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Le 8:00 la campanella suona

La mattina, come ogni buon papa di un cucciolo, porto fuori il mio amico, pardon 🙂 nel mio caso, la mia amica, per il consueto giro bisognini. La passeggiata è sempre la stessa, cambio le direzioni, ma le strade e i luoghi frequentati sono sempre gli stessi.
Uno di questi luoghi è una piccola piazza, chiamata dai residenti, la “piazza dei cannoni”, per la presenza di due vecchi cannoni della seconda guerra mondiale. Tra gli edifici presenti una scuola elementare. Qualche volta, la volta che faccio tardi, mi capita di arrivare in piazza, verso le 07:40, dopo aver fatto passeggiare Frida tra le aiuole, mi siedo insieme a lei, in una della tante panchine.
È successo anche oggi. Alle 08:00 in punto è suonata la campanella. I ragazzini e le ragazzine fin a quel momento raggruppati in varie zone della piazza, iniziano a correre, ed uno dopo l’altro varcano l’ingresso della scuola.
Oggi, ho guardato con una certa nostalgia quell’antico e infantile passaggio.
Come ho raccontato, più volte, non ho figli, non ho quindi neanche la gioia o lo stress (ho sentito definirlo in entrambi i modi) di vedermi lasciare i bambini all’uscio della scuola, ho solo il ricordo d’esser stato allunno.

Quando si è un pò sottotono, la mente agisce per ristabilire l’equilibrio. Richiamare momenti del passato credo sia un meccanismo normale e necessario. L’associazione di eventi passati felici ad eventi quotidiani, ristabilisce lo status di normalità, che non è certo quello di sofferenza, tristezza o stanchezza.

Non vi sto adesso a raccontare il mio passato, mi viene solo da elencare immagini e suoni, quelle immagini e suoni che innescano nella mia memoria: i ricordi.

“Quando non sarai più parte di me, ritaglierò dal tuo ricordo tante piccole stelle, allora il cielo sarà così bello che tutto il mondo si innamorerà della notte.”
William Shakespeare

Ricordi e poesia si sposato bene.

La campanella.

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La cartella.

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Le foto di gruppo e il grembiule.

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Pensavo l’avessero abolito, invece ho visto alcuni bambini indossarlo.

Immagini che rievocano momenti d’un passato che non c’è più.
È una mia scelta, estrarre da questo momento e da tutti quelli che si avvicenderanno, un sorriso o una lacrima.
Stamattina è uscito un sorriso.

P.S.
Negli ultimi post ho ricevuto commenti alquanto critici su quanto scritto, nulla di inaspettato e negativo. anzi ho apprezzo. Come vedere o meglio leggete, però, sono in grado benissimo di regalarvi pensieri più o meno sereni, per nulla contorti e disperati. Chi mi legge da tempo sa che posso essere profondamente creativo.
Mi piace scrivere e non mi precludo nessun cielo o mare da esplorare, sono abbastanza forte (cosi mi ripete sempre la mia compagna e so di esserlo) da riuscire a sopportare qualunque momento brutto la vita mi riserva e mi riserverà. Non ho problemi a scrivere, disegnare e dipingere le mie emozioni e sensazioni, anche le più dolorose e oscure. Non riesco a esporle con la parola, mio punto debole, ho altri mezzi però, la sorte per fortuna mi ha concesso altre virtù.

 

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Topolino

La scorsa sera ho letto in rete un articolo che ha fatto riaffiorare nella mia mente un’ondata di ricordi. Come ho scritto altrove, ad una certa età basta poco per riaprire le porta del passato.
Tornando all’articolo, esso titolava:

Nuova Fiat Topolino
Compatta, divertente e 100% elettrica.

L’articolo come si evince dal titolo descriveva la nuova nata di casa Fiat.
Nata certo, nuova dipende dai punti di vista. La Topolino è e resta un’icona anni 50.
Ora! Per non so quale recondito motivo mi è venuta in mente una delle auto di mio padre, una vecchia 127 bianca.

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Auto che mio padre ha guidato tra gli anni 80 e 90.
Palando di vacanze e ricordando quell’auto mi sono venute in mente le gite estive ai lidi e le cosiddette “scampagnate”.

