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Trasformarsi

Ogni volta che condivido un post, seguo più o meno lo stesso iter, una sequenza precisa di passi che finora non è cambiata tanto, anzi per nulla.

 

1 – Rispondo ai commenti.

2 – Scrivo il mio post.

3 – Pubblico il mio post.

4 – Visito gli utenti che hanno un posto nella mia mente.

5 – Leggo e commento (quando possibile) i contenuti pubblicati da questi utenti.

 

Oggi questi utenti si contano nelle dita di una mano. Non visito altri profili, né leggo altri blog.

Sinceramente non ne sento più il bisogno (ed è vero che sono solo quelli sempre quelli, che meritano.).

 

Nonostante siano pochi la diversità è tangibile, per contenuti ed emozioni.

 

Nell’ultimo anno i post si sono, molto, diradati. Oggi, passano tanti giorni tra un post e l’altro, agli inizi riuscivo ad inserirne uno al giorno, forse avevo più tempo o più voglia di scrivere.

 

Il motivo per cui si scrive è soggettivo in molti casi personale, è indubbio però che si prende spunto da quel che ci accade (direttamente o indirettamente), per tutti è così.

A volte si risponde ad un immaginario amico che ci pone quesiti sotto forma di scelte o inevitabilità.

A cosa si risponde?

La risposta che mi viene in mente è: Alla vita, alla nostra vita.

 

È nella natura delle cose, seguire un cammino che è tratteggiato da linee e punti, da interrogativi ed esclamazioni, smorfie che scavano e scavano solchi nell’anima. Piano piano li vedi affiorare dal buio e tatuarsi sulla pelle, colpi di rasoio che non sanguinano, né provocano dolore, ma sempre più somigliano a ferite. E vivi senza risparmiarti nessuna piaga o tradimento, fasciando la bocca al che nessun lamento possa essere udito.

Sorridi pure, fai il buffone, ti prodighi per gli altri e vivi come un burattino senza alcuna consapevolezza che piano piano muori, quando dovresti vivere e respirare.

 

E non ti resta che resistere, continuare a resistere.

La resistenza la panacea agli attacchi del male. Gandhi nella sua infinita saggezza ed esperienza disse: “Nessuno può farti più male di quello che fai tu a te stesso.”

Il primo nemico che incontriamo nel nostro cammino siamo noi stessi, ed è da lui che impariamo la sfiducia, la meschinità e il desiderio della colpa. Da lui impariamo a far del male.

 

Chi mi legge da tempo sa che amo l’arte, per dare forma ai miei pensieri uso ogni mezzo possibile, il pennello, lo scalpello e la penna. Tempo fa raccolsi in un manoscritto tutti i pensieri che scrissi. Alcuni qui, altri nella mia solitudine, una racconta che rimase nascosta ed è ancora nascosta.

 

Voglio riprendere alcuni pensieri.

 

“Ci sono versi di gioia, di incontenibile vivacità che riescono a trascrivere l’amore sulla pelle.

Ci sono, poi, versi d’infelicità, d’insostenibile tormento che scaraventano il cuore lontano da ogni fonte di luce.

Versi che raccontano le pene della guerra, le pene della malattia, le pene dell’amore e le pene d’una vita fallita.

Perché si leggono?

Per lo stesso motivo per cui si leggono le poesie d’amore, per dare integrità all’anima. Per dare quel senso di interezza che solo nell’equilibrio di emozioni e sensi, trovo e riesco a trovare.

Perché anche il dolore è un’esperienza. Un’esperienza che non va anestetizzata, né cancellata. Ci si può sentire stanchi, irascibili, privi d’ogni interesse, avere la percezione di non essere più quelli di prima e sentire nel cuore di non avere più via d’uscita.

Tutti!!! Tutti prima o poi si sentono o si sono sentiti così. Io mi ci sento molto spesso e raccontarlo è un modo per creare, un sentiero o, meglio, una porta e le porte sono vie d’uscita.

Il dolore va accolto al di là di quel che si può pensare: con dolcezza. Vissuto come si vive una persona cara. Per questo: poeti, cantori e artisti, ne fanno versi, melodie e opere. Per dare forma e identità a quel dolore, renderlo docile, romantico, persino amico.

