Gennaio 2021: Tim Hardin – 2 (1967)

Tim Hardin - 2

 

Data di pubblicazione: Aprile 1967
Registrato a: Los Angeles
Produttore: Charles Koppelman & Don Rubin
Formazione: Tim Hardin (voce, chitarra, tastiere), Don Peake (arrangiamenti, orchestrazioni)
 

Lato A

 

                        If I were a carpeter
                        Red balloon
                        Black sheep boy
                        Lady come from Baltimore
                        Baby close its eyes
 

Lato B

 

                        You upset the grace of living when you lie
                        Speak like a child
                        See where you are and get out
                        It’s hard to believe in love for long
                        Tribute to Hank Williams
 

Tim simboleggia un’anima rinascimentale
in un mondo di platica
(Bob Dylan)

 

Ci sono artisti il cui grande talento, purtroppo, non è stato accompagnato da grande fortuna. Nella storia della protest song, della canzone folk, della musica cantautoriale statunitense, tutti sanno (anche per sentito dire) chi è Bob Dylan, o chi è Neil Young, o chi sia Johnny Cash; nessuno sa chi sia Tim Hardin, e questo non è giusto.
Senza nulla togliere ai due grandissimi monumenti su citati, ma Tim Hardin non ha nulla da invidiare al talento di quei mostri sacri, semmai, assieme a Tim Buckley, ha rappresentato una sorta di introspezione canora della canzone folk americana, seguendo un talento non comune. In particolare si distingue per uno stile personale e variopinto, mescolando elementi blues, jazz e psichedelia in una struttura fondamentalmente folk.
Il suo secondo disco è comunemente riconosciuto come il suo capolavoro (non che il precedente sia da meno), e pertanto viene scelto in questa sede per tributare un grandissimo talento, che poco alla volta sta per tornare alla luce.
Iconograficamente rappresentato da una bellissima foto di copertina, che ritrae lui e una bellissima donna incinta affacciati alla finestra, con una rosa rossa a dare colore, il disco entra dentro sottopelle, nell’animo umano. Non a caso l’atmosfera dentro la stanza è cupa, nera, e fa da contrasto col bianco del muro esterno. Ed è questo che vorrebbe essere la musica di questo disco: un’aperta introspezione dentro le stanze più oscure dell’animo umano.
Apre la bellissima If I were carpenter, richiamando vagamente le sonorità psichedeliche e bucoliche di Crosby, Stills, Nash & Young, dipanandosi su un sentimento quasi biblico, accompagnato da una melodia mesta e una sezione ritmica tribale. Segue il blues soffuso e seducente di Red balloon, cui fa eco l’atmosfera medievale di Black sheep boy. In Lady came from Baltimore fanno capolino gli archi, che conferiscono una ricchezza sonora rinascimentale, e una sensazione di gioia, dopo un inizio mesto e vagamente tormentato. Il primo lato si chiude con Baby close its eyes, dove è molto semplice ravvisare una parentela artistica molto stretta con Nick Drake.
Il lato B si apre con la scheggia rhythm and blues e country di You upset the grace of living when you lie, avvicinandosi alle tematiche bucoliche dei Grateful Dead più tradizionali. Speak like a child invece si avvicina molto di più alle tematiche jazz, esprimendosi secondo un linguaggio sonoro più vicino a quello di Van Morrison di Astral weeks. See where you are and get out riaccende alcune luci, dopo aver brancolato nel buio, in una piccola festa country-folk, e It’s hard to believe in love for long sembra presa pari pari dal repertorio del primo Johnny Cash. Il disco si chiude con l’accorata Tribute to Hank Williams. Ogni folk singer di quel periodo deve qualcosa al grande Williams, e Tim Hardin sente di dovergli rivolgere il suo grazie, e lo fa con una canzone magnifica, sofferta, semplicemente bellissima.
Esattamente come Tim Buckley, Tim Hardin verrà riscoperto dopo la sua morte, avvenuta il 29 dicembre del 1980 a causa di un’overdose di eroina. Tim Hardin non era quindi la star che orde di generazioni stavano lì a tributare: non era Jim Morrison, e non era John Lennon. Era timido, scontroso, solitario. E la sua musica vuole restare lì, nel silenzio, nella solitudine, in attesa che qualcuno possa non temere della propria nudità per potersi confrontare.

 

Gennaio 2021: Tim Hardin – 2 (1967)ultima modifica: 2021-01-11T10:03:42+01:00da pierrovox

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