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Brutte abitudini

Eccomi ancora una volta. Anche questo nuovo post sarà un po’ pesante, per lo meno dal mio punto vista.

 

Contenuto vietato ai minori di 14 anni.

 

Abitudini.

 

Di certo avrò già scritto in passato qualche riflessione sul tema, è abitudine tornare su pensieri già vissuti.

 

“L’enorme carico di tradizioni, abitudini e costumi che occupa la maggior parte del nostro cervello zavorra impietosamente le idee più brillanti e innovative.”

Josè Saramago

 

Vecchi e nuovi aforismi, perle gettate qui e lì. Un’altra mia abitudine.

Non è semplice percepire i nostri comportamenti e come un’espressione matematica, estrarli dalla formula. E da quella formula, tra gesti e parole, riconoscere le variabili e le costanti che ne incatenano la logica.

Stamattina mi è capitato di assistere ad una scenetta che non saprei definire.

Nelle ore che passeggio Frida, mi capita d’incrociare di continuo runner e ciclisti che corrono. Uomini e donne che, a passo di marcia, mi sorpassano a destra e a sinistra.

Oggi! arrivato in piazza, vedo una giovane ragazza, che fa piegamenti su una panchina. Esercizi, molto probabilmente per sciogliere l’acido lattico o mantenere i muscoli caldi dopo la corsa.

Ad una decina di metri, un gruppo di uomini, quattro per l’esattezza, la fissano ridendo, come si suol dire, sotto i baffi.

La ragazza in tenuta sportiva indossava una tuta molto aderente. Le temperature sono quasi primaverili dalle mie parti, è comune quindi vedere ragazze e ragazzi vestiti con tute aderenti – ideali per la corsa – sovente con braccia e gambe scoperte anche in questa stagione.

I movimenti della ragazza erano, se visti fuori dal contesto, abbastanza sexy, oserei dire erotici, si piegava a gambe divaricate, mostrando in tutta la sua tonicità il sedere.

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Non è la ragazza che ho visto, ho condiviso questo scatto preso dalla rete solo per far capire cosa quei quattro uomini vedono.

Un paio di volte ho visto due dei quattro uomini toccarsi i genitali, probabilmente in tutto questo non c’è nulla di male, un po’ d’imbarazzo io, però, l’avrei provato. Tante che i quattro ad un certo punto si sono avvicinati costringendo la ragazza accortasi del siparietto a riprendere la corsa, credo, un po’ infastidita.

 

Brutta abitudine, per l’uomo, questo comportamento. Il voyerismo è comune tra gli uomini, per molti potrebbe anche avere una logica e una sana utilità. Perché si sa! Guadare è sempre meglio che toccare.

 

L’uomo è attratto dalle forme della donna, è un fatto chimico. Le rotondità della donna sono una selezione naturale da parte dell’evoluzione. Lo scopo? Attrarre il maschio riproduttore che è in noi.

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A volte mi chiedo?

L’istinto a tradire è frutto dell’occasione che fa l’uomo ladro?

O è frutto della sua natura, frutto di quello sguardo intriso di libido e ormoni che non riesce a distogliersi da una scollatura o uno spacco?

Non sono perfetto, ho una moltitudine di difetti, il tradimento, per lo meno quello legato alla coppia, non mi è, però, mai appartenuto. Capita, sì, che l’occhio a volte cade, la moda attuale è troppo appariscente a volte. La mia natura riservata non mi ha, però, mai permesso di approcciarmi con altri esseri umani in maniera naturale, ho difficoltà già solo a trovare le parole per iniziare un dialogo, pensare a fare sesso con chi ho davanti non si è mai, neanche, palesato nell’anticamera dei miei pensieri. Triste? Per alcun teste di cazzo di certo. Ne conosce parecchi che mi considerano un fesso, per alcuni (umani legati dal sangue) persino un frocio. Ho visto stupore e sollievo anche nei miei parenti più stretti, il giorno che ho presentato la mia compagna. Abitudini che si percepiscono.