Lo so! Son parole e a parole tutto è facile. Non è facile per niente, invece. C’è chi si arrende.

Per un istante, un solo istante, è capitato anche a me di pensare alla resa, un pensiero che è durato 300 metri, il tempo d’arrivare a casa […].

La salvezza per me è stata l’arte, può esserlo la musica, può esserlo lo sport, ma può essere anche una mano che ti prende in tempo o una parola che giunge in quel preciso momento, in quell’unico momento in cui serve. In ogni caso è, sempre, in noi la scelta di afferrare quella mano, di ascoltare quella parola.

Tra tutto quello che ho scritto, questo è il tema più imbarazzante per me. Perché si palesa il disagio. Perché diventa viva l’idea che un giorno ho pensato che nulla era più importante, che non c’era più via d’uscita.

Un pensiero può diventare un tarlo, scavare così in profondità da non sentire più dolore, non sentire più niente. Per un secondo, un solo secondo, tutto svanisce e ci si sente quasi felici, liberi.

Un cattivo uso della libertà può esser letale. A cosa aggrapparsi in quel momento? Alla paura? Alla speranza? All’effetto di chi ci circonda?

A tutto bisogna aggrapparsi, alla vita, alla paura, alla speranza, all’amore, al coraggio che abbiamo dentro. Ma soprattutto all’intelligenza. Credo che ci si arrenda nel momento in cui si perde la fiducia in sé stessi, nel momento in cui la mente smette di trovare soluzioni. Riprendersi il valore di sé è la parte più difficile, ma non impossibile. Nulla è impossibile se si ha una ragione, una sola ragione per vivere e credere in sé stessi è, una buona ragione. E qui torno al rapporto padre/figlio/a e al rapporto madre/figlio/a. Se si riesce a dare valore ad un bambino, a imprimere nella memoria, prima che qualunque trauma entri nella sua anima, un vero valore, si avrà una possibilità di ricordarsi chi si è e perché meritiamo di vivere.”

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Ecco questo è un passo di quella raccolta di pensieri che pochi, anzi nessuno ha mai letto.

Perché li condivido ora?

Per rispondere alla vita e a chi si trova piegato con le ginocchia che toccano la nuda terra.

Pochi giorni fa, ho letto, i post di un’amica e si è accesa in me questa lezione forse mai imparata di sopravvivenza.

 

Resistere e sopravvivere. Il verbo del Dio uomo. Io sono un Dio nel mio universo, creo e distruggo in un ciclo perpetuo di pensieri.

 

“Nessuno sceglie un male capendo che è un male, ma ne resta intrappolato se, per sbaglio, lo considera un bene rispetto a un male maggiore.”

Epicuro.

 

Un tempo scrissi di “mostri”: Vampiri, lupi mannari, golem. Un altro passo mai letto.
“Mi hanno definito, anche, mostro da bambino.

Ed io un mostro l’ho scelto, tra fate, elfi, folletti e maghi ho scelto un mostro come espressione di quel che ero, […].
Un bambino impacciato, silenzioso, un bambino rotto, fatto di tanti pezzi. […].

Mostri! Non tutti i mostri sono simpatici. Ci sono mostri che vivono nell’oscurità e attendono. Aspettano che l’innocenza si avvicini.

Il Trauma?! Un mostro generato da un altro mostro.

Che cos’è il trauma?

È un’esperienza sconvolgente, improvvisa, che ci travolge e seppellisce. Sì, seppellisce. Il trauma ci blocca e ci impedisce di vivere il presente.

E se l’orrore è troppo per esser vissuto e rivissuto, accadde qualcosa nella mente. Come una batteria o una lampada che si sovraccarica il nostro sistema collassa, la nostra mente smette di immagazzinare e dimentica, rimuove l’insopportabile. Il ricordo non è più accessibile diventa un comportamento, un’anomalia nei gesti e nelle abitudini. Ad esempio: non riconoscere la destra, dalla sinistra.

Ho un ricordo non mio, di un mio trauma. Mia sorella è il mio ricordo rimosso, la testimone di quel che è accaduto. A volte ho la sensazione di vedere dei flash. Un bambino legato, costretto ad usare la destra, invece, che la sinistra. Ma c’è qualcosa di ancor più terribile, che non ricordo d’aver vissuto – forse, perché non l’ho vissuto – ma che ricorreva nei miei sogni un tempo, quando ancora sognato.

