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Guarire

Non mi sono mai sentito particolarmente speciale. Il talento che la natura mi ha donato a volte mi ha fatto credere di poter dare qualcosa in più, ma a parte questo nulla e nessuno si è mai presentato a me dicendomi:

Ehi!!! Ma lo sai che sei speciale.”

Se poi dovessi aggiungere che la mia vita non è stata il massimo. Rischierei di sentirmi dire che so solo piangermi addosso.

Categorie!!! Tu, a quale appartieni?

Qualche giorno fa ero a casa di parenti. Parlando delle solite cose di famiglia si è rinvangato qualche episodio del passato, come al solito. Si parla sempre del passato. Sia esso vicino o lontano, è sempre “presente” richiamato a risollevare la vita. Rimane comunque sempre passato.

Cosa è successo ieri? Conta veramente? Si sprecano tante energie nel rievocare il passato, forse, più di quante se ne dedicano al concepimento del futuro.

Non ho partecipato attivamente alla discussione. Devo ammettere che trovo repulsione a discutere con alcuni parenti. Più passa il tempo, più divento allergico a certe dinamiche e certe persone. Le riconosco subito. Non posso farne a meno mi devo schierare, io da un lato loro dall’altro.

Me lo chiedo! Quando nella mia vita, il senso di unione, quel senso che definisce famiglia e rapporti, si è perso? E quando il senso di separazione, di solitudine e indifferenza ne ha preso il posto?

Ho detto poche frasi, pochi pensieri, che esprimevano un solo stato d’animo: “Le cose non vanno poi così bene”. Mia colpa. Non è mai stata mia abitudine fare confidenze e dire cosa realmente sento.

Tra una parola e l’altra, mi è stato detto che sono fortunato, che c’è chi sta peggio di me. In passato trovavo saggie queste parole, oggi mi danno quasi l’orticaria. Non tollero più l’ipocrisia di certi discorsi.

Scelte.

Quanta erosione subisce la nostra anima da tutte quelle scelte che subiamo e non scegliamo?

Quante cose non si scelgono? Quante persone? Non si scelgono i parenti, non si scelgono i vicini, non si sceglie dove nascere, non scelgo il mio corpo, non scelgo il mio carattere, non scelgo chi incontro. Tutto capita.

Mi sono sempre chiesto se è possibile evitare l’inevitabile?

Zenone di Cizio aveva trovato, forse, la soluzione all’inevitabilità della vita, mi sa, però, che io non sono mai stato, abbastanza, stoico.

Perché mi abbandono a questi pensieri?

Nel tempo ho trovato solo una risposta, se non lo facessi non guarirei.

 

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C’era una volta

Avviso sempre valido.

Non leggete.

Contenuto vietato agli esseri umani dotati di principi morali e intelligenza.

Vietata la lettura a chi è sano di mente.

 

 

Non è scontato avere pensieri da raccontare. Le storie più o meno si ripetono e i pensieri sotto nuove vesti tornano a raccontarsi.

 

C’era una volta un bambino triste che sognava di …

 

Potrei concludere così la mia storia. Un perfetto epitaffio.

 

L’unica fonte di felicità rimane stabile ed è sempre quella: la creazione.

Noto che in quei momenti la mente si isola e tutto quello che vive attorno (per quel breve momento) viene dimenticato.

Non mi consola, ma è così! Ed è inevitabile.

 

C’è stato giorni fa un compleanno di un parente. Si è partecipato. Sono stato per quasi tutto il tempo in disparte seduto senza parlare con nessuno, senza avere lo stimolo, né il desiderio di dialogare e interagire. È davvero questa la mia natura? Osservare e osservando non far parte del quadro. Mi è stato fatto notare e mi sono sentito in colpa – nuovamente. Che brutta sensazione non esser compresi.

 

Nonostante questo, la vita scorre comunque. La vita di chi mi passa davanti prosegue senza che io mi accorga di nulla o, meglio, senza che io faccia nulla per far parte di quel viaggio.

E dire che di storie e racconti ne sento. Maestre che chiamano (la mia compagna) e comunicano programmi ed eventi, e tra una nota e l’altra si scambiano confidenze. A volte malesseri altre vittorie.

O lontani cugini che nel passa parola dell’unica fonte pettegola (mia madre) vivono vite segnate da operazioni, incidenti, promozioni e iniqui acquisti.

La vita va avanti, e giorno dopo giorno l’età si accumula. La cosa più difficile che vivo è, ed è sempre quella: il passato.

 

Primo Levi disse: “Tutti coloro che dimenticano il loro passato, sono condannati a riviverlo.” In linea di massima sono d’accordo con questo pensiero. È la lezione degli errori. Se si dimentica una lezione, non s’impara e si è condannati a sbagliare, a ripetere l’errore.

 

Ma sono anche d’accordo con Buddha:

 

“Non indugiare sul passato; non sognare il futuro, concentra la mente sul momento presente.”

 

Fateci caso!? Quando siamo presi dalle nostre attività, quindi presi dal presente, si ha la sensazione di non pensare, la sensazione che il tempo non scorra. In quei momenti ti accorgi che il tempo passa senza neanche che te ne renda conto. Questo accade quando siamo presi da un’attività – non quando si pensa – ma quando si opera, quando le mani (quindi il corpo) seguono la mente. In quel momento il presente prende, letteralmente, forma e in qualche modo si vive l’utilità della vita.

 

Parola importantissima “Utilità.” Riuscire ad essere utili.

 

Una cosa deve essere chiara, orami da tempo per me lo è. Non sono come gli altri. Per motivi sociali legati a fattori che non sto qui a descrivere, sono quel che si definirebbe un emarginato sociale.