Come ho più volte sottolineato nei miei post sono un uomo riservato, una mia abitudine durante le gite era distaccarmi dal gruppo familiare e andare da solo in esplorazione, in una occasione ho anche beccato un paio di ceffoni da mio padre, mi ero allontano per parecchie ore causando un certo allarmismo negli adulti, al ritorno, perché tornavo sempre, mi sono beccato una bella sgridata e i due ceffoni. Mi sembrava normale allontanarmi, non sentivo il bisogno di restare e giocare con i miei cugini, sentivo invece il bisogno di restare solo e camminare, dal momento che ho iniziato a muovermi ho amato camminare, non avevo paura nonostante i miei 12 anni, né delle strade, né di stare solo, è anche vero però che erano altri tempi e altre strade. Molte volte mi accompagnava nella passeggiata un sottofondo musicale.
Gli anni 80 sono stati gli anni dei walkman. Con le cuffie nelle orecchie ascoltavo la musica che più mi piaceva, era anche l’era della cassetta registrabili, ricordo che mi sono creato le mie liste, registrate direttamente dalla radio.

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Oggi fare una lista è facile, ai tempi dovevi stare ore ad ascoltare le radio.
Un pò di nostalgia unita alla solitudine, ecco che nasce l’anima che soffre.

“Conosco vite della cui mancanza non soffrirei affatto – di altre invece ogni attimo di assenza mi sembrerebbe eterno.”
Emily Dickinson

Discernimento.

“Non si può pensare bene, amare bene, dormire bene se non si è pranzato bene.”
Virginia Woolf

Ecco la fonte dei nostri guai. 🙂

Vi regalo un giro di melodie, le stesse che risuonavano in quelle cassette:

Cuore

Icone

Brividi

Bandiere

Dediche

Sicilia

Mare

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Momenti

Sono passati parecchi giorni dall’ultimo post, sono entrato molte volte con la creativa intenzione di scrivere un pensiero, ma nulla m’ispirava, nonostante gli eventi da cui prendere spunto erano tanti.

Stamattina una piccola e bellissima creatura si è posata sulla mia finestra, e come uno scrigno che per magia si apre, l’ispirazione si è svegliata.

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Questa piccola farfalla svolazzava davanti alla finestra, ad un certo punto si è, persino, messa in posa per qualche scatto, per poi volar via, verso, mi auguro, parchi più fioriti.

“La farfalla non conta i mesi ma i momenti e ha tempo a sufficienza.”
Rabindranath Tagore

La mente è una macchina straordinaria basta un’immagine per aprire momenti fatti d’emozioni, di suoni e stagioni.

Ricordo i momenti in cui guadavo le farfalle e le disegnavo. Da solo in silenzio con il capo chinato, immobile e solo la mano a muoversi su quell’ultimo banco isolato, mentre i compagni in gruppo giocavano, ridevano e aspettavano che la campanella suonasse.
Ad un certo punto alzavo gli occhi e li vedevo, uno, due, tre, e poi quattro compagni che osservavano la mia mano far nascere la farfalla e per un momento un lungo e felice momento, non ero più lo strano, il ragazzo silenzioso seduto all’ultimo banco, ma l’artista che incantava con la magia della sua mano.

Un sorriso a tutti.

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30 anni di meraviglie?

Il pensiero che sto per condividere era nelle mie intenzioni già da un pò, ma ho rinviato per vari motivi.

Il post riguarda quel che è successo in Romagna, ora, più che concentrami sull’alluvione, voglio fare un tuffo nel passato.

In qualche scatolone ho ancora conservati una serie di quadernoni con tesine e diagrammi del periodo scolastico, scuole medie per l’esattezza.

Ricordo benissimo alcune tesine di fine anno, tesine che riguardavano il buco nell’ozono, l’inquinamento degli oceani e il disboscamento selvaggio attorno alle area urbane.

Sono trascorsi trent’anni da quegli scritti. Trent’anni sono tanti, ben oltre un quarto di secolo, se penso a quel che si è costruito dal 1975 al 2000, non posso non esclamare, tanta roba!!!

  • Il telefono fisso.
  • Il videoregistratore.
  • Il walkman.
  • Internet, con tutto quello che ne è derivato, e tanto altro.