Un uomo dentro uno scuolabus, che si abbassa i pantaloni e costringeva i piccoli alunni a …………., questo vivevo in quel sogno, […].

Avevo rimosso questo ricordo, questo sogno, dopo trent’anni torna così.

Può la mente ingannarci? Mostrarci fantasia e illusioni? Sono passati trent’anni e in testa, ho solo confusione di quel periodo. Riesco solo ad avere sensazioni dell’infanzia. Non riesce a capire cosa sia vero e cosa è finzione. […]. Non è, però, importante non lo è più.

 

La verità?

 

Non vi è rimedio al passato, è scritto nella nostra anima e rimosso o no, condiziona quel che siamo. Ma è quel che siamo. Alla fine è questo a fare la differenza e a renderci unici. Quell’anima a pezzi non è e non deve essere un ostacolo, è e deve essere il valore aggiunto, un frammento della nostra unicità.”

 

È scritto da qualche parte che siamo destinata a questa vita?

No, non è scritto da nessuna parte, quel che viviamo è nel bene e nel male la nostra identità, non, però, la nostra catena.

Imparare a trasformarsi è vitale al che le ferite diventino seta per il bozzolo.

Questa è la lezione più importante che ho imparato dalla vita.

Mai restare uguale a sé stessi, la consapevolezza del tempo che trascorre non è un tormento, lo diventa se siamo sempre gli stessi in ogni istante della vita, le stesse ferite, gli stessi dolori, le stesse violenze.

 

P.S.

Non ho la presunzione di dare lezioni a nessuno, dimenticare quello che avete letto è un’opzione.

Tutte le opzioni sono valide, tutte le verità sono plausibile fino a morte accertata.

 

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Oblii insostenibili

Eccomi di nuovo

Ieri direi dopo tanto, tanto, tempo, mi sono commosso. È scesa una lacrima, era parecchio che non accadeva.

La causa? Frida.

Ieri è stata sterilizzata.

Vederla inerme e totalmente priva di energie, inimmaginabile, è stato doloroso.

Esagerato? Forse sì. Tante che la mia compagna mi ha, bonariamente, preso in giro.

Anche ora vederla gattonare lentamente con la sofferenza sul muso è straziante.

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Doveva esser fatto. La veterinaria ha spiegato le ragioni e so che è un bene per lei.

Il senso di colpa, però, non riesco a togliermelo.

Un’umana sceglie, viene interpellata, convinta da un medico.

Lei invece no.

Si fida di noi e subisce senza possibilità di repliche le nostre scelte, spesso, molto spesso, per nostra convenienza.

Loro amato, ci amano, incondizionatamente, così tanto da diventare vittime.

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Ieri a Palermo un essere che non saprei come definire:

Criminale, malato, bastardo, infame, mostro, qualunque epiteto sarebbe poco, troppo poco.

Ha incatenato il suo cane, un pitbull di nome Aron, ad un palo l’ha cosparso di benzina e gli ha dato fuoco.

I soccorritori l’hanno dovuto sedare, tanta era la sofferenza.

Come si può?

Quale oscura ragione può generare tanta crudeltà?

Non obbediva ha esclamato questo figlio di puttana.

“La vita di un agnello non è meno preziosa di quella di un essere umano. Trovo che più una creatura è indifesa, più ha il diritto ad essere protetta dall’uomo dalla crudeltà degli altri uomini.”

Mahatma Gandhi

Più una creatura è indifesa, più ha il diritto ad esser protetta.

Invece è destinata a diventare vittima.

“Questo nostro mondo umano,

che ai poveri toglie il pane, ai poeti la pace.”

Pier Paolo Pasolini

Ecco la verità detta da un depravato ucciso per le sue perversioni, questo era Pasolini per la sua società.

Un mondo che toglie pace.

Ci sono in varie parti del mondo, essere umani che tolgono la pace e con essa la vita.

Ci sono in varie parti del mondo, essere umani che tolgono la speranza.

Anche io ho tolto qualcosa al mondo. Ieri ho tolto la possibilità di creare la vita ad una creatura indifesa.

Chissà!!! Forse un giorno imparerò a dare.