E devo scrivere da quel che ho vissuto e vivo, che era ed è ancora oggi, in certi ceti, un’abitudine per il siciliano essere maschio e virile.

Se c’è una donna o ragazza avvenente, con le forme ben in vetrina, è quasi un rito provarci, quasi un dovere guardarla come se mai donna avesse messo piede sulla terra. E alle donne piace tutto questo, magari non a tutte, ma a gran parte sì.

Da ragazzo, poi, non avevo un bel rapporto con il mio corpo, è questo frena nell’approcciarsi con l’altro sesso e mette davanti a noi a me in questo caso, tante inibizioni.

Le ha messe per lo meno. La maturità aiuta, l’esperienza aiuta, nel tempo qualche trucco s’impara.

Al di là di quel che si dice, di quel che diciamo noi timidi, noi sfortunati o sfigati, la solitudine non è mai una conquista, quando, invece, una eredità giunta per caso.

La brutta abitudine di sentici soli, non è poi così costante.

Aggiungo inoltre, che chi dice: “sto bene da solo o sola”, in realtà mistifica la verità e muta il vero significato della solitudine.

Perché di fatto non si è mai soli.

Siate onesti e oneste con voi stessi/e.

Le volte che si dice: “io sto bene da solo o sono sempre stato bene da solo o da sola”, in realtà non si vive la solitudine, ma una sorta di evasione da uno scorcio di vita, che vuoi o non vuoi, ci ha segnato e continua a segnarci.

Ritagliarsi un paio d’ore di solitudine, o un giorno, o persino una settimana, non basta a dare forma alla solitudine e alle sue profonde inquietudini.

Il mal di vivere, invece, è una costante e un’abitudine, una brutta abitudine.

 

“Qualsiasi essere amato – anzi, in una certa misura qualsiasi essere – è per noi simile a Giano: se ci abbandona, ci presenta la faccia che ci attira; se lo sappiamo a nostra perpetua disposizione, la faccia che ci annoia.”

Marcel Proust

 

Che frase triste e sconsolata, degna del più disilluso decadentismo.

Chissà!!! Visto i tempi, se mai fine abbia avuto questa corrente?

Il senso della frase sembra chiaro: Qualunque cosa facciamo non ci rende felice, non ci rende soddisfatti. È il mal di vivere.

 

Brutta abitudine.

 

Com’è che da tette e culi sono arrivato al mal di vivere?

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Sono onesto, in queste ragazze più che libertà, vedo un profondo mal di vivere.

Forse è questa la natura dello stupro. Fottersi la vita, fottersi il cervello.

Lo sappiamo cosa succede quando siamo in prende all’eros, al brivido che per pochi minuti ci rende illogici e incapaci di fermarci.

Uno, due, forse tre uomini su venti riuscirebbero a tirare fuori il loro pene quando dentro la donna lei dice: NO, BASTA.

Non so!!! Per la donna è lo stesso? Ho avete più controllo?

L’orgasmo è una bella abitudine, anche la verginità era una bella abitudine.

Oggi però è, per questa società, questo il modo di percepire l’amore:

 

Fottersi.

Fottersi.

Fottersi.

 

Nel pronunciare questa parola, non avvertite un disagio e al tempo stesso un perverso compiacimento.

Fottersi la vita, ha un senso.

Fottersi il cervello, ne ha un altro.

Ciò che è sempre lo stesso è il linguaggio che lega i comportamenti. Che siano di rivalsa o di disfatta, l’atto che prevale sulla morale è lo stesso che descrive la violenza della vita e con essa la sua fine.

Un lungo atto sessuale che può generare, vita o morte, piacere o dolore.

La riflessione di fatto è diventata un po’ a luci rosse.

Ma convengo in questo con Freud. Per il celebre analista, l’amore o è narciso o è nostalgico, in entrambi i casi doloroso e perverso e per naturale evoluzione sessuale.