In trent’anni la sicurezza del territorio, sicurezza relativa agli argini dei fiumi e delle strade e alle metodologie di costruzione di ponti e palazzi, sarebbe dovuta evolversi insieme al tutto il resto, abbastanza, per lo meno, da impedire sciagure gravi. È vera questa ipotesi?

Da quel che è successo in Romagna ora e nelle altre parti d’Italia prima, direi proprio di no.

Nulla di speciale, romantico o particolarmente malinconico, questo ultimo pensiero è una riflessione che mi è nata qualche giorno fa, ricordando la scuola e osservando le meraviglie della scienza.

Tanto meravigliose da un lato e altrettanto desolanti dall’altro.

Oggi mi limito a questo. Riflettiamo.

In qualche parte in Italia.

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La bella Campania.

Nel resto del mondo le cose non sono migliori.

Trent’anni!!!! Anche meno.

Chissà dove vive oggi il nostro simpatico cugino?

Spero non stia come quest’altro bianco amico.

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Il futuro non è roseo, però, per entrambi gli amici che rischiano la sorte di questa piccola lumachina.

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Le cose non sono migliore sotto la superficie degli oceani.

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I pesci mangiano la plastica, noi mangiamo i pesci. :-/

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Plastica!!! Sempre lei, cosi usata, forse troppo.

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Persa per sempre.

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100 anni.

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Chissà che mondo troverà il prossimo pescatore tra altri 100 anni?

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Brividi d’azzuro

L’altalena.
L’altalena è tante cose, è tante età e le età sono memoria, quindi l’altalena è memoria.
Forse non lo sapete, l’altalena è anche un’opera teatrale, scritta da un grande sceneggiatore e poeta siciliano Nino Martoglio.
Martoglio scrisse L’Altalena o Voculanzicula nei primi anni del Novecento. La commedia narra la storia di una giovane orfana, Ajtina, che abbandonata dal cosiddetto fidanzato, Mariddu, cerca conforto ed aiuto nella famiglia di lui, non trovandolo nella madre, Donna Flavia, ma soltanto nel fratellastro, Neli. Mariddu, ingelositosi, la ferisce e viene arrestato. Quando esce dal carcere vorrebbe riallacciare la relazione, ma Ajtina, a quel punto, preferisce il fratellastro Neli che durante quel lungo periodo, l’ha aiutata ad andare avanti con grande generosità, palesandole il suo amore seppur con tanta timidezza.

L’altalena è anche una canzone di Orienta Berti.

L’altalena è quindi tante cose, è e rimane, però, un brivido, un brivido di gioia che attraversa il tempo, che tu sia un bambino di 8 anni o un adulto di 50, quel brivido ti acchiappa il cuore, lì, proprio lì, in quel preciso momento, quando i piedi sono cosi alti che l’unica cosa che vedi è il cielo azzurro e le bianche nuvole.

Sapete non solo a noi piccoli esseri umani piace l’altalena e non solo?!

https://youtube.com/shorts/MruriEZYl9M?feature=share

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Suoni e ricordi

Come ho promesso alla fine dell’ultimo post, niente argomenti cupi, niente sofferenza e dolore, e niente lunghissimi pensieri.

Condivido, invece, un video (pochi secondi), realizzato stamattina mentre portavo a passeggio Frida, tra i tanti suoni uno fra tutti si distingueva, l’inconfondibile suono delle onde che si tuffano tra gli scogli, il mare oggi parlava e giocava.

Ho sempre avuto un ottimo senso dell’orientamento, osservando il mare, mi è tornata alla mente l’estate e un episodio adolescenziale. Da bambino, 10 anni più o meno, avevo l’abitudine di esplorare. Durante le vacanze scolastiche, mentre la mia famiglia era in spiaggia o in cabina, all’epoca si radunava l’intera famiglia, mia madre, mio padre, mia sorella, i miei zii con i loro figli e i miei nonni, io, da solo, andavo ad esplorare il lido a volte allontanandomi oltre i suoi confini, raggiungendo la strada e i quartieri vicini. Dopo un’ora di esplorazione tornavo alla base, non mi sono mai perso, per un bambino di 10 anni non è male. 😀

Le sensazioni che ricordo sono controverse, tra le tante ricordo il desiderio di curiosare, osservavo le scene, i paesaggi, già allora come composizioni.