Per adesso!!! Devo tenermi la mia anima così com’è!!!

 

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Lotta o fuga?

Attenzione, gli argomenti trattati potrebbero urtare la vostra sensibilità.

La piccola Frida è diventata signorina. Il primo ciclo, il primo calore. Non è più cucciola, non è più la tenera creatura che prendevo in braccio senza alcuno sforzo, in verità lo è ancora tenera e affettuosa, anche di più, non è più piccolina.

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Iniziano tre settimane di caos ormonale che metteranno (affettuosamente) a dura prova me e la mia compagna, è la natura, l’istinto alla riproduzione.
Ora, l’argomento permette di esplorare pensieri più profondi e creare analogie.
Il sangue è l’elemento che seguirà il filo della narrazione.
Il sangue da inizio al calore e porta i maschi all’inafferrabile e irrefrenabile desiderio di accoppiarsi. La cosa strana (ma poi non tanto) è, che in questa circostanza altamente primitiva e istintiva, i cani, i maschi competono tra di loro. Alla cagna, la femmina è dato il diritto, il privilegio, l’onore di scegliere, lei scansa la coda e quel che deve avvenire, avviene. Sapete che fa il maschio, in quella ressa di ormoni? Poggia il muso sul dorso delle femmine e solo se la femmina è pronta accade quel che natura richiama.
La stessa identica cosa, accade, ai maschi umani, quando presi dall’eccitazione feroce prendono la femmina, la donna.

Beata ironia.

Eh sì!!! I cani attendono che la femmina sia pronta, basta un cenno, un ringhio della femmina è il maschio retrocede, per riprovare in un corteggiamento ossessivo che ha un arcano rispetto animalesco.
All’uomo questo animalesco rispetto non riesce, la sua infima anima non regge il paragone, non regge l’analogia con l’essenza unica del nostra amico a quattro zampe. L’uomo non trova o meglio non ha quell’elemento invisibile che giace nell’anima dell’animale: La purezza.

Un branco di cani in calore difficilmente prenderebbe con la forza una cagna non in calore, l’istinto li porta a cercare il consenso scritto geneticamente in quel flusso rosso. L’uomo non chiede consenso e al rifiuto va contro ogni istinto di conservazione e protezione, mostrando la sua natura di morte.

“Ora sono diventato Morte, il distruttore di mondi”
Bhagavadgītā

Il ciclo è un evento per l’uomo misterioso e controverso, un tabù. Perché poi?
Ricordo una scena di un vecchio film dell’orrore, un cult anni 70’, Carrie – Lo sguardo di Satana,  film tratto dal romanzo Carrie di Stephen King. La descrizione cupa di King mostra una realtà non lontana e per nulla invisibile.