Incapace di mantenere rapporti, in molti casi incapace di instaurarli. Quindi la mia vita scorre diversamente da tutti gli altri, da chi, per intenderci, ha una vita piena – sia nel bene che nel male – famiglia, lavoro, amicizie, interessi.

 

Questo porta inevitabilmente ad esser visto con occhio critico a volte accusatore.

Il problema è (a mio parere)? Il non (per scelta o non scelta) adeguarsi. Nella società moderna adattarsi è indispensabile per essere incluso, per funzionare nel sistema.

 

Tutti fanno parte di qualcosa, è la definizione di sociale. Restare alla porta di questo sistema porta inesorabilmente al mal di vivere e alle sue tante forma e terminologie moderne: stress, ansia, depressione, panico, psicosi, ecc. ecc.

 

Persino l’amore, visto (da me) con poesia e romanticismo, non è destinato ad essere fonte di felicità, questo per la sua complessità e vastità di interazioni. L’amore è tutto tranne che semplice. Sì, possiamo dire che vive di gioie e felicità ma per brevi momenti, poi vive altro, è altro.

La felicità a mio parere è una forma di semplicità. Un atto elementare che si manifesta con un gesto scaturito da qualcosa che è tutto tranne che complesso. Qualcosa che ci rende semplice respirare.

 

Ovviamente tutto non è, mai, così semplice, facciamo i conti anche con le illusioni della nostra mente. Le invenzioni che abbelliscono la vita e che servono alla nostra – vita – per essere accettata.

 

Esempio: Essere migliore degli altri. Credersi migliori degli altri.

“L’esperienza ha poco da insegnare se non viene vissuta con umiltà.”

Michelangelo

 

Interpretò questo pensiero con la lezione degli errori. Solo l’umiltà permette di riconoscere d’aver sbagliato, e solo dopo aver riconosciuto l’errore diventa esperienza per il futuro. Ed è l’esperienza che ci consegna i mezzi per comprendere quel che accade attorno a noi. Permettendoci di essere onesti con noi stessi.

 

Non lo siamo quasi mai onesti (l’onesta morale), pensare di esserlo con noi stessi è un’utopia.

 

Mente scrivo fuori piove, perfetta cornice per questi pensieri.

 

Quando sono stato felice?

 

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Questa è un oggetto creato con lo scopo di vendere un po’ di bellezza (la mia bellezza). L’unico mio modo di far parte del mondo. Delego la mia anima ad un oggetto nato dal nulla.

Nel crearlo, sono stato felice, una volta terminato smette di esistere, e con esso si conclude l’esistenza. Decifrare questa felicità è paradossale. Perché mi rendo conto che la consapevolezza della felicità scaturisce dalla sua conclusione. È la perdita e la sua storicizzazione che crea la felicità, allo stesso tempo destinata a diventare infelicità (la sua conclusione).

Questa è la fine della storia.

C’era una volta …

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Brutte abitudini

Eccomi ancora una volta. Anche questo nuovo post sarà un po’ pesante, per lo meno dal mio punto vista.

 

Contenuto vietato ai minori di 14 anni.

 

Abitudini.

 

Di certo avrò già scritto in passato qualche riflessione sul tema, è abitudine tornare su pensieri già vissuti.

 

“L’enorme carico di tradizioni, abitudini e costumi che occupa la maggior parte del nostro cervello zavorra impietosamente le idee più brillanti e innovative.”

Josè Saramago

 

Vecchi e nuovi aforismi, perle gettate qui e lì. Un’altra mia abitudine.

Non è semplice percepire i nostri comportamenti e come un’espressione matematica, estrarli dalla formula. E da quella formula, tra gesti e parole, riconoscere le variabili e le costanti che ne incatenano la logica.

Stamattina mi è capitato di assistere ad una scenetta che non saprei definire.

Nelle ore che passeggio Frida, mi capita d’incrociare di continuo runner e ciclisti che corrono. Uomini e donne che, a passo di marcia, mi sorpassano a destra e a sinistra.

Oggi! arrivato in piazza, vedo una giovane ragazza, che fa piegamenti su una panchina. Esercizi, molto probabilmente per sciogliere l’acido lattico o mantenere i muscoli caldi dopo la corsa.

Ad una decina di metri, un gruppo di uomini, quattro per l’esattezza, la fissano ridendo, come si suol dire, sotto i baffi.

La ragazza in tenuta sportiva indossava una tuta molto aderente. Le temperature sono quasi primaverili dalle mie parti, è comune quindi vedere ragazze e ragazzi vestiti con tute aderenti – ideali per la corsa – sovente con braccia e gambe scoperte anche in questa stagione.

I movimenti della ragazza erano, se visti fuori dal contesto, abbastanza sexy, oserei dire erotici, si piegava a gambe divaricate, mostrando in tutta la sua tonicità il sedere.

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Non è la ragazza che ho visto, ho condiviso questo scatto preso dalla rete solo per far capire cosa quei quattro uomini vedono.

Un paio di volte ho visto due dei quattro uomini toccarsi i genitali, probabilmente in tutto questo non c’è nulla di male, un po’ d’imbarazzo io, però, l’avrei provato. Tante che i quattro ad un certo punto si sono avvicinati costringendo la ragazza accortasi del siparietto a riprendere la corsa, credo, un po’ infastidita.

 

Brutta abitudine, per l’uomo, questo comportamento. Il voyerismo è comune tra gli uomini, per molti potrebbe anche avere una logica e una sana utilità. Perché si sa! Guadare è sempre meglio che toccare.

 

L’uomo è attratto dalle forme della donna, è un fatto chimico. Le rotondità della donna sono una selezione naturale da parte dell’evoluzione. Lo scopo? Attrarre il maschio riproduttore che è in noi.

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A volte mi chiedo?