Al solito esondo i miei limiti e vado oltre quel che avevo intenzione di descrivere.

A volte mi chiedo se non sarebbe meglio limitarmi a condividere un semplice aforisma e una canzone, invece di mettermi a vaneggiare come un folle.

Per ritrovarmi, alla fine, anello dopo anello, incatenato alle parole e all’ossessione.

Si scrive per tanti motivi, in linea di massima tutti giusti.

Un cantastorie tramanda vite, un poeta la denuda, la vita. Io che non sono né l’uno, né l’altro racconto il vuoto dell’anima.

 

Oh me, oh vita!

Domande come queste mi perseguitano,

infiniti cortei d’infedeli,

città gremite di stolti,

che vi è di nuovo in tutto questo,

oh me, oh vita!

Risposta: Che tu sei qui,

che la vita esiste e l’identità,

Che il potente spettacolo continui,

e che tu puoi contribuire con un verso.

Walt Whitman

——————————————–

Questa è tra le più belle poesie di Whitman, tra le più belle della letteratura.

Il mal di vivere è un vuoto, un vuoto insostenibile.

Nel raccontarlo si può forse riempierlo.

Persino forse dare una descrizione dei suoi limiti, dare forma alle pareti e al suo fondo.

Perché è ancor peggio, non sapere.

 

Io tocco i miei nemici col naso e con la spada

Ma in questa vita oggi non trovo più la strada

Non voglio rassegnarmi ad essere cattivo

Tu sola puoi salvarmi, tu sola e te lo scrivo:

Dev’esserci, lo sento, in terra o in cielo

Un posto dove non soffriremo e tutto sarà giusto

Non ridere, ti prego, di queste mie parole

Io sono solo un’ombra e tu, Rossana, il sole

Ma tu, lo so, non ridi, dolcissima signora

Ed io non mi nascondo sotto la tua dimora

Perché oramai lo sento, non ho sofferto invano

Se mi ami come sono, per sempre tuo

Per sempre tuo, per sempre tuo Cyrano

Francesco Guccini “Cirano”

 

Riempitevi l’anima di poesia e bellezza e verrà da sé,

che!!!

 l’amore che vive nell’atto

verrà declamato con le forma della virtù.

Allora accadrà!

Quel verso cercato sarà trovato.

Quel vuoto, riempito.

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Scusate il lungo post e il suo contenuto.

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Senza limiti

[…]

“Siamo nati malati” li senti dire

 

La mia Chiesa non offre assoluzioni

mi dice “prega in camera da letto”

l’unico paradiso al quale verrò spedito

è quando sono solo con te

 

Sono nato malato

ma lo amo

ordinami di stare bene

amen, amen, amen, amen

 

Portami in chiesa

pregherò come un cane davanti al reliquiario delle tue bugie

ti dirò i miei peccati e potrai affilare il tuo coltello

offrimi quella morte senza morte

buon Dio, lascia che ti dia la mia vita

 

Se sono un pagano dei vecchi tempi

il mio amore è la luce del sole

per tenere la Dea al mio fianco

lei richiede un sacrificio

[…]

Una delle tante versioni.

 

Ho sempre pensato che la conoscenza abbia, sì, pregi – l’ignoranza è un crimine sociale – a volte però non conoscere la realtà rende innocenti.

 

È d’obbligo avvisare chi legge che questo post sarà al quanto retorico, un pizzico irriverente e leggermente offensivo, chi vuol evitare il pessimismo e le non tanto velate offese vada oltre.

 

Notizie su notizie, alcune vicine altre lontane:

 

30 Gennaio, Catania, bagni pubblici della Villa Bellini, una tredicenne violentata dal branco.

 

ReTro è nato il 16 luglio 2020, gli studiosi della Chinese Academy of Sciences di Pechino hanno annunciato la sua esistenza, però, solo ora.

Cosa ha di speciale la notizia? ReTro è un maschio di macaca mulatta, una specie di primate appartenente alla famiglia dei Cercopitecidi.