Carrie stava in piedi, muta, al centro di un circolo di ragazze urlanti, con l’acqua che le scivolava sulla pelle a rivoli. Stava lì come un bue paziente, conscia di essere (come sempre) il bersaglio dello scherno generale, infelice, crudelmente imbarazzata, ma non stupita.
Sue guardò esasperata le prime gocce scure di sangue mestruale che cadevano sulle piastrelle, formando dei dischetti grandi come monetine. «Per amor del cielo, Carrie, hai le tue cose!» gridò. «Pulisciti!»
«oheh?»
Carrie girò intorno uno sguardo bovino. I capelli le si erano appiccicati alle guance, come un casco aderente. Aveva un’eruzione di acne su una spalla. A sedici anni, l’impronta delle ferite che le erano state inferte dall’infanzia era già chiaramente stampata nei suoi occhi.
«Crede che i tamponi servano per togliersi il rossetto!» strillò improvvisamente Ruth Gogan, con falsa allegria, e scoppiò in una risata acutissima. Più tardi, Sue ricordò quel commento e lo inserì nel quadro generale, ma in quel momento fu solo un altro suono senza senso in mezzo a
tutta quella confusione. A sedici anni, pensò. Deve pur sapere cosa le sta succedendo, deve pur…
Altre gocce sul pavimento. Carrie sbatteva le palpebre, guardando confusa e istupidita le sue compagne di classe.
Helen Shyres si voltò verso le altre facendo finta di vomitare.
«Stai sanguinando!» gridò improvvisamente Sue, infuriata. «Non vedi che sanguini, maledetta oca?»
Carrie abbassò gli occhi sul proprio corpo. Il suo grido echeggiò acuto nello spogliatoio umido.
All’improvviso un assorbente la colpì sul petto e ricadde a terra. Un fiore rosso si allargò sul cotone bianco. Allora le risate sprezzanti, disgustate e sconvolte sembrarono fondersi in qualcosa di sgradevole e malsano, e tutte le ragazze si misero a bombardarla di assorbenti e tamponi, presi dalle borse e dal distributore sul muro.
Volarono in aria come fiocchi di neve, e la cantilena ossessiva cambiò suono: «Tampò-na-ti, tam-pò-na-ti, tam-pò-na-ti…»
Anche Sue partecipò al lancio e al coro generale, senza rendersi ben conto di quello che stava facendo, ma una frase le lampeggiava nella testa come un’insegna al neon: Non le facciamo niente di male, non le facciamo niente di male… Era ancora accesa, luminosa e rassicurante, quando di colpo Carrie indietreggiò urlando, sbattendo le braccia, grugnendo e gorgogliando.
Le ragazze si fermarono: avevano capito che la fissione e l’esplosione erano state finalmente raggiunte. Alcune di loro, ricordando, avrebbero poi asserito di essere rimaste sorprese da quanto succedeva. Ma non era così. C’erano stati tutti quegli anni: tutti quegli anni di facciamo il sacco al letto da campo di Carrie e nascondiamo da qualche parte le sue mutande e mettiamole questa biscia in una scarpa e facciamole questo e facciamole quest’altro e ancora quest’altro, e Carrie che arrancava in bicicletta, sempre in coda, sentendosi chiamare una volta budino mal riuscito e un’altra volta faccia di merda, sudando e odorando di sudore e non riuscendo mai a raggiungere le altre; Carrie che si pungeva con le ortiche mentre faceva pipi nei cespugli e tutti
lo scoprivano (ehi, grattaculo, ti brucia il didietro eh?); e Billy Preston che le metteva un pezzo di margarina nei capelli quella volta che si era addormentata in sala studio; e i pizzicotti, gli sgambetti nei corridoi della scuola, i libri spinti giù dal suo banco, le foto pornografiche infilate nella sua borsa; Carrie che in chiesa si inginocchiava goffamente per pregare e la cucitura della vecchia gonna di madras si strappava lungo la lampo con un rumore da scoreggia; Carrie che non riusciva mai a prendere la palla neanche coi piedi; Carrie che cadeva lunga distesa durante la lezione di danza moderna e si scheggiava un dente; Carrie che finiva contro la rete giocando a
pallavolo; Carrie che aveva le calze sempre cascanti o sul punto di cascare; Carrie che aveva sempre macchie di sudore sotto le ascelle; e la volta che Chris Hargensen le aveva telefonato a casa chiedendole se sapeva che il culo dei maiali in America si chiamava anche Carrie. Di colpo tutto questo si era sommato e si era arrivati all’esplosione. Il colpo definitivo, così a lungo
cercato, era stato inferto. Fissione.
Carrie indietreggiò urlando nell’improvviso silenzio generale ,con le braccia grassocce intorno alla testa e un assorbente infilato tra le cosce. Le ragazze la guardavano con occhi lucidi e solenni.
Carrie si appoggiò a uno dei quattro divisori delle docce, e scivolò lentamente a sedere per terra. Emetteva deboli, disperati lamenti. I suoi occhi bagnati si rovesciarono mostrando il bianco, come gli occhi di un maiale al mattatoio.
Sue disse lentamente, esitando: «Credo che sia la prima volta che…»
A questo punto la porta si spalancò con un colpo sordo e Miss Desjardin piombò dentro a vedere cosa diavolo succedeva.
[…]
«Sto morendo dissanguata!» urlò Carrie, e la sua mano in un gesto di terrore si aggrappò implorante agli short bianchi di Miss Desjardin, lasciandovi un’impronta di sangue.
La faccia dell’insegnante di ginnastica si contorse in una smorfia di disgusto. Con uno strattone la tirò in piedi.
«Vattene là in fondo!»
Carrie prese a oscillare tra le docce e il distributore di assorbenti, tutta rannicchiata, i seni puntati verso il pavimento, le braccia ciondolanti. Sembrava una scimmia. Aveva gli occhi lucidi e lo sguardo vuoto. «Adesso sbrigati!» disse Miss Desjardin, con voce sibilante minacciosa. «Tira fuori uno di quegli assorbenti… no, non serve mettere la moneta, tanto è rotto… su, prendine uno e… accidenti ti vuoi sbrigare? Sembra che tu non abbia mai avuto le mestruazioni!»
«Me-struazioni?» chiese Carrie.
La sua espressione di totale incomprensione era troppo sincera, troppo piena di terrore muto e impotente per essere ignorata o negata. Un nero presentimento si fece strada nella mente di Miss Desjardin. Era incredibile, non poteva essere. Lei aveva avuto le prime mestruazioni a undici anni appena compiuti, ed era corsa da sua madre tutta eccitata, gtidando: «Ehi mamma, ho
le mie cose!»
«Carrie?» disse avanzando verso la ragazza. «Carrie!»
Carrie indietreggiò. Nello stesso istante, una rastrelliera con le clave da ginnastica che stava in un angolo cadde per terra co un fracasso assordante. Le clave rotolarono da tutte le parti, Miss Desjardin fece un salto per evitarle. «Carrie, sono le tue prime mestruazioni?»
Ma una volta ammessa quella possibilità, non c’era più bisogno di chiederlo.
Il sangue scuro scendeva con terribile lentezza. Le gambe di Carrie erano tutte macchiate, come se avesse guadato un fiume di sangue.
«Fa male,» gemette Carrie. «La mia pancia…»
«Ti passerà,» disse Miss Desjardin. Era combattuta tra la compassione e l’imbarazzo. «Devi… ehm, fermare il flusso di sangue. Devi…» Ci fu un lampo sopra di loro, seguito da uno sfrigolio e da uno scoppio: era bruciata una lampadina. Miss Desjardin emise un grido di sorpresa e le venne in mente (ma qui sta andando tutto a pezzi) che queste cose accadevano sempre quando Carrie era sconvolta, come se la sfortuna si volesse accanire contro di lei? Ma questo pensiero le uscì di testa con la stessa velocità con cui si era formato. Prese un assorbente dal distributore rotto e lo estrasse
dall’involucro. «Guarda,» disse, «si fa così…»

Questo breve estratto mostra la cruda e violenta realtà d’un mondo che ha fatto del sangue un simbolo di sopraffazione e dolore. Oggi psicologi ed educatori con in bocca quel bullismo etimologico cercano cause alla natura della violenza, circoscrivendo un muro di parole tra società e carnefice, delegittimando, di fatto, l’indecenza di chi da complice sta a guardare.

“Ciò che mi spaventa non è la violenza dei cattivi; è l’indifferenza dei buoni.”
Martin Luther King

Dopo Palermo, Caivano. Nulla è diverso. Tutto è, spaventosamente, uguale: Una, due, “vittime” e un branco. Poi c’è un cucciolo di riccio, preso a calci, trasformato in un pallone da un gruppo (branco) di bambini. Ha rischiato il piccolo mammifero, salvato in tempo da un passante.

Il sangue deve scorrere sempre. Sembra, quasi, un richiamo per l’essere umano. L’unico modo per sopravvivere, per sentire, provare.

“Amo ascoltare. Ho imparato un gran numero di cose ascoltando attentamente. Molte persone non ascoltano mai.”
Ernest Hemingway     

Può essere questo il motivo? Molte persone non ascoltano, non sentono, non provano?
A me è stato sussurrato, urlato, detto, spesso: non provi nulla.
E ne ho approfittato, ho trasformato questa etichetta in un vestito da indossare in pubblico. Ad un certo punto, nessuno più senti il desiderio di venirmi vicino, persi il buono certo, ma con il buono spari anche il brutto.

Si può sanguinare in tanti modi quindi.
Per esperienza so che due sono, le vie per chi sanguina: lotta o fuga.

Lottare o fuggire?

Un’altro memorabile film racconta magistralmente questo dualismo.
Si può fuggire per tanti motivi, a volte si fugge dalle persone (io, purtroppo, ne so qualcosa). La pellicola in questione è: Thelma & Louise, film manifesto, del riscatto femminile da una società maschilista e violenta, una violenza di cui esse stesse, loro malgrado, si macchiano.
Thelma & Louise è la fuga della donna dal marito violento, dalla routine soffocante e dalla vita sempre uguale.
La scena finale è memorabile e malinconicamente struggente.
Inseguite da decine di auto della polizia, simbolo probabilmente dell’ordine, quell’ordine maschilista che cerca nella sottomissione la cura alla violenza, la nostra Thelma e la nostra Louise si ritrovano davanti ad un baratro (il Grand Canyon), il vuoto, non solo fisico, ma anche spirituale.
Thelma e Louise sono alle strette, senza via d’uscita, se non la sola prospettiva di finire per molto tempo in prigione, subendo umiliazioni ancora peggiori di quella che hanno subito fino a quel momento. Basta loro un attimo per decidere, per dirsi che non si torna indietro. Sul loro volto la felicità per averci provato, per averci creduto.
“Andiamo avanti” grida Louise, e giù il piede sull’acceleratore, mano nella mano.

Perché alla fine si è soli: Lettera di un padre.

Il legante della vita, delle vite che si susseguono, sembra essere, sempre, la violenza e con essa il sangue scorre sempre.

“Togli il sangue dalle vene e versaci dell’acqua al suo posto: allora sì che non ci saranno più guerre.”
Guerra e pace
Lev Tolstoj

Eppure il sangue genera vita.
Frida ora è pronta per generare. Il suo scopo è lo stesso di qualunque altro maschio che l’incontra, non stuprare, non umiliare, né uccidere, creare la vita.

L’uomo nella stessa circostanza riesce solo a far peggio.
Eppure la via esiste, l’amore esiste.

“Gli uomini che aspirano ad essere liberi difficilmente possono pensare di rendere schiavi gli altri. Se cercano di farlo, non fanno che rendere più strette anche le proprie catene di schiavitù.”
Mahatma Gandhi

Forse il senso di tutto è nella libertà che concediamo ai nostri cuori.

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Leggi di natura

Ieri la piccola Frida ha inoculato il terzo vaccino, fra 15 giorni potrà esser libera di interagire con il mondo e tutte le creature che lo abitano. Una dolce prigione la sua che sta per finire.

Le sue energie sono esplosive e credo sarà impagabile vederla correre.

ATTENZIONE CONTENUTO CHE POTREBBE URTARE LA SENSIBILITÀ DI ALCUNI.

Ieri parlando amichevolmente con la veterinaria, del più e del meno, si è detto come le mamme a volte per esigenze di sopravvivenza mangiano i cuccioli più deboli. La mia compagna era a conoscenza di questo comportamento, ha avuto gatti in passato, ha visto la sua gatta, mangiare alcuni piccoli, io non avevo idea, ero a conoscenza per esperienza che i pesci rossi se non li travasi in un altro acquario dopo il parto mangiano i piccoli, non pensavo che questo comportamento fosse consuetudine anche per i cani domestici. Sembra che Frida abbia perso due fratellini. La natura è spietata ma lungimirante nelle sue regole, il più forte sopravvive, il debole muore. C’è saggezza in questa legge?

Che dire? Saggia o no, questa legge sembra non aver lasciato il cuore degli uomini.
Hai voglia a parlare d’amore e compassione. Qualche giorno giorno fa un tizio ha chiamato mia madre, spacciandosi per un tecnico dell’Enel, dicendole che erano stati costruiti nuovi contatori che facevano risparmiare. Con una modica somma avrebbe risparmiato il 50% sulla bolletta.
Ovviamente falso, mia madre ha risposto che avrebbe chiamato l’Enel per conferma, al che il presunto tecnico ha chiuso la chiamata. Ci provano vigliaccamente e crudelmente.

La violenza non è la soluzione mai a nulla, ma una lezione la darei volentieri a questo tizio.

Il male, accende il male.

“La vera potenza di Dio consiste non nell’impedire il male, ma nel saper trarre il bene dal male.”
Sant’Agostino

Ho, sempre, trovato alquanto contorta la teologia cattolica, difficile da capire a volte e difficile da far propria altrettante volte. L’insegnamento di Cristo è saggio, altruistico, moderno e universale. Che si è credenti, agnostici o atei, nessuna corrente religiosa, filosofica e culturale può mettere in discussione il messaggio d’amore alla base della sua eredita, eredita che trascende il paganesimo, l’ebraismo e il cristianesimo stesso, non è Cristo che conta, ma il messaggio d’amore, è sempre stato il messaggio d’amore. Le diatribe su chi ha la verità smettono d’esser verità nel momento che dividono, oserei dire, anzi, nel momento che vengono sollevate.

La natura dell’uomo divide, a volte un idea divide.

“Fummo costretti ad innalzare per un attimo le nostre menti dalla routine della vita quotidiana ed a riconoscere la presenza di quelle possenti forze della natura che urlano contro l’uomo, attraverso le sbarre della sua civilizzazione, come belve feroci in una gabbia.”
Sir Arthur Conan Doyle

Che sia la forza di Dio o la forza della natura, l’uomo non è uno spettatore inerme, ha l’intelligenza e le virtù per cambiare il suo destino.
Ed è questo che lascia attoniti, la sua capacità di declinare, costruire un’idea d’amore è resa fallibile della sua inettitudine della sua decadente logica di conquista.

Il forte sopravvive, il debole muore.
Il darwinismo sociale e lotta per la sopravvivenza, che bella cazzata.
Una cazzata con un fondo di verità probabilmente.
Una volta, ho letto un articolo, alquanto strano. L’articolo in questione rifletteva su come la terra sia stata testimone della presenza di due uomini totalmente diversi nello stesso momento.
Gandhi e Hitler.

L’dea è alquanto bizzarra ma riflettendoci mostra una verità ideologica.

“Gli esseri umani sono dotati di libero arbitrio? Se ne siamo dotati, in quale punto dell’albero evolutivo questo si è sviluppato? Forse le alghe verdi-azzurre o i batteri hanno libero arbitrio, oppure il loro comportamento è automatico e rientra nel dominio della legge scientifica? Sono soltanto gli organismi pluricellulari ad avere il libero arbitrio, o soltanto i mammiferi?”
Stephen Hawking

Farsi domande crea solo altre domande.
Da Frida sono giunto a Hawking.
Bella acrobazia.

Ad un certo punto perdo, sempre, l’iniziale punto di partenza, questo è il punto.
Le stelle mi vengono in mente e con le stelle chiudo.

L’unica cosa umana oggi giorno è, l’alieno splendore d’un cielo stellato.

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Pazienza

In un commento mi è stato scritto, saggiamente aggiungerei, che evito di dire la mia per non ferire chi mi sta accanto e che in realtà chi mi sta accanto se mi vuole bene accetta il mio modo di pensare e quindi dovrei sentirmi libero di esprimermi.

Questo affermazione è vera e in un mondo equilibrato e saggio sarebbe scontata, inutile anche da dire.

A volte, però, oltre alla volontà di non ferire chi ami (volendo anche chi non ami), c’è la volontà a non innescare un confronto d’idee che inevitabilmente porta allo scontro, scontro non necessariamente violento, può esser pacifico, ma sempre scontro è.

Ammetto per carattere tendo a fare, sempre, un passo indietro quando si alzano i toni e l’atmosfere s’infuoca tanto da esser lì, per esplodere.

C’è chi ama lo scontro e si diverte a provocare e stuzzicare, sarcasmo e ironia pungenti, che sono come sentire le unghie graffiare la lavagna, ed è insopportabile vedere tanta irruente provocazione e altrettanto insopportabile è fare i conti con la mia retromarcia fatta solo per evitare, che si possa arrivare a prendersi a spintoni o schiaffi e molti sembrano che godano nel cercare il contatto fisico, come se il cervello si spegnesse e il cervelletto primitivo prendesse il sopravvento.

“Perdere la pazienza significa perdere la battaglia.”
Mahatma Gandhi

Bellissima frase, complicata d’applicare, ma bellissima.

La pazienza è tra i miei pregi, ed è essa che a volte, spesso, mi spinge a tenere per me obiezioni e critiche, per pazienza verso persone che spesso non sono pronte a condividere il silenzio e la pace.

Perché per molti è più attrattivo condividere rumore e caoticità.

Chiudo con un ricordo alle vittime di mafia, da ricordare non solo in questo giorno.