“In qualche modo non credo che ci siano sommità tali che non possano essere scalate da un uomo che conosce il segreto di realizzare i sogni. Questo speciale segreto, mi pare, può essere sintetizzato nelle quattro C. Queste sono curiosità, fiducia, coraggio e costanza, e la più grande di tutte è la fiducia. Quando credi in qualcosa, credici fino in fondo. In modo coinvolgente ed indiscutibile.”
Walt Disney

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Ricordi in bianco e nero

Questo post potrebbe suscitare un pò di malinconia, avviso, dunque, i lettori, liberi di passare oltre.

Ieri sono stato al funerale di un parente, negli ultimi due anni, il quinto.
In questi (due) anni, se ne sono andati tanti pezzi del mio passato, quel passato costruito su quel nucleo di parenti vicino per affetto ai miei genitori, zii, prozii e cugini.

Così come è accaduto per i precedenti funerali, una frase si è ripetuta: “Ci si ritrova solo ai funerali”.
Parenti persi che si ritrovano. Se poi il grado di parentela dello scomparso o scomparsa è, più o meno, lontano le facce che si rivedono possono essere irriconoscibili e in molti casi sconosciute.

Ho rivisto cugini che non vedono, letteralmente, da quando ero bambino.
Mi fa riflettere il fatto che non li ricordavo per nulla, completamente dimenticati.
Siamo cosi presi dalle nostre vite o al contrario così presi dalla vite di persone che non conosciamo e a cui non siamo legati, che scordiamo i tanti legami che intrecciano ed hanno intrecciato le nostre famiglie.
A volte vedo su Facebook o twitter (le poche volte che entro) postare contenuti su vip e personaggi famosi neanche fossero parenti stretti e con quale solerzia ci si dedica attenzione e tempo.
Siamo presi dalle nostre vite ed è forse questo il problema che rende la società attuale, una società decadente.

Egoismi di varia natura e contenuto ci incatenano all’io, lasciandoci a volte privi di memoria.
Memorie che ci sono, ma vengono confinate in stanze buie.
Ieri mi sono ricordato di una vecchia auto di mio padre, una Fiat 127 bianca, delle gite per andare a trovare i cugini al paese e di vecchi sapori e odori, oramai, estinti.
Oggi, quei cugini hanno i capelli bianchi e come me a malapena ricordano quei momenti.
Però, non mi condanno. Non ricordo, né ho fatto nulla per mantenere i contatti, non mi condanno per questo.
La mia natura riservata e timida, forzatamente isolata, costretta a isolarsi, non ha mai avuto bisogno di contatti, me ne dispiace, ma non mi condanno.
Il meglio di me l’ho appreso stando solo, sono, sempre, stato bene da solo o forse ho imparato, semplicemente, a stare bene da solo.

“Cantate e danzate insieme e siate felici, ma fate in modo che ognuno di voi sia anche solo, come sono sole le corde di un liuto, sebbene vibrino alla stessa musica.”
Khalil Gibran

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Muro e scalino

Ieri, ma non solo, mi sono lasciato trasportare ed ho scritto parecchio, forse, troppo.
Vorrei oggi esser più sintetico (vorrei e dovrei esserlo sempre) ed evitare, ed evitarvi pensieri contorti, ma soprattutto malinconie e tristezze. La semplicità non per forza è sinonimo di superficialità. Concentrare pensieri e intenzioni in un unico flusso, ottimizza il tempo e come ho scritto in passato, il tempo ha un valore. Ma quando si racconta ci si perde tra le parole.

Da piccolo (tra i 4 e 5 anni più o meno) vivevo con i miei genitori in un piccolo appartamento, era al primo piano di una vecchia palazzina, in un quartiere popolare dell’allora mia città.
Si accedeva da un portone piccolissimo e da una rampa di scale dritta, ricordo ancora la sensazione di salita. Dopo la scuola scendevo e mi sedevo ai primi gradini con il portone aperto e disegnavo sul muro, così ho iniziato a scoprire il mio talento. Questi sono tra i pochi momenti sereni che ricordo d’aver vissuto, anche se dopo mi costavano una sonora sgridata. 🙂

Ora, non posso riportarvi il muro con quel che disegnavo, posso condividere, però, alcuni ricordi sotto forma di immagini. Di quel periodo ho conservato, infatti, parecchi disegni su carta, non so se vi fare piacere, ma potrebbero far riaffiora anche a voi ricordi infantili. Perché disegnavo ciò che vedevo e all’epoca cosa un bambino vedeva o leggeva dopo scuola?