A gennaio 2024, questo piccola scimmietta ha compiuto tre anni e mezzo. ReTro è il primo esemplare clonato di scimmia a vivere così a lungo.

 

Quando scrivo è il 4 febbraio, ed è mattina. A Catania il bianco domina le strade. La Santa più amata della Sicilia orientale avanza lentamente per le vie della sua città, i catenesi si mostrano a lei devoti e religiosi.

 

Tre notizie all’apparenza slegate e isolate. Cronaca, Scienza e Costume.

 

Ma sapete cosa colgo io da questo calderone d’informazioni? Limiti.

 

Mi chiedo:

La vita deve avere limiti? E quando è lecito superarli?

 

“Confinare la nostra attenzione alle questioni terrestri significherebbe limitare lo spirito umano.”

Stephen Hawking

 

e

 

“Supera te stesso e supererai il mondo.”

Sant’Agostino

 

 

Due menti e anime agli estremi: lo scienziato e il teologo.

Il messaggio è lo stesso però: Andare oltre, superare i confini, i limiti della materia uno, dell’anima l’altro.

 

Com’è che ho la sensazione che è stata aperta una ferita nella materia vivente.

 

Nella prima notizia, non l’unica della settimana, è palesa, palpabile, immaginabile, il sangue, il dolore, la lacerazione.

 

Mi chiedo?

L’uomo riesce a immaginare, a capire, le macerie che ha creato?

 

Le donne lo sanno (in parte), ma l’uomo? L’uomo sa cosa può fare un pene e un altro e un altro ancora, che con forza e brutale violenza penetra la vagina di una giovane donna, una bambina da poco diventata ragazza? Eppure, se noi uomini da etero parliamo tra di noi di omosessualità, rabbrividiamo al solo pensiero di immaginare il cazzo di un altro uomo penetrare il nostro culo.

Lo stesso brivido, per alcuni uomini – ipocrisia – per tutti gli uomini (è colpevole anche chi solo ha la fantasia d’esser brutale, feroce) – non vale per la donna, non vale per la bambina.

 

Nel caso recente, nel caso descritto, il branco è giovane, minorenni. La consapevolezza, la pietà, il riconoscimento dell’altro come pari a sé stesso, non sono attecchite, forse neanche piantate nell’anima di questi ragazzi. Questi ragazzi sono senza confini, senza limiti, senza umanità.

 

Puttane – le ragazze, le donne – sono tutte puttane (la frase più ricorrente), e come tali non ha limite la violenza, non ha confine la sopraffazione che può sbocciare dal seme arido di questa umanità.

 

Sapete la “puttana” è il limite superato e accettato antropologicamente. Che sia donna o uomo, è diventato uno scambio di genere. Un’impronta genetica che una o l’altra parte accoglie nel momento che la volontà si scontra e il potere, la dominazione prevale. Il dominio delle parole.

 

Le parole dominano la società moderna, le azioni sono la forma delle parole moderne.

 

Mentre scrivo, la musica scorre, le parole si espandono e con esse l’azione che ispira e genere la riflessione.

 

Una mattina mi son alzato

o bella ciao, bella ciao

una mattina mi son alzato

e ho trovato l’invasor.

 

O partigiano, portami via

o bella ciao, bella ciao, bella ciao, ciao, ciao

o partigiano, portami via

che mi sento di morir.

 

E se io muoio da partigiano

o bella ciao, bella ciao, bella ciao, ciao, ciao

e se io muoio da partigiano

tu mi devi seppellir.

 

E seppellire lassù in montagna

o bella ciao, bella ciao, bella ciao, ciao, ciao

e seppellire lassù in montagna

sotto l’ombra di un bel fior.

[…]

 

 

La potenza delle parole, il valore delle parole.

Dietro i versi, dietro l’inchiostro c’è l’azione, l’idea che prende forma.

Come può l’umanità che muore per la salvezza dell’amore, essere la stessa che lacera l’innocenza di una bambina o un bambino?

