Febbraio 2020: Nick Drake – BRYTER LAYTER (1970)

Bryter layter

 

Data di pubblicazione: 1 novembre 1970
Registrato a: Sound Techniques (Londra)
Produttore: Joe Boyd
Formazione: Nick Drake (voce, chitarre), Dave Pegg (basso), Dave Mattacks (batteria), Richard Thompson (chitarra), Ray Warleigh (sassofono), Mike Kowalski (batteria), Paul Harris (piano), Ed Carter (basso), Lyn Dobson (flauto), John Cale (viola, clavicembalo, organo), Chris McGregor (piano), Pat Arnold, Doris Troy (cori)

 

Lato A

 

                        Introduction
                        Hazey Jane II
                        At the crime of a City Clock
                        One of these things first
                        Hazey Jane I

 

Lato B

 

                        Bryter layter
                        Fly
                        Poor boy
                        Northern sky
                        Sunday

 

Al sicuro, dentro il grembo di una notte senza fine,
scopri che l’oscurità può illuminarti più della luce viva
(Nick Drake)

 

Lati oscuri della luna, autostrade sul confine della notte, oscurità ai bordi della strada… Un tema, quello delle tenebre, dell’introspezione nei meandri più rinchiusi dell’anima, spesso molto affrontato nell’ambito della musica rock, nei diversi generi e nelle diverse epoche, ma forse mai quanto Nick Drake questo tema è stato così tanto incarnato in un canto fragile, emotivo, così elegantemente “silenzioso”.
Non ebbe molta fortuna in vita Nick Drake, anzi, spesso le sue canzoni, tanto delicate quanto grondanti dolore e malinconia, passarono del tutto inosservate, facendo il paio con un altro gigante della sua epoca, a lui molto affine: Tim Buckley. È stato solo dopo la sua prematura morte che la sua importanza storica, la sua “rivoluzione” cantautorale è stata riconosciuta, e finalmente celebrata.
Nick Drake nacque in Birmania, poiché la sua famiglia si era trasferita lì per ragioni di lavoro. Sin da piccolo ha mostrato un grande interesse verso la musica, trasmessagli dalla madre, soprattutto verso il blues, il folk-rock e il simbolismo poetico francese, il romanticismo inglese, e mostrando venerazione verso Bob Dylan.
Timido ed estremamente riservato, aveva imparato a suonare la chitarra, esibendosi con alcuni compagni di college, con i quali aveva provato a comporre alcune canzoni folk. Il tempo gli porterà l’opportunità di suonare con i Fairport Convention, e questo lo metterà in contatto con Joe Boyd.
I tre album da lui composti e pubblicati sono dei grandissimi dischi, capolavori della musica folk, aprendola a influenze importanti, come quelle jazz, con tanto di eleganti ornamenti orchestrali, senza svilire la delicata tensione dei brani. In questa sede optiamo per Byter layter, il suo secondo album, proprio perché si pone a metà strada tra il classicismo folk di Five leaves left e lo struggente e innovativo nonché scarno, Pink moon, il suo disco più celebrato e conosciuto. Bryter layter è un album bellissimo, dove si maturano ulteriormente le già meravigliose idee del disco precedente, attraverso una cura dei particolari più briosa, curiose aperture jazz, ornamenti orchestrali e collaborazioni prestigiose come quelle di Richard Thompson, Dave Mattacks e Dave Pegg dei Fairport Convention e quella di John Cale, cercando tanto il blues magico di Van Morrison, quanto le acrobazie vocali di Tim Buckley.
L’album si apre con un’introduzione strumentale, e si va subito su Hazey Jane II, bellissima nelle sue flessioni jazz e soul, ottenendo una melodia cristallina e di densa emotività. Il disco entra nell’introspezione attraverso le morbidissime melodie di At the crime of the City Clock, concedendosi languide tessiture sonore formate dal sassofono, e prosegue con One of these things sulla stessa falsariga, ma con puntelli pianistici di denso fervore. Chiude il primo lato Hazey Jane I, concedendosi dei barocchismi che non sanno di eccesso, ma di ornamento, abbellimento vero, non invadente. Una romanticheria folk senza tempo.
Il secondo lato si apre con la title-track strumentale, con la ritmica e il flauto che aprono vaghi scenari bucolici, in un esercizio di folk-pop da camera. Fly invece vede un incantato dialogo tra la chitarra di Drake e la viola di John Cale, con tanto di tappeto estatico procurato dall’ingresso del clavicembalo. Il pezzo esprime tutta l’inadeguatezza di Drake nel saper volare, e lo fa con un tono di estasi pura, mettendo in evidenza tanto l’umana fragilità quanto l’anelito agli spazi siderali. Poor boy ha un’incedere jazz arricchito dai cori femminili e dal sassofono. Northern sky vede ancora la presenza di John Cale ad arricchirne le trame sonore, divenendo una specie di inno alla vita quotidiana, ma anche una delle più belle canzoni d’amore inglesi. Chiude il disco, col cuore gonfio d’emozione, la strumentale Sunday.
Alla prova delle vendite, purtroppo, questo disco bellissimo, ebbe poca fortuna. Pur vendendo qualcosina in più rispetto al precedente, il risultato si rivelò del tutto deludente. E per di più Joe Boyd, l’uomo che più di tutti aveva creduto in lui, torna negli Stati Uniti per dedicarsi ad altri progetti. Questo, e altre cose, porteranno Nick Drake sull’orlo di una depressione profondissima, che lo logorerà per il resto dei sui giorni, non prima di consegnare un altro immenso capolavoro come Pink moon. Droghe, medicinali, antidepressivi, saranno delle punte che scalfiranno sempre di più il suo animo, fino a lacerarlo del tutto un triste 25 novembre 1974. Qualcuno ipotizzerà il suicidio. Noi in rispettoso silenzio (quello che Drake ha sempre saputo incarnare), ne ricordiamo solamente la grandezza di un animo tormentato dall’amore e dalla bellezza.

 

Quando è stato inciso Bryter layter, Nick non era nello studio. Posso dire di essere stato il mercenario e di entrare e sovraincidere del materiale, e mettere un po ‘di colore sulle piste. Ho finito le tracce, fatto il mio lavoro allegro e incontrato Nick molto più tardi. Ma quel disco resta molto sognante
(John Cale)

Febbraio 2020: Nick Drake – BRYTER LAYTER (1970)ultima modifica: 2020-02-13T10:41:04+01:00da pierrovox

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