L’istinto a tradire è frutto dell’occasione che fa l’uomo ladro?

O è frutto della sua natura, frutto di quello sguardo intriso di libido e ormoni che non riesce a distogliersi da una scollatura o uno spacco?

Non sono perfetto, ho una moltitudine di difetti, il tradimento, per lo meno quello legato alla coppia, non mi è, però, mai appartenuto. Capita, sì, che l’occhio a volte cade, la moda attuale è troppo appariscente a volte. La mia natura riservata non mi ha, però, mai permesso di approcciarmi con altri esseri umani in maniera naturale, ho difficoltà già solo a trovare le parole per iniziare un dialogo, pensare a fare sesso con chi ho davanti non si è mai, neanche, palesato nell’anticamera dei miei pensieri. Triste? Per alcun teste di cazzo di certo. Ne conosce parecchi che mi considerano un fesso, per alcuni (umani legati dal sangue) persino un frocio. Ho visto stupore e sollievo anche nei miei parenti più stretti, il giorno che ho presentato la mia compagna. Abitudini che si percepiscono.

E devo scrivere da quel che ho vissuto e vivo, che era ed è ancora oggi, in certi ceti, un’abitudine per il siciliano essere maschio e virile.

Se c’è una donna o ragazza avvenente, con le forme ben in vetrina, è quasi un rito provarci, quasi un dovere guardarla come se mai donna avesse messo piede sulla terra. E alle donne piace tutto questo, magari non a tutte, ma a gran parte sì.

Da ragazzo, poi, non avevo un bel rapporto con il mio corpo, è questo frena nell’approcciarsi con l’altro sesso e mette davanti a noi a me in questo caso, tante inibizioni.

Le ha messe per lo meno. La maturità aiuta, l’esperienza aiuta, nel tempo qualche trucco s’impara.

Al di là di quel che si dice, di quel che diciamo noi timidi, noi sfortunati o sfigati, la solitudine non è mai una conquista, quando, invece, una eredità giunta per caso.

La brutta abitudine di sentici soli, non è poi così costante.

Aggiungo inoltre, che chi dice: “sto bene da solo o sola”, in realtà mistifica la verità e muta il vero significato della solitudine.

Perché di fatto non si è mai soli.

Siate onesti e oneste con voi stessi/e.

Le volte che si dice: “io sto bene da solo o sono sempre stato bene da solo o da sola”, in realtà non si vive la solitudine, ma una sorta di evasione da uno scorcio di vita, che vuoi o non vuoi, ci ha segnato e continua a segnarci.

Ritagliarsi un paio d’ore di solitudine, o un giorno, o persino una settimana, non basta a dare forma alla solitudine e alle sue profonde inquietudini.

Il mal di vivere, invece, è una costante e un’abitudine, una brutta abitudine.

 

“Qualsiasi essere amato – anzi, in una certa misura qualsiasi essere – è per noi simile a Giano: se ci abbandona, ci presenta la faccia che ci attira; se lo sappiamo a nostra perpetua disposizione, la faccia che ci annoia.”

Marcel Proust

 

Che frase triste e sconsolata, degna del più disilluso decadentismo.

Chissà!!! Visto i tempi, se mai fine abbia avuto questa corrente?

Il senso della frase sembra chiaro: Qualunque cosa facciamo non ci rende felice, non ci rende soddisfatti. È il mal di vivere.

 

Brutta abitudine.

 

Com’è che da tette e culi sono arrivato al mal di vivere?

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Sono onesto, in queste ragazze più che libertà, vedo un profondo mal di vivere.

Forse è questa la natura dello stupro. Fottersi la vita, fottersi il cervello.

Lo sappiamo cosa succede quando siamo in prende all’eros, al brivido che per pochi minuti ci rende illogici e incapaci di fermarci.

Uno, due, forse tre uomini su venti riuscirebbero a tirare fuori il loro pene quando dentro la donna lei dice: NO, BASTA.

Non so!!! Per la donna è lo stesso? Ho avete più controllo?

L’orgasmo è una bella abitudine, anche la verginità era una bella abitudine.

Oggi però è, per questa società, questo il modo di percepire l’amore:

 

Fottersi.

Fottersi.

Fottersi.

 

Nel pronunciare questa parola, non avvertite un disagio e al tempo stesso un perverso compiacimento.

Fottersi la vita, ha un senso.

Fottersi il cervello, ne ha un altro.

Ciò che è sempre lo stesso è il linguaggio che lega i comportamenti. Che siano di rivalsa o di disfatta, l’atto che prevale sulla morale è lo stesso che descrive la violenza della vita e con essa la sua fine.

Un lungo atto sessuale che può generare, vita o morte, piacere o dolore.

La riflessione di fatto è diventata un po’ a luci rosse.

Ma convengo in questo con Freud. Per il celebre analista, l’amore o è narciso o è nostalgico, in entrambi i casi doloroso e perverso e per naturale evoluzione sessuale.

Al solito esondo i miei limiti e vado oltre quel che avevo intenzione di descrivere.

A volte mi chiedo se non sarebbe meglio limitarmi a condividere un semplice aforisma e una canzone, invece di mettermi a vaneggiare come un folle.

Per ritrovarmi, alla fine, anello dopo anello, incatenato alle parole e all’ossessione.

Si scrive per tanti motivi, in linea di massima tutti giusti.

Un cantastorie tramanda vite, un poeta la denuda, la vita. Io che non sono né l’uno, né l’altro racconto il vuoto dell’anima.

 

Oh me, oh vita!

Domande come queste mi perseguitano,

infiniti cortei d’infedeli,

città gremite di stolti,

che vi è di nuovo in tutto questo,

oh me, oh vita!