 

Quando le donne sono diventate puttane?

Quando gli uomini sono diventati i padri delle puttane?

Quando le donne hanno accettato d’essere figlie e contemporaneamente puttane?

Le quote rosa, le pari opportunità – trappole per distogliere lo sguardo dal fatto che si è sottoscritto un patto d’identità. I fatti, i contratti, le opportunità, i ruoli, dicono quel che l’uomo pensa della donna e la donna concede a sé stessa e alla società.

 

Una società ipocrita.

 

Ed è l’ipocrisia, la devozione che oggi pervade le vie di Catania. La società civile onore una martire, una vergine, una ragazza, torturata, mutilata e uccisa quasi due mila anni fa. L’ipocrisia è in questa nostra società che nello stesso giorno fa coesistere stupro e innocenza, brutalità e fede.

 

Si guardi chi si schiera oltre la linea dei colpevoli.

Chi si sente innocente, ha due tizzoni ardenti infilati negli occhi.

Sì, siamo tutti Agata, siamo tutti e tutte vittime e stuprati.

Siamo, però, anche stupratori e puttane.

 

Non c’è altra spiegazione alla natura delle cose che viviamo, all’indifferenza innocente, all’indifferenza colpevole.

 

Limiti.

 

E giungo alla scimmietta. Il caos fa strada all’ordine, la natura concede all’uomo un pezzo della sua anima.

Chissà quali conseguenza e opportunità porterà questa nuova era?

 

Sapete se metaforizziamo la riflessione e immaginiamo per un attimo che per un Dio esista anche un Diavolo. Si dovrà convenire con l’idea che le opportunità non sono solo di Dio ma anche del Diavolo.

 

Si sa che il diavolo da sempre è la causa e il responsabile di ogni male, un artificio legislativo per dare le proprie colpe ad un altro. La genialità sta nell’aver identificato un essere che non si vede.

 

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Le buone azioni invece sono frutto del libero arbitrio concesso da Dio e quindi l’uomo si concede il merito della sua onesta e rettitudine (serviva – non sia mai la retta via sia la normalità d’un cammino evolutivo), ed ecco che l’uomo si concede a medaglia la beatitudine e la santità.

 

Scienza, cronaca e costume.

 

Non so cosa è venuto fuori da questo mio post. Se avete precipito confusione avete percepito bene.

Perché questa società è confusa e lo sono anch’io. Con l’anima che da un lato vuole sentirsi innocente, diversa da chi sta macchiando il mondo di sangue, dall’altra invece si sente colpevole perché è parte della stessa società che ruba, stupra e uccide.

 

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Lotta o fuga?

Attenzione, gli argomenti trattati potrebbero urtare la vostra sensibilità.

La piccola Frida è diventata signorina. Il primo ciclo, il primo calore. Non è più cucciola, non è più la tenera creatura che prendevo in braccio senza alcuno sforzo, in verità lo è ancora tenera e affettuosa, anche di più, non è più piccolina.

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Iniziano tre settimane di caos ormonale che metteranno (affettuosamente) a dura prova me e la mia compagna, è la natura, l’istinto alla riproduzione.
Ora, l’argomento permette di esplorare pensieri più profondi e creare analogie.
Il sangue è l’elemento che seguirà il filo della narrazione.
Il sangue da inizio al calore e porta i maschi all’inafferrabile e irrefrenabile desiderio di accoppiarsi. La cosa strana (ma poi non tanto) è, che in questa circostanza altamente primitiva e istintiva, i cani, i maschi competono tra di loro. Alla cagna, la femmina è dato il diritto, il privilegio, l’onore di scegliere, lei scansa la coda e quel che deve avvenire, avviene. Sapete che fa il maschio, in quella ressa di ormoni? Poggia il muso sul dorso delle femmine e solo se la femmina è pronta accade quel che natura richiama.
La stessa identica cosa, accade, ai maschi umani, quando presi dall’eccitazione feroce prendono la femmina, la donna.