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Il mio Topolino

e poi:

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Il mio Paperino

Per le fanciulle:

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La mia Pollon

La settimana di Natale è iniziata, pochi giorni ancora.
Mi sembrava scontato inserire le solite immagine natalizie. Preferisco celebrare questa settimana, ricordando l’infanzia e l’adolescenza, il periodo che più è vicino all’essenza di quel che rappresenta il Natale.

Buon inizio di settimana e buon arrivo al Natale.

C.

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Tradizioni

Sicuramente ci avrete fatto caso ma manca poco a Natale :-)))
Ho letto da qualche parte che è una delle feste più controverse. Tanto amata e al tempo stesso tanto odiata.

Da quel che dicono è colpa delle luci. Una metafora ovviamente. Le luci hanno il pregio di mettere in risalto ciò che è in ombra e in questo periodo di riunioni, di convivialità, chi è solo, chi soffre di solitudine, si sente ancor più solo, chi ha poco e non può dare e fare tanto, sente di esser ancor più povero.
Poi c’è l’assenza di chi se ne andato per colpa di questi due anni, anche questa è un’ombra che la luce mette dolorosamente in evidenza. Questo è ciò che soffre chi non ama, tanto, questo periodo.

Oggi, voglio, però, soffermarmi sulle tradizioni e i ricordi che esse tramandano.
Il legame più forte che ho con questo periodo è legato al presepe.
La mia spiccata creatività e manualità, mi ha sempre messo nelle condizioni di poter e saper fare lavoretti artistici. Il presepe è una costruzione tutto sommato, molto vicina alle creazioni artistiche.
Composizione, decorazione, elementi che sono alla base di qualunque lavoro creativo, compreso il presepe.

Da tradizione mia madre usciva le decorazioni e gli addobbi, l’8 Dicembre, e negli ultimi 48 anni si è sempre fatto così ed ho continuato a far così, anche quando ho lasciato casa dei miei genitori.

L’8 Dicembre, quindi, ho uscito addobbi, pastori e luci e insieme alla mia compagna abbiamo iniziato a rendere il nostro appartamento più natalizio. Lei si è adoperata sull’alberello, io sul presepe.

Al di là del significato religioso che è relativo, da piccolo, infatti, non capivo la natività e la fede che viveva dietro quel piccolo bambino di plastica, oggi, al di là del significato, è il ricordo che mi spinge ogni anno a prendere i pastori e posizionarli in quel piccolo scenario fatto di carta e cartone. Mi ricorda i nonni, le mie nonne per esser precisi. Per esser corretti, più che precisi, una nonna, l’altra in verità era la prozia di mia madre, per me era la nonna, sempre chiamata nonna e sempre resterà la mia nonna.
Perse da giovane. Le uniche, in particolare la pro pro zia, ad avermi dimostrato amore.
Quell’amore fatto di piccoli atti di gentilezza.

Mia madre mi ha avuto molto, molto giovane. Dietro aveva ed ha una storia triste e dolorosa. Molto giovane, troppo giovane per saper crescere un bambino, troppo ignorante (non lo cito come un difetto, né con disprezzo, ma come una condizione sociale comune dalle mie parti)  per capire le necessità di un bambino.
Mio padre poi, il maschio siciliano. Non era neanche colpa sua, uno stereotipo sociale che purtroppo per lungo tempo ha marchiato gli uomini siciliani. Non sono stati capaci, non sapevano come fare, non avevano l’educazione, mia madre, in particolare, non ha avuto l’esempio di come si dava affetto, si davano carezze, baci, non le ha avute lei, non le ha sapute dare. Ha fatto il possibile, più di quando poteva per prendersi cura di me e mia sorella, ha dato l’immenso amore che aveva nell’unico modo che sapeva fare.

Non voglio rattristare me, né chi legge, quindi, abbandono il racconto e il passato. Ho un ricordo ed insieme ad esso un’emozione, una delicata emozione. Quel ricordo e questa emozione è quel che voglio condividere.
E lo faccio attraverso questa immagine.

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Ciao Nonna