Risposta: Che tu sei qui,

che la vita esiste e l’identità,

Che il potente spettacolo continui,

e che tu puoi contribuire con un verso.

Walt Whitman

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Questa è tra le più belle poesie di Whitman, tra le più belle della letteratura.

Il mal di vivere è un vuoto, un vuoto insostenibile.

Nel raccontarlo si può forse riempierlo.

Persino forse dare una descrizione dei suoi limiti, dare forma alle pareti e al suo fondo.

Perché è ancor peggio, non sapere.

 

Io tocco i miei nemici col naso e con la spada

Ma in questa vita oggi non trovo più la strada

Non voglio rassegnarmi ad essere cattivo

Tu sola puoi salvarmi, tu sola e te lo scrivo:

Dev’esserci, lo sento, in terra o in cielo

Un posto dove non soffriremo e tutto sarà giusto

Non ridere, ti prego, di queste mie parole

Io sono solo un’ombra e tu, Rossana, il sole

Ma tu, lo so, non ridi, dolcissima signora

Ed io non mi nascondo sotto la tua dimora

Perché oramai lo sento, non ho sofferto invano

Se mi ami come sono, per sempre tuo

Per sempre tuo, per sempre tuo Cyrano

Francesco Guccini “Cirano”

 

Riempitevi l’anima di poesia e bellezza e verrà da sé,

che!!!

 l’amore che vive nell’atto

verrà declamato con le forma della virtù.

Allora accadrà!

Quel verso cercato sarà trovato.

Quel vuoto, riempito.

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Scusate il lungo post e il suo contenuto.

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Alieno

Da piccolo quando mi trovavo in uno stato di malinconica tristezza, mi rinchiudevo in camera e disegnavo, spesso, ascoltando della musica.
In quell’esercizio e in quella solitudine trovavo, in un modo o nell’altro, la maniera d’evadere dal momento triste, per finire alla fine rinchiuso in me stesso, cosa non buona forse.
Era un modo come un altro per affrontare il problema di turno, come scritto magari non il miglior modo.
Al contrario, mia sorella, caratterialmente diversa da me, totalmente diversa da me, affrontava di petto le situazioni, a volte con inaspettata aggressività.
Se rifletto e vaglio le persone che mi sono passate attorno e mi passato attorno, non posso non notare che questo ultimo atteggiamento è frequente.

Da un paio di giorni ho dei fastidi allo stomaco. Mi sono reso conto che non sono legati ad un problema fisico. La mente, allora, è tornata a quando ero ragazzo e alle tante volte che per una situazione di profondo stress il corpo mi tradiva e spasmi addominali mi toglievano il fiato.
Dolori spesso inopportuni, soprattutto, se precedevano un esame.
Erano parecchi anni che non mi capitava di soffrirne e in verità, non so di preciso, neanche per quale motivo sono riapparsi. Posso immaginarlo!!!

La cosa più brutta che mi viene da immaginare è, che sono arrivato al limite della sopportazione sociale.
In questi ultimi venti anni ho fatto un enorme lavoro per convincermi che le relazioni sono l’unico vero tesoro e che senza non si cresce, né si vive, non posso certo affermare (per mia convenienza) che quando detto non sia vero. È la realtà purtroppo, senza relazione non si vive. L’amicizia senza relazione non nasce, il lavoro senza relazioni non attecchisce. Persino l’amore vive e si nutre di relazioni. Molte forzature le ho subite e le continuo a subire, proprio e soprattutto, per amore.
Vi confido una verità meschina. Tante volte chiedo alla mia compagna di uscire, spinto dalla sua insofferenza nel non avere contatti. In verità se dovessi scegliere ne farai a meno, sarei tanto più facile nel vivere la nostra solitudine da soli, io e lei da soli.

Peccato che a me da vita (questa solitudine) a lei morte, queste le sue parole. Anche se mi ama sente che piano piano sta morendo dentro. Purtroppo da quando ha conosciuto me ha lentamente diminuito i contatti e le relazioni con i suoi amici.
Lei, ovviamente, non da la colpa a me, ma all’età e al tempo che passa. La natura del mio carattere è, però, evidente a lei come a me. Per risparmiarmi difficoltà, che ho oggettive nel relazionarmi, negli anni, piano, piano ha evitato molta della vita sociale che prima viveva. Ed è per me una ferita aperta. Per quanto provi fallirò sempre nelle intenzioni. Perché non ho il tipo di carettere per darle quello che desidera.

Qui sorge spontanea una domanda:

Avete mai desiderato d’esser diversa o diverso?
Io lo sto desiderando, ma per il motivo sbagliato. Vorrei esser diverso per rendere completo l’amore che desidera la mia compagna.
Ma è sbagliato, per logica si deve desiderare d’esser diverso o diversa? Per esser migliori.
Una linea sottili è quella che separa o lega egoismo e altruismo.

L’esperienza e gli anni maturati, mi hanno insegnano che l’amore è un’equilibrista che oscilla tra egoismi e altruismi.

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Mi sento un alieno in un mondo di umani.

Aggiunta:

Rileggendomi ho scorto un pensiero che potrebbe far passare un messaggio di disperazione, conflitto e mal di vivere.
Devo per lucida analisi fugare queste realtà, per lo meno in gran parte.
Alcuni principi legano gli essere umani gli uni agli altri indissolubilmente.
L’amore è risaputo, è una rosa piena di spine. La tolleranza e la capacità di fare passi indietro sono essenziali nel suo vivere, come la necessità di comprendere la coppia e le sue interazioni.
La vita è una costellazione di stelle immerse nel buio. Tra una luce e l’altra c’è l’oscurità e si deve imparare a conviverci, arrivando a sporcare l’anima per comprenderla e guidarla, per poi lavarla attraverso l’analisi e l’autocritica.
Qui esterno le stelle e i miei buchi neri. Qui!!! Dove la parola è relativa e l’azione priva di riflessi, posso desiderare e condannare senza per forza nuocere a qualcuno, volendo neanche a me stesso. Racconto semplicemente i miei pensieri.