Beata ironia.

Eh sì!!! I cani attendono che la femmina sia pronta, basta un cenno, un ringhio della femmina è il maschio retrocede, per riprovare in un corteggiamento ossessivo che ha un arcano rispetto animalesco.
All’uomo questo animalesco rispetto non riesce, la sua infima anima non regge il paragone, non regge l’analogia con l’essenza unica del nostra amico a quattro zampe. L’uomo non trova o meglio non ha quell’elemento invisibile che giace nell’anima dell’animale: La purezza.

Un branco di cani in calore difficilmente prenderebbe con la forza una cagna non in calore, l’istinto li porta a cercare il consenso scritto geneticamente in quel flusso rosso. L’uomo non chiede consenso e al rifiuto va contro ogni istinto di conservazione e protezione, mostrando la sua natura di morte.

“Ora sono diventato Morte, il distruttore di mondi”
Bhagavadgītā

Il ciclo è un evento per l’uomo misterioso e controverso, un tabù. Perché poi?
Ricordo una scena di un vecchio film dell’orrore, un cult anni 70’, Carrie – Lo sguardo di Satana,  film tratto dal romanzo Carrie di Stephen King. La descrizione cupa di King mostra una realtà non lontana e per nulla invisibile.

Carrie stava in piedi, muta, al centro di un circolo di ragazze urlanti, con l’acqua che le scivolava sulla pelle a rivoli. Stava lì come un bue paziente, conscia di essere (come sempre) il bersaglio dello scherno generale, infelice, crudelmente imbarazzata, ma non stupita.
Sue guardò esasperata le prime gocce scure di sangue mestruale che cadevano sulle piastrelle, formando dei dischetti grandi come monetine. «Per amor del cielo, Carrie, hai le tue cose!» gridò. «Pulisciti!»
«oheh?»
Carrie girò intorno uno sguardo bovino. I capelli le si erano appiccicati alle guance, come un casco aderente. Aveva un’eruzione di acne su una spalla. A sedici anni, l’impronta delle ferite che le erano state inferte dall’infanzia era già chiaramente stampata nei suoi occhi.
«Crede che i tamponi servano per togliersi il rossetto!» strillò improvvisamente Ruth Gogan, con falsa allegria, e scoppiò in una risata acutissima. Più tardi, Sue ricordò quel commento e lo inserì nel quadro generale, ma in quel momento fu solo un altro suono senza senso in mezzo a
tutta quella confusione. A sedici anni, pensò. Deve pur sapere cosa le sta succedendo, deve pur…
Altre gocce sul pavimento. Carrie sbatteva le palpebre, guardando confusa e istupidita le sue compagne di classe.
Helen Shyres si voltò verso le altre facendo finta di vomitare.
«Stai sanguinando!» gridò improvvisamente Sue, infuriata. «Non vedi che sanguini, maledetta oca?»
Carrie abbassò gli occhi sul proprio corpo. Il suo grido echeggiò acuto nello spogliatoio umido.
All’improvviso un assorbente la colpì sul petto e ricadde a terra. Un fiore rosso si allargò sul cotone bianco. Allora le risate sprezzanti, disgustate e sconvolte sembrarono fondersi in qualcosa di sgradevole e malsano, e tutte le ragazze si misero a bombardarla di assorbenti e tamponi, presi dalle borse e dal distributore sul muro.
Volarono in aria come fiocchi di neve, e la cantilena ossessiva cambiò suono: «Tampò-na-ti, tam-pò-na-ti, tam-pò-na-ti…»
Anche Sue partecipò al lancio e al coro generale, senza rendersi ben conto di quello che stava facendo, ma una frase le lampeggiava nella testa come un’insegna al neon: Non le facciamo niente di male, non le facciamo niente di male… Era ancora accesa, luminosa e rassicurante, quando di colpo Carrie indietreggiò urlando, sbattendo le braccia, grugnendo e gorgogliando.
Le ragazze si fermarono: avevano capito che la fissione e l’esplosione erano state finalmente raggiunte. Alcune di loro, ricordando, avrebbero poi asserito di essere rimaste sorprese da quanto succedeva. Ma non era così. C’erano stati tutti quegli anni: tutti quegli anni di facciamo il sacco al letto da campo di Carrie e nascondiamo da qualche parte le sue mutande e mettiamole questa biscia in una scarpa e facciamole questo e facciamole quest’altro e ancora quest’altro, e Carrie che arrancava in bicicletta, sempre in coda, sentendosi chiamare una volta budino mal riuscito e un’altra volta faccia di merda, sudando e odorando di sudore e non riuscendo mai a raggiungere le altre; Carrie che si pungeva con le ortiche mentre faceva pipi nei cespugli e tutti
