svolta, forse decisivo.
Siamo a metà anni ’70, nella Manchester operaia eppure in fermento. Qui tre giovani decidono di mettere su un gruppo. Sono alla ricerca di un cantante, qualcuno che abbia presenza e carisma. Ne provano parecchi, nessuno li convince. Sono attratti dalle nuove sonorità che in quel momento stanno devastando il sistema, in particolare sono stupefatti dalla potenza sfacciata e sboccata dei Buzzcocks, e più o meno intendono seguire quel filone. Una sera, al Lesser Free Trade Hall di Manchester, al concerto dei Sex Pistols, incontrano un altro ragazzo, un giovane piuttosto introverso che ama scrivere poesie e ascolta musica rock (suoi beniamini David Bowie, Lou Reed e Iggy Pop): Ian Kevin Curtis. Gli altri tre ragazzi sono Bernard Sumner, Peter Hook e Tony Mason. Insieme danno vita ai Warsaw, nome ispirato da un titolo di Low di Bowie.
Dopo aver sostituito qualche batterista, e averne trovato uno stabile in Stephen Morris, la band inizia un percorso creativo fatto di punk sbiadito, rabbia giovanile e visioni gotiche. Una tensione latente e una capacità innata di toccare corde nascoste, che nonostante qualche stroncatura, verrà terribilmente fuori con grande coraggio e strafottenza.
Ci si fa strada salendo sul palco, assieme ai Buzzcocks, all’Electric Circus, dove incontreranno Martin Hannett, artefice geniale del loro suono cupo e cristallino, e di quelle discese agli inferi talmente vertiginose da mettere paura. Si cambia definitivamente la sigla ufficiale in Joy Division (ispirato alle baracche dove i nazisti tenevano prigioniere le donne usate come prostitute per i soldati tedeschi), assumendo una connotazione ancora più sinistra, si giunge a quello che potremmo definire l’esordio della band, l’ep An ideal for living. Quattro brani e una copertina disegnata da Bernard Sumner che raffigura un ragazzino della gioventà hitleriana. Benché sotto il profilo sonoro siamo ancora nell’ambito di una certa ridefinizione, la capacità compositiva della band è di un talento indiscusso. Talento che affiora con fascino oscuro e maturo nel primo album, Unknown pleasures.
Il disco è un autentico capolavoro, fatto di forti emozioni vorticose e incubi angosciosi, plasticamente rappresentati dalle onde elettriche sullo sfondo nero della leggendaria copertina. Ma quello che colpisce dei Joy Division è la particolare attitudine tecnica di ciascuno dei suoi membri nell’esercizio delle proprie abilità: colpisce il basso di Hook, spesso in totale predominanza sul suono della chitarra, e suonato proprio come se fosse una chitarra; il suono della chitarra di Sumner è gelido e graffiante; la ritmica pulsate di Morris e la voce di Ian, quasi un Jim Morrison della nuova epoca, ma ancora più cupo, ancora più angoscioso. La musica di Unknown pleasures non deve riscaldare, ma raggelare! Non deve confortate, ma portare nella totale solitudine, accettando la sconfitta. Non vi è speranza, ma nichilismo! Non vi è costruzione, ma devastazione. E l’ascoltatore, emotivamente, ne viene fuori devastato!
Si resta devastati dal pulsare di Disorder, che pare materializzarsi dal nulla, e incedere su una nevrosi scandita dalle parole di Ian Curtis, che si insinuano come un veleno pericoloso nelle geometrie musicali. Si resta devastati di fronte all’autero dipanarsi di Days of the lords, completato dalla sinistra Candidate. I suoni ventricolari e la tempesta elettronica di Insighe e il pulsare del basso cavernoso e dalle chitarre spaventose di New dawn fades, con un Curtis al massimo delle sue prove vocali, istrionico e solenne, come un Morrison in preda a una nuova The end.
Il lato b si apre con She’s lost control, che lascia presagire i drammi umani che assaliranno Ian Curtis nel suo tormentato rapporto con sua moglie Deborah, sul suono di una danza spettrale. Seguita da una vagamente doorsiana Shadowplay e il basso tirato di Wilderness. Interzone, vicina a certi Clash o vagamente ai Pink Floyd psichedelici, porta alla conclusione affidata a I remember nothing, dark e oppressiva.
Come detto in precedenza, Unknown pleasures non vuole mostrare alcun messaggio di speranza, e forse mai nulla del genere fu mai fatto all’epoca, tanto che qualcuno lo definì “disco morte”.
Il gruppo porterà la propria leggenda sui palchi di tutta Inghilterra, in modo minaccioso e surreale (complice anche l’epilessia di Ian Curtis, che purtroppo a livello personale non farà altro che peggiorare uno stato di salute psico-fisica già di suo molto precario), una manciata di singoli straordinari (tra i quali citiamo almeno Transmission e la bellissima Love will tear us apart) e un secondo album, Closer, forse per certi aspetti pur superiore a questo conclamato capolavoro che è Unknown pleasures.
Il resto è storia che tutti conosciamo (ben raccontata anche nel biopic Control di Anton Corbijn): Ian Curtis si toglieva la vita il 18 maggio 1980, proprio la vigilia della partenza dei Joy Division per una tournée negli Stati Uniti, lasciando la band orfana del genio che li aveva consegnati alla leggenda. Ciò non impedirà agli altri di formare una nuova compagine, i New Order, che tanto darà alla musica del pop, in termini di contaminazione e di incontro delle culture musicali. Ma qui siamo nell’ambito del sublime, che tanto influenzerà il rock nascente, dalle increspature dark dei Cure al calore post punk degli U2 (che proprio a Ian Curtis dedicheranno la bellissima A day without me, contenuta in Boy, che guarda caso sarebbe dovuto essere stato prodotto da Martin Hannett, già all’opera con loro per il singolo 11 o’clock tock tock, e poi proprio a causa del suicidio di Curtis dovette interrompere la collaborazione), a tutta la corrente di “Madchester”. È qui che si è fatta la storia!

 

I Joy Division sono divenuti negli anni una sorta di intoccabile reliquia, un vero e proprio mito adagiato accanto a quello dei Doors e dei Velvet Underground. Una fiammata breve e lancinante che ha rappresentato molto di più delle scarne produzioni lasciateci in eredità
(Paul Morley)

 

Novembre 2019: Joy Division – UNKNOWN PLEASURES (1979)ultima modifica: 2019-11-11T09:12:03+01:00da pierrovox

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