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Condanne

Sono trascorsi un pò di giorni dall’ultimo post, sta accadendo sempre più spesso, un pò di noia certo, ma soprattutto caldo, tanto caldo a frenare il desiderio di scrivere.

Non posso, certo, dimenticare e non ricordare che calpesto la terra più assolata del mediterraneo.
Terra di fuoco che nasconde nelle sue viscere le fucine degli dei.
Detta questa filosofica scemenza 🙂 non posso che condividere il senso vero della gioia e della semplicità, quella semplicità che vive nelle più piccole cose.

https://www.youtube.com/shorts/HVISDhCBcEk

La piccola Frida non si risparmia nel godersi la vita.

Ieri siamo stati in Montagna, l’unica montagna di questo versante, abbiamo approfittato di alcuni giorni di ferie della mia compagna. Silenzio, fresco e pace.
Frida, finalmente, ha corso liberamente senza fresi e guinzaglio. Bella giornata.

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Alcuni potrebbero definirla noiosa e troppo isolata, senza altre persone attorno, la voglia, qualunque voglia, scema. Non per me.
Mi rendo conto, sempre più, che mi sento alieno alla comunicazione umana.

Sforzo la mia natura per amore della mia compagna.
Amare è compromesso, di questo ho preso atto da tempo.

Siamo cavalli domati nell’anima e nello spirito.
Questa è la nostra condanna.

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Luci e ombre

Sono passati parecchi giorni dall’ultimo post, nel mezzo un lungo ponte che ha cavalcato il 2 giugno, festa della Repubblica.

Siamo, io, la mia compagna e Frida, usciti in questi giorni.

Sarò sincero, come sempre al dire il vero e non userò delicatezze per esprimere il mio pensiero. Da quando c’è Frida le uscite sono inevitabili, anzi, la scusa di portarla fuori crea situazioni per passeggiare gioiosamente in città.

Gli incontri con altre persone e altri cani sono come le uscite inevitabili. L’iter è quello in ogni incontro, ci si ferma, gli occhi si incrociano, piano piano si fa un passo avanti, il guinzaglio tende e tutto inizia, i due cuccioli (più o meno) iniziano le loro danze di amicizia, si annusano e si rincorrano in una festa di salti e capriole. In questa gioiosa situazione è altrettanto inevitabile che i padroni interagiscono, ed ecco che ci si stampa un bel sorriso e si iniziano a scambiare quattro chiacchiere, la mia compagna – alquanto felice – si carica per le lodi ricevute, la vedo gongolare e brillare per quella cucciola che così tante attenzioni riesce a strappare. Senza difficoltà conversa amichevolmente con tutti.
Io cerco di partecipare, provo a interagire, dico la mia e sorrido, cercando di stare attento ai due cuccioli che si mordicchiano. Ma la verità è che m’infastidisce quell’interazione.
A volte mi chiedo, chissà se s’accorgono che il sorriso è forzato? Che vorrei non aver nessuno attorno?
Perché non è l’uscita a infastidirmi, mi piace uscire con Frida, soprattutto la mattina presto quando non c’è nessuno per le strade e l’unica compagnia è il cielo, il mare e la bellezza di un paese che segue l’assurda regola che solo nel centro storico la pulizia e il decoro è degno di regole e vigilanza. Non è l’uscita dunque a infastidirmi, cos’è allora?

La mia natura non riesce a esser solidare con altri esser umani, l’apparenza è sempre gentile, la spiccata riservatezza l’unica attitudine che l’interlocutore può percepire, il resto è nascosto, non può e non deve uscire fuori, neanche qui forse dovrei palesare la mia reale percezione.
La mia compagna dopo tanti anni ha intuito la mia natura e spesso mi dice: “è la tua sindrome a non permetterti di fare o dire quella cosa.”

L’essere umano è un essere sociale, nessuna ombra di dubbio su ciò, le prove sono tutte attorno a noi, in questi 40 anni nella mia città natale i locali si sono letteralmente moltiplicatati per dieci, ogni via del centro storico e pervasa da persone che beatamente mangiano e bevano.

E in questo caotico contesto, io mi sento fuori posto.
In verità mi sento peggio.

“Solo gli inquieti sanno com’è difficile sopravvivere alla tempesta e non poter vivere senza.”
Emily Jane Bronte

È mai possibile? Non poter vivere senza la tempesta? Se è vero significa che il male che vive dentro di noi, l’oscurità che inquietamente riposa dentro di me non può esser scacciata, perché senza non sopravviverei.

La mia è un’oscurità di pensiero, come incese Goya nella sua acquaforte, un’oscurità che genere mostri.

Sapete, a volte quando si esce c’è il rischio d’incontrare un maleducato, soprattutto la sera nel mezzo della folla, in una giornata di festa, a volte è un bicchiere lasciato sopra l’auto o un parcheggio fuori posto che obbliga a suonare quel clacson che diventa inesorabilmente fastidioso dopo il quarto tocco. Qualcuno arriva a mandarti a fanculo, qualcun altro fa peggio e osa minacciarti, sono ragazzi per lo più ubriachi. Che fai? Lasci perdere.
Ogni tanto rispondo con un cortese va fanculo, di più non posso, sono un pacifista, un’individuo che non crede alla violenza. Sarà vero?
A volte mi sento come quel bambino, oggi lontano, che incapace di reagire alla violenza, si chinava, chiudeva gli occhi e aspettava che tutto finisse, oggi quel bambino è adulto e aspetta ancora che tutto finisca senza reagire a volte però, il mostro che quietamente dorme all’ombra del cuore vorrebbe uscire e mangiare, mangiare chiunque osi fargli del male. La mia compagna in certe situazioni mi dice che sono un codardo ed ho paura. È vero non reagisco, ma non per paura di farmi male, ma per paura di farne agli altri.