lo scoprivano (ehi, grattaculo, ti brucia il didietro eh?); e Billy Preston che le metteva un pezzo di margarina nei capelli quella volta che si era addormentata in sala studio; e i pizzicotti, gli sgambetti nei corridoi della scuola, i libri spinti giù dal suo banco, le foto pornografiche infilate nella sua borsa; Carrie che in chiesa si inginocchiava goffamente per pregare e la cucitura della vecchia gonna di madras si strappava lungo la lampo con un rumore da scoreggia; Carrie che non riusciva mai a prendere la palla neanche coi piedi; Carrie che cadeva lunga distesa durante la lezione di danza moderna e si scheggiava un dente; Carrie che finiva contro la rete giocando a
pallavolo; Carrie che aveva le calze sempre cascanti o sul punto di cascare; Carrie che aveva sempre macchie di sudore sotto le ascelle; e la volta che Chris Hargensen le aveva telefonato a casa chiedendole se sapeva che il culo dei maiali in America si chiamava anche Carrie. Di colpo tutto questo si era sommato e si era arrivati all’esplosione. Il colpo definitivo, così a lungo
cercato, era stato inferto. Fissione.
Carrie indietreggiò urlando nell’improvviso silenzio generale ,con le braccia grassocce intorno alla testa e un assorbente infilato tra le cosce. Le ragazze la guardavano con occhi lucidi e solenni.
Carrie si appoggiò a uno dei quattro divisori delle docce, e scivolò lentamente a sedere per terra. Emetteva deboli, disperati lamenti. I suoi occhi bagnati si rovesciarono mostrando il bianco, come gli occhi di un maiale al mattatoio.
Sue disse lentamente, esitando: «Credo che sia la prima volta che…»
A questo punto la porta si spalancò con un colpo sordo e Miss Desjardin piombò dentro a vedere cosa diavolo succedeva.
[…]
«Sto morendo dissanguata!» urlò Carrie, e la sua mano in un gesto di terrore si aggrappò implorante agli short bianchi di Miss Desjardin, lasciandovi un’impronta di sangue.
La faccia dell’insegnante di ginnastica si contorse in una smorfia di disgusto. Con uno strattone la tirò in piedi.
«Vattene là in fondo!»
Carrie prese a oscillare tra le docce e il distributore di assorbenti, tutta rannicchiata, i seni puntati verso il pavimento, le braccia ciondolanti. Sembrava una scimmia. Aveva gli occhi lucidi e lo sguardo vuoto. «Adesso sbrigati!» disse Miss Desjardin, con voce sibilante minacciosa. «Tira fuori uno di quegli assorbenti… no, non serve mettere la moneta, tanto è rotto… su, prendine uno e… accidenti ti vuoi sbrigare? Sembra che tu non abbia mai avuto le mestruazioni!»
«Me-struazioni?» chiese Carrie.
La sua espressione di totale incomprensione era troppo sincera, troppo piena di terrore muto e impotente per essere ignorata o negata. Un nero presentimento si fece strada nella mente di Miss Desjardin. Era incredibile, non poteva essere. Lei aveva avuto le prime mestruazioni a undici anni appena compiuti, ed era corsa da sua madre tutta eccitata, gtidando: «Ehi mamma, ho
le mie cose!»
«Carrie?» disse avanzando verso la ragazza. «Carrie!»
Carrie indietreggiò. Nello stesso istante, una rastrelliera con le clave da ginnastica che stava in un angolo cadde per terra co un fracasso assordante. Le clave rotolarono da tutte le parti, Miss Desjardin fece un salto per evitarle. «Carrie, sono le tue prime mestruazioni?»
Ma una volta ammessa quella possibilità, non c’era più bisogno di chiederlo.
Il sangue scuro scendeva con terribile lentezza. Le gambe di Carrie erano tutte macchiate, come se avesse guadato un fiume di sangue.
«Fa male,» gemette Carrie. «La mia pancia…»
«Ti passerà,» disse Miss Desjardin. Era combattuta tra la compassione e l’imbarazzo. «Devi… ehm, fermare il flusso di sangue. Devi…» Ci fu un lampo sopra di loro, seguito da uno sfrigolio e da uno scoppio: era bruciata una lampadina. Miss Desjardin emise un grido di sorpresa e le venne in mente (ma qui sta andando tutto a pezzi) che queste cose accadevano sempre quando Carrie era sconvolta, come se la sfortuna si volesse accanire contro di lei? Ma questo pensiero le uscì di testa con la stessa velocità con cui si era formato. Prese un assorbente dal distributore rotto e lo estrasse
dall’involucro. «Guarda,» disse, «si fa così…»

