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Lotta o fuga?

Attenzione, gli argomenti trattati potrebbero urtare la vostra sensibilità.

La piccola Frida è diventata signorina. Il primo ciclo, il primo calore. Non è più cucciola, non è più la tenera creatura che prendevo in braccio senza alcuno sforzo, in verità lo è ancora tenera e affettuosa, anche di più, non è più piccolina.

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Iniziano tre settimane di caos ormonale che metteranno (affettuosamente) a dura prova me e la mia compagna, è la natura, l’istinto alla riproduzione.
Ora, l’argomento permette di esplorare pensieri più profondi e creare analogie.
Il sangue è l’elemento che seguirà il filo della narrazione.
Il sangue da inizio al calore e porta i maschi all’inafferrabile e irrefrenabile desiderio di accoppiarsi. La cosa strana (ma poi non tanto) è, che in questa circostanza altamente primitiva e istintiva, i cani, i maschi competono tra di loro. Alla cagna, la femmina è dato il diritto, il privilegio, l’onore di scegliere, lei scansa la coda e quel che deve avvenire, avviene. Sapete che fa il maschio, in quella ressa di ormoni? Poggia il muso sul dorso delle femmine e solo se la femmina è pronta accade quel che natura richiama.
La stessa identica cosa, accade, ai maschi umani, quando presi dall’eccitazione feroce prendono la femmina, la donna.

Beata ironia.

Eh sì!!! I cani attendono che la femmina sia pronta, basta un cenno, un ringhio della femmina è il maschio retrocede, per riprovare in un corteggiamento ossessivo che ha un arcano rispetto animalesco.
All’uomo questo animalesco rispetto non riesce, la sua infima anima non regge il paragone, non regge l’analogia con l’essenza unica del nostra amico a quattro zampe. L’uomo non trova o meglio non ha quell’elemento invisibile che giace nell’anima dell’animale: La purezza.

Un branco di cani in calore difficilmente prenderebbe con la forza una cagna non in calore, l’istinto li porta a cercare il consenso scritto geneticamente in quel flusso rosso. L’uomo non chiede consenso e al rifiuto va contro ogni istinto di conservazione e protezione, mostrando la sua natura di morte.

“Ora sono diventato Morte, il distruttore di mondi”
Bhagavadgītā

Il ciclo è un evento per l’uomo misterioso e controverso, un tabù. Perché poi?
Ricordo una scena di un vecchio film dell’orrore, un cult anni 70’, Carrie – Lo sguardo di Satana,  film tratto dal romanzo Carrie di Stephen King. La descrizione cupa di King mostra una realtà non lontana e per nulla invisibile.

Carrie stava in piedi, muta, al centro di un circolo di ragazze urlanti, con l’acqua che le scivolava sulla pelle a rivoli. Stava lì come un bue paziente, conscia di essere (come sempre) il bersaglio dello scherno generale, infelice, crudelmente imbarazzata, ma non stupita.
Sue guardò esasperata le prime gocce scure di sangue mestruale che cadevano sulle piastrelle, formando dei dischetti grandi come monetine. «Per amor del cielo, Carrie, hai le tue cose!» gridò. «Pulisciti!»
«oheh?»
Carrie girò intorno uno sguardo bovino. I capelli le si erano appiccicati alle guance, come un casco aderente. Aveva un’eruzione di acne su una spalla. A sedici anni, l’impronta delle ferite che le erano state inferte dall’infanzia era già chiaramente stampata nei suoi occhi.
«Crede che i tamponi servano per togliersi il rossetto!» strillò improvvisamente Ruth Gogan, con falsa allegria, e scoppiò in una risata acutissima. Più tardi, Sue ricordò quel commento e lo inserì nel quadro generale, ma in quel momento fu solo un altro suono senza senso in mezzo a
tutta quella confusione. A sedici anni, pensò. Deve pur sapere cosa le sta succedendo, deve pur…
Altre gocce sul pavimento. Carrie sbatteva le palpebre, guardando confusa e istupidita le sue compagne di classe.
Helen Shyres si voltò verso le altre facendo finta di vomitare.
«Stai sanguinando!» gridò improvvisamente Sue, infuriata. «Non vedi che sanguini, maledetta oca?»
Carrie abbassò gli occhi sul proprio corpo. Il suo grido echeggiò acuto nello spogliatoio umido.
All’improvviso un assorbente la colpì sul petto e ricadde a terra. Un fiore rosso si allargò sul cotone bianco. Allora le risate sprezzanti, disgustate e sconvolte sembrarono fondersi in qualcosa di sgradevole e malsano, e tutte le ragazze si misero a bombardarla di assorbenti e tamponi, presi dalle borse e dal distributore sul muro.
Volarono in aria come fiocchi di neve, e la cantilena ossessiva cambiò suono: «Tampò-na-ti, tam-pò-na-ti, tam-pò-na-ti…»
Anche Sue partecipò al lancio e al coro generale, senza rendersi ben conto di quello che stava facendo, ma una frase le lampeggiava nella testa come un’insegna al neon: Non le facciamo niente di male, non le facciamo niente di male… Era ancora accesa, luminosa e rassicurante, quando di colpo Carrie indietreggiò urlando, sbattendo le braccia, grugnendo e gorgogliando.
Le ragazze si fermarono: avevano capito che la fissione e l’esplosione erano state finalmente raggiunte. Alcune di loro, ricordando, avrebbero poi asserito di essere rimaste sorprese da quanto succedeva. Ma non era così. C’erano stati tutti quegli anni: tutti quegli anni di facciamo il sacco al letto da campo di Carrie e nascondiamo da qualche parte le sue mutande e mettiamole questa biscia in una scarpa e facciamole questo e facciamole quest’altro e ancora quest’altro, e Carrie che arrancava in bicicletta, sempre in coda, sentendosi chiamare una volta budino mal riuscito e un’altra volta faccia di merda, sudando e odorando di sudore e non riuscendo mai a raggiungere le altre; Carrie che si pungeva con le ortiche mentre faceva pipi nei cespugli e tutti
lo scoprivano (ehi, grattaculo, ti brucia il didietro eh?); e Billy Preston che le metteva un pezzo di margarina nei capelli quella volta che si era addormentata in sala studio; e i pizzicotti, gli sgambetti nei corridoi della scuola, i libri spinti giù dal suo banco, le foto pornografiche infilate nella sua borsa; Carrie che in chiesa si inginocchiava goffamente per pregare e la cucitura della vecchia gonna di madras si strappava lungo la lampo con un rumore da scoreggia; Carrie che non riusciva mai a prendere la palla neanche coi piedi; Carrie che cadeva lunga distesa durante la lezione di danza moderna e si scheggiava un dente; Carrie che finiva contro la rete giocando a
pallavolo; Carrie che aveva le calze sempre cascanti o sul punto di cascare; Carrie che aveva sempre macchie di sudore sotto le ascelle; e la volta che Chris Hargensen le aveva telefonato a casa chiedendole se sapeva che il culo dei maiali in America si chiamava anche Carrie. Di colpo tutto questo si era sommato e si era arrivati all’esplosione. Il colpo definitivo, così a lungo
cercato, era stato inferto. Fissione.
Carrie indietreggiò urlando nell’improvviso silenzio generale ,con le braccia grassocce intorno alla testa e un assorbente infilato tra le cosce. Le ragazze la guardavano con occhi lucidi e solenni.
Carrie si appoggiò a uno dei quattro divisori delle docce, e scivolò lentamente a sedere per terra. Emetteva deboli, disperati lamenti. I suoi occhi bagnati si rovesciarono mostrando il bianco, come gli occhi di un maiale al mattatoio.
Sue disse lentamente, esitando: «Credo che sia la prima volta che…»
A questo punto la porta si spalancò con un colpo sordo e Miss Desjardin piombò dentro a vedere cosa diavolo succedeva.
[…]
«Sto morendo dissanguata!» urlò Carrie, e la sua mano in un gesto di terrore si aggrappò implorante agli short bianchi di Miss Desjardin, lasciandovi un’impronta di sangue.
La faccia dell’insegnante di ginnastica si contorse in una smorfia di disgusto. Con uno strattone la tirò in piedi.
«Vattene là in fondo!»
Carrie prese a oscillare tra le docce e il distributore di assorbenti, tutta rannicchiata, i seni puntati verso il pavimento, le braccia ciondolanti. Sembrava una scimmia. Aveva gli occhi lucidi e lo sguardo vuoto. «Adesso sbrigati!» disse Miss Desjardin, con voce sibilante minacciosa. «Tira fuori uno di quegli assorbenti… no, non serve mettere la moneta, tanto è rotto… su, prendine uno e… accidenti ti vuoi sbrigare? Sembra che tu non abbia mai avuto le mestruazioni!»
«Me-struazioni?» chiese Carrie.
La sua espressione di totale incomprensione era troppo sincera, troppo piena di terrore muto e impotente per essere ignorata o negata. Un nero presentimento si fece strada nella mente di Miss Desjardin. Era incredibile, non poteva essere. Lei aveva avuto le prime mestruazioni a undici anni appena compiuti, ed era corsa da sua madre tutta eccitata, gtidando: «Ehi mamma, ho
le mie cose!»
«Carrie?» disse avanzando verso la ragazza. «Carrie!»
Carrie indietreggiò. Nello stesso istante, una rastrelliera con le clave da ginnastica che stava in un angolo cadde per terra co un fracasso assordante. Le clave rotolarono da tutte le parti, Miss Desjardin fece un salto per evitarle. «Carrie, sono le tue prime mestruazioni?»
Ma una volta ammessa quella possibilità, non c’era più bisogno di chiederlo.
Il sangue scuro scendeva con terribile lentezza. Le gambe di Carrie erano tutte macchiate, come se avesse guadato un fiume di sangue.
«Fa male,» gemette Carrie. «La mia pancia…»
«Ti passerà,» disse Miss Desjardin. Era combattuta tra la compassione e l’imbarazzo. «Devi… ehm, fermare il flusso di sangue. Devi…» Ci fu un lampo sopra di loro, seguito da uno sfrigolio e da uno scoppio: era bruciata una lampadina. Miss Desjardin emise un grido di sorpresa e le venne in mente (ma qui sta andando tutto a pezzi) che queste cose accadevano sempre quando Carrie era sconvolta, come se la sfortuna si volesse accanire contro di lei? Ma questo pensiero le uscì di testa con la stessa velocità con cui si era formato. Prese un assorbente dal distributore rotto e lo estrasse
dall’involucro. «Guarda,» disse, «si fa così…»

Questo breve estratto mostra la cruda e violenta realtà d’un mondo che ha fatto del sangue un simbolo di sopraffazione e dolore. Oggi psicologi ed educatori con in bocca quel bullismo etimologico cercano cause alla natura della violenza, circoscrivendo un muro di parole tra società e carnefice, delegittimando, di fatto, l’indecenza di chi da complice sta a guardare.

“Ciò che mi spaventa non è la violenza dei cattivi; è l’indifferenza dei buoni.”
Martin Luther King

Dopo Palermo, Caivano. Nulla è diverso. Tutto è, spaventosamente, uguale: Una, due, “vittime” e un branco. Poi c’è un cucciolo di riccio, preso a calci, trasformato in un pallone da un gruppo (branco) di bambini. Ha rischiato il piccolo mammifero, salvato in tempo da un passante.

Il sangue deve scorrere sempre. Sembra, quasi, un richiamo per l’essere umano. L’unico modo per sopravvivere, per sentire, provare.

“Amo ascoltare. Ho imparato un gran numero di cose ascoltando attentamente. Molte persone non ascoltano mai.”
Ernest Hemingway     

Può essere questo il motivo? Molte persone non ascoltano, non sentono, non provano?
A me è stato sussurrato, urlato, detto, spesso: non provi nulla.
E ne ho approfittato, ho trasformato questa etichetta in un vestito da indossare in pubblico. Ad un certo punto, nessuno più senti il desiderio di venirmi vicino, persi il buono certo, ma con il buono spari anche il brutto.

Si può sanguinare in tanti modi quindi.
Per esperienza so che due sono, le vie per chi sanguina: lotta o fuga.

Lottare o fuggire?

Un’altro memorabile film racconta magistralmente questo dualismo.
Si può fuggire per tanti motivi, a volte si fugge dalle persone (io, purtroppo, ne so qualcosa). La pellicola in questione è: Thelma & Louise, film manifesto, del riscatto femminile da una società maschilista e violenta, una violenza di cui esse stesse, loro malgrado, si macchiano.
Thelma & Louise è la fuga della donna dal marito violento, dalla routine soffocante e dalla vita sempre uguale.
La scena finale è memorabile e malinconicamente struggente.
Inseguite da decine di auto della polizia, simbolo probabilmente dell’ordine, quell’ordine maschilista che cerca nella sottomissione la cura alla violenza, la nostra Thelma e la nostra Louise si ritrovano davanti ad un baratro (il Grand Canyon), il vuoto, non solo fisico, ma anche spirituale.
Thelma e Louise sono alle strette, senza via d’uscita, se non la sola prospettiva di finire per molto tempo in prigione, subendo umiliazioni ancora peggiori di quella che hanno subito fino a quel momento. Basta loro un attimo per decidere, per dirsi che non si torna indietro. Sul loro volto la felicità per averci provato, per averci creduto.
“Andiamo avanti” grida Louise, e giù il piede sull’acceleratore, mano nella mano.

Perché alla fine si è soli: Lettera di un padre.

Il legante della vita, delle vite che si susseguono, sembra essere, sempre, la violenza e con essa il sangue scorre sempre.

“Togli il sangue dalle vene e versaci dell’acqua al suo posto: allora sì che non ci saranno più guerre.”
Guerra e pace
Lev Tolstoj

Eppure il sangue genera vita.
Frida ora è pronta per generare. Il suo scopo è lo stesso di qualunque altro maschio che l’incontra, non stuprare, non umiliare, né uccidere, creare la vita.

L’uomo nella stessa circostanza riesce solo a far peggio.
Eppure la via esiste, l’amore esiste.

“Gli uomini che aspirano ad essere liberi difficilmente possono pensare di rendere schiavi gli altri. Se cercano di farlo, non fanno che rendere più strette anche le proprie catene di schiavitù.”
Mahatma Gandhi

Forse il senso di tutto è nella libertà che concediamo ai nostri cuori.