Il bello della scrittura, così come dell’arte è questo, liberare le inquietudini e con loro attraverso il colore o l’inchiostro dare forma alla violenza che vorremmo elargire senza tanta parsimonia, ma non possiamo, né dobbiamo, perché è immorale ed’eticamente sbagliato.

Che dire di questi giorni trascorsi? Non posso dire, certo, che non ci siamo divertiti, io, la mia compagna e Frida. Ci siamo divertiti, questa, forse, è l’unica cosa che realmente conta.
Alla fine la vita è questa, un susseguirsi di momenti che viviamo senza una reale emozione, se non quella che indossiamo per l’occorrenza.

Pubblico o no?
Stavo per non pubblicare, rileggendo mi è parso tutto un pò troppo cupo oltre che un pò cinico, tante parole, per dire cosa poi? Faccio prima a scrivere: la società fa schivo e basta. Evito tutta questa tiritera.
Ma chi mi legge da un pò credo abbia capito che scrivo quel che mi passa per la testa senza tanto riguardo alla forma e alla lunghezza del contenuto. Scrivere come dipingere conduce all’anima, potrei scrivere del nulla o del vuoto e scandagliare ugualmente confini della mia anima.

Avete mai provato a disegnare o descrivere il mostro che riposa all’ombra del vostro cuore? Avete mai pensato chi si nasconde in quell’ombra? Che forma ha? Di cosa ha fame?

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Una cosa ho imparate con l’età, tutto quel che l’ombra nasconde alla luce ha un altro aspetto.

“In una figura, cercate la grande luce e la grande ombra, il resto verrà da sé.”
Èdouard Manet

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La solitudine del diverso

In questi giorni la mia compagna, con estremo piacere, ha recuperato dei giorni di ferie. Ieri siamo usciti insieme a Frida, ci siamo ritirati alle 23:30.

Sono le 07:10 in questo momento, di solito sono in strada con Frida per i bisogni. Stamattina come di consueto ho aperto la porta e sono uscito, di norma Frida mi segue ed esce, puntualmente, subito dopo, oggi si è avvicinata mi ha guardato uscire e dopo è tornata in cuccia 😀 ancora stanca per la passeggiata di ieri 😀

Dopo la montagna è toccato al mare. Ieri, lungo il tragitto per andare in un piccolo paese dove era stato organizzato uno street food, abbiamo attraversato tutto il litorale etneo: Giardini Naxos, Taormina, Letojanni, Sant’Alessio Siculo ecc. ecc. tutte bellissime località di mare. Potevamo non fermarci per presentare il mare a Frida?

Eccola in spiaggia.

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Non c’era, quasi, nessuno solo qualche famiglia, tra queste una mamma con un bambino di 10 anni che ha, subito, fatto amicizia con Frida.
La mamma del bambino ha raccontato alla mia compagna che il piccolo era affetto da un forma leggera di autismo, una forma che lo rendeva incapace di distinguere il bene dal male e di conseguenza incapace d’essere diffidente, si vedeva chiaramente la sua diversità, perché si comportava come Frida, mostrando una spontaneità e un affetto uniche e Frida non è stata da meno. I cani, come molte altre creature diverse dall’uomo, sono capaci di capire chi gli si pare davanti, si è comportata con molta tenerezza e dolcezza facendosi toccare e strapazzare come mai prima o come solo io e la mia compagna facciamo. I cani capiscono e riconoscono le disabilità, capiscono quando la loro guida sta male e a loro modo se ne prendono cura.

L’autismo.
L’autismo non è una malattia, è un disturbo e riguarda la sfera del neurosviluppo che coinvolge linguaggio, socialità e comunicazione. Il disturbo è caratterizzato da interessi ristretti e comportamenti ripetitivi, nelle forme più gravi. Sono in tanti ad esserne affetti, tanti piccoli mondi che vivono nel silenzio e la maggioranza non riesce ad avere accesso ad una appropriata valutazione. Per questo motivo, vivere nello spettro è una condizione complessa sia per chi ne soffre che per i famigliari.

Personalmente ne so qualcosa, la sindrome di asperger, una forma particolare di autismo, molto difficile da diagnosticare.

“Sono strano, è quello che dicono tutti. A volte non capisco di cosa parlano le persone e questo mi fa sentire solo anche se c’è altra gente intorno a me.”
Keir Gilchrist 

La solitudine del diverso, c’è differenza tra sentirsi soli ed esser soli.

“È molto facile accettare e amare chi è uguale a noi, ma con qualcuno che è diverso è molto difficile, e tu ci hai aiutato a farlo.” Verso tratto dalla favola: Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare di Luis Sepúlveda.

È importate questa distinzione, perché esser soli, vivere l’isolamento con la natura della propria mente, non è sentirti soli, soffrire di solitudine, sentire il disagio sgorgare dalla pelle, le mani tremare e il cuore cercare disperatamente una fuga, è ben diverso, è un sentirsi diverso da chi ci sta accanto.
Qualcuno dirà: siamo tutti diversi.
Ed è vero! Tutti siamo diversi. La differenza è nel modo in cui la società, l’individuo ci guarda.

“La differenza genetica più importante tra le nevrosi e le psicosi: la nevrosi sarebbe l’effetto di un conflitto tra l’Io e il suo Es, mentre la psicosi rappresenterebbe l’analogo esito di un perturbamento simile nei rapporti tra Io e mondo esterno.” Sigmund Freud.

Osservando il mondo, i suoi comportamenti, i nostri comportamenti, non posso non pensare che la nostra società sia pervasa nella sua diversità, quella che ci distingue, da una paura intrinseca, una psicosi che ci rende, indifferenti e al tempo stesso generosi, paurosi e al tempo stesso violenti.

Gli occhi di un cane, vedono in modo diverso, perché diverso è il suo cuore.

«Ho paura! Mamma!» stridette Fortunata.
Zorba saltò sulla balaustra che girava attorno al campanile. In basso le auto sembravano insetti dagli occhi brillanti. L’umano prese la gabbiana tra le mani.
«No! Ho paura! Zorba! Zorba!» stridette Fortunata beccando le mani dell’umano.
«Aspetta. Posala sulla balaustra» miagolò Zorba.
«Non avevo intenzione di buttarla giù» disse l’umano.
«Ora volerai, Fortunata. Respira. Senti la pioggia. È acqua. Nella tua vita avrai molti motivi per essere felice, uno di questi si chiama acqua, un altro si chiama vento, un altro ancora si chiama sole e arriva sempre come una ricompensa dopo la pioggia. Senti la pioggia. Apri le ali» miagolò Zorba.
La gabbianella spiegò le ali. I riflettori la inondavano di luce e la pioggia le copriva di perle le piume. L’umano e il gatto la videro sollevare la testa con gli occhi chiusi.
«La pioggia. L’acqua. Mi piace!» stridette.
«Ora volerai» miagolò Zorba.
«Ti voglio bene. Sei un gatto molto buono» stridette Fortunata avvicinandosi al bordo della balaustra.
«Ora volerai. Il cielo sarà tutto tuo» miagolò Zorba.
«Non ti dimenticherò mai. E neppure gli altri gatti» stridette lei già con metà delle zampe fuori dalla balaustra, perché come dicevano i versi di Atxaga, il suo piccolo cuore era lo stesso degli equilibristi.
«Vola!» miagolò Zorba allungando una zampa e toccandola appena.
Fortunata scomparve alla vista, e l’umano e il gatto temettero il peggio. Era caduta giù come un sasso. Col fiato sospeso si affacciarono alla balaustra, e allora la videro che batteva le ali sorvolando il parcheggio, e poi seguirono il suo volo in alto, molto più in alto della banderuola dorata che corona la singolare bellezza di San Michele.
Fortunata volava solitaria nella notte amburghese. Si allontanava battendo le ali con energia fino a sorvolare le gru del porto, gli alberi delle barche, e subito dopo tornava indietro planando, girando più volte attorno al campanile della chiesa.
«Volo! Zorba! So volare!» strideva euforica dal vasto cielo grigio.
L’umano accarezzò il dorso del gatto.
«Bene, gatto. Ci siamo riusciti» disse sospirando.
Da: Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare di Luis Sepúlveda

Chi comprende questa differenza è sulla buona strada. Qual è strada? 🙂

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Ricordi in bianco e nero

Questo post potrebbe suscitare un pò di malinconia, avviso, dunque, i lettori, liberi di passare oltre.

Ieri sono stato al funerale di un parente, negli ultimi due anni, il quinto.
In questi (due) anni, se ne sono andati tanti pezzi del mio passato, quel passato costruito su quel nucleo di parenti vicino per affetto ai miei genitori, zii, prozii e cugini.

Così come è accaduto per i precedenti funerali, una frase si è ripetuta: “Ci si ritrova solo ai funerali”.
Parenti persi che si ritrovano. Se poi il grado di parentela dello scomparso o scomparsa è, più o meno, lontano le facce che si rivedono possono essere irriconoscibili e in molti casi sconosciute.

Ho rivisto cugini che non vedono, letteralmente, da quando ero bambino.
Mi fa riflettere il fatto che non li ricordavo per nulla, completamente dimenticati.
Siamo cosi presi dalle nostre vite o al contrario così presi dalla vite di persone che non conosciamo e a cui non siamo legati, che scordiamo i tanti legami che intrecciano ed hanno intrecciato le nostre famiglie.
A volte vedo su Facebook o twitter (le poche volte che entro) postare contenuti su vip e personaggi famosi neanche fossero parenti stretti e con quale solerzia ci si dedica attenzione e tempo.
Siamo presi dalle nostre vite ed è forse questo il problema che rende la società attuale, una società decadente.

Egoismi di varia natura e contenuto ci incatenano all’io, lasciandoci a volte privi di memoria.
Memorie che ci sono, ma vengono confinate in stanze buie.
Ieri mi sono ricordato di una vecchia auto di mio padre, una Fiat 127 bianca, delle gite per andare a trovare i cugini al paese e di vecchi sapori e odori, oramai, estinti.
Oggi, quei cugini hanno i capelli bianchi e come me a malapena ricordano quei momenti.
Però, non mi condanno. Non ricordo, né ho fatto nulla per mantenere i contatti, non mi condanno per questo.
La mia natura riservata e timida, forzatamente isolata, costretta a isolarsi, non ha mai avuto bisogno di contatti, me ne dispiace, ma non mi condanno.
Il meglio di me l’ho appreso stando solo, sono, sempre, stato bene da solo o forse ho imparato, semplicemente, a stare bene da solo.

“Cantate e danzate insieme e siate felici, ma fate in modo che ognuno di voi sia anche solo, come sono sole le corde di un liuto, sebbene vibrino alla stessa musica.”
Khalil Gibran

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Voci

In questo spazio ho sempre raccontato le mie impressioni il mio vissuto a volte con delicatezza, altre senza badare tanto alla forma e alla sensibilità di chi legge.

Come ho scritto ieri, manca ancora una festa per la conclusione del Natale, così come lo intendo io e lo sempre vissuto fin da piccolo, ossia riunioni di famiglia, pranzi e cene. Per me e la mia compagna che è già a lavoro, le feste sono concluse, la quotidianità è già arrivata. Ci sarà, forse, una piccola serata che passeremo da soli il 6, una serata non diversa dalle tante altre che viviamo durante l’anno, chissà, magari, la passeremo fuori città, nulla è ancora scritto.

Devo esser sincero, se penso ai giorni appena passati, alle sensazioni che ho vissuto e provato, la sensazione di solitudine è stata prevalente e incessante.
È stata la prima voce che ho scritto, la voce che più di tutti si è ripetuta, la voce che è sempre presente, chiara e limpida. È riuscita persino a sovrastare la vecchia e cupa voce della colpa, quella che mi tormenta fin da che ho memoria.

Ma tranquilli c’è sempre qualcuno pronto a ricordarmi che esiste, anzi, esistono.

Le colpe!!! Vera o immaginarie.
E sì! Come per la grande opera di Molière, esistono anche le colpe immaginarie, quelle che mi creo (ci creiamo) per punirmi delle scelte che non sono state condivise o accettare da chi amo (e amiamo).

Ho accanto a me colpe così vecchie che quasi non ricordo più perché esistono, so solo che ci sono.
Anche questo Natale mi sono state ricordate le mie colpe:
“Non ci sei stato e non ci sei.”
“Non la vivi.”
“Potresti ogni tanto chiamarla. (Anche se, quasi, ogni settimana sono da lei, nelle stagioni belle, ogni settimana. Perché ricordarlo?)”

Si parla di mia Madre, che da un anno a questa parte, da quando mio padre non c’è più, sembra aver perso la felicità, sembra esser diventata assillante, con mia sorella e i miei nipoti (ma è il primo anno, potrebbe esser normale). Ovviamente nelle feste sente più la mancanza, la nostalgia e anche questo credo sia normale.
Purtroppo (o per fortuna dipende dai punti di vista) loro vivono adiacenti a lei, stesso palazzo. Io, invece, vivo in un’altra città (paesino più che città) ed è quasi diventata una colpa. Perché, a detto di chi le sta accanto, io le sto poco vicino e non le parlo.
Dire a me non le parli (non parlo) è la verità. Io non parlo, sono di poche parole, sempre stato di poche parole, sempre stato riservato, all’apparenza, quasi, anaffettivo (con i miei parenti).
Quant’è facile, descrivere i miei traumi, quando a tavola tutti riuniti elencano i motivi della mia riservatezza, della mia timidezza. Come la scuola infantile (se si può chiamare così) che mi ha legato perché mancino (i mancini sono figli del diavolo) costringendomi a diventare destro a forza o la scuola elementare che mi ha isolato dagli altri bambini per il mio modo di parlare o meglio non parlare l’italiano. (Nessuno se n’è accorto, che vuoi io non parlavo, come facevano i grandi a capirlo :-)) E mai, mai, mai da nessuno, un semplice: Come ti senti? Come stai? Anche ora. E ci torno, sempre, con il pensiero e le parole (qualcuno potrebbe dire, che sono questioni irrisolte :-))

Oggi che non c’è più, si parla anche degli errori di mio padre, ma sempre con le dovute cautele, non sia mai la verità ferisca mia madre.
La tuteliamo e la tutelo, anche dai suoi ricordi.
Io rimango il timido, sono sempre stato il timido, comunque e sempre. Quello del: Tranquilli! Lui è così, è buono e non si muove. 🙂 è il suo carattere. La frase più bella: Gli scivola tutto 🙂 Con il tempo, alla fine, ci credi anche tu, che sei così (frase fatta, banale quasi, ma un fondo di verità ce l’ha). Se un’idea viene ripetuta e ripetuta e ripetuta, può diventare una verità, diventa una verità.

Mi sono sentito per lungo tempo solo e ancora, oggi, mi sento solo. Mi sono sentito solo anche il 25, il 26 e l’1, solo in mezzo alle persone che conoscevo e amavo e ancora amo, tra botti e brindisi.

Non credo riuscirò mai ad eliminare questa sensazione.
Perché credo sia una scelta, fatta tanto, tanto, tempo fa, per salvarmi dalla parte brutta di questo mondo.
Una parte di me resterà sempre isolata, anche in mezzo alla gente e in verità tutto questo non mi rende triste, non più.

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La sensibilità di chi legge (chi mi legge abitualmente ne ha tanta di sensibilità) potrebbe dispiacersi per quel che ho, appena, scritto, non dispiacetevi, non c’è motivo 😀

Buona giornata.

Soli in mezzo al mare.

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Vi siete mai sentiti soli, con tanta gente attorno?
Me lo chiedo, avrei motivi per sentirmi solo? Certo che no!
Ho una compagna che amo e tutto sommato, osservando dalla finestra il mondo, sono fortunato ad esser qui, in questo momento e non in altri luoghi, dove il fuoco brucia e lascia cenere.

Ma quella sensazione, io la sento spesso. A detta di chi mi conosce, è il mio carattere riservato a rendermi solo.
Scrivo come se fossi un estroverso, una persona capace di comunicare, attirare e sconvolgere se voglio, è successo, anche qui in passato.

Ho in testa e mi martella la tesa e soffocante melodia di Hurt è sento la voce di Johnny lacerare il tempo.

“Oggi mi sono fatto del male
Per vedere se ero ancora in grado di sentire,
Mi sono concentrato sul dolore,
la sola cosa reale”

Come sento reali le parole di Cash.
Sentirti soli, è un farsi del male, per vedere se qualcuno si accorge di te.