Questo breve estratto mostra la cruda e violenta realtà d’un mondo che ha fatto del sangue un simbolo di sopraffazione e dolore. Oggi psicologi ed educatori con in bocca quel bullismo etimologico cercano cause alla natura della violenza, circoscrivendo un muro di parole tra società e carnefice, delegittimando, di fatto, l’indecenza di chi da complice sta a guardare.

“Ciò che mi spaventa non è la violenza dei cattivi; è l’indifferenza dei buoni.”
Martin Luther King

Dopo Palermo, Caivano. Nulla è diverso. Tutto è, spaventosamente, uguale: Una, due, “vittime” e un branco. Poi c’è un cucciolo di riccio, preso a calci, trasformato in un pallone da un gruppo (branco) di bambini. Ha rischiato il piccolo mammifero, salvato in tempo da un passante.

Il sangue deve scorrere sempre. Sembra, quasi, un richiamo per l’essere umano. L’unico modo per sopravvivere, per sentire, provare.

“Amo ascoltare. Ho imparato un gran numero di cose ascoltando attentamente. Molte persone non ascoltano mai.”
Ernest Hemingway     

Può essere questo il motivo? Molte persone non ascoltano, non sentono, non provano?
A me è stato sussurrato, urlato, detto, spesso: non provi nulla.
E ne ho approfittato, ho trasformato questa etichetta in un vestito da indossare in pubblico. Ad un certo punto, nessuno più senti il desiderio di venirmi vicino, persi il buono certo, ma con il buono spari anche il brutto.

Si può sanguinare in tanti modi quindi.
Per esperienza so che due sono, le vie per chi sanguina: lotta o fuga.

Lottare o fuggire?

Un’altro memorabile film racconta magistralmente questo dualismo.
Si può fuggire per tanti motivi, a volte si fugge dalle persone (io, purtroppo, ne so qualcosa). La pellicola in questione è: Thelma & Louise, film manifesto, del riscatto femminile da una società maschilista e violenta, una violenza di cui esse stesse, loro malgrado, si macchiano.
Thelma & Louise è la fuga della donna dal marito violento, dalla routine soffocante e dalla vita sempre uguale.
La scena finale è memorabile e malinconicamente struggente.
Inseguite da decine di auto della polizia, simbolo probabilmente dell’ordine, quell’ordine maschilista che cerca nella sottomissione la cura alla violenza, la nostra Thelma e la nostra Louise si ritrovano davanti ad un baratro (il Grand Canyon), il vuoto, non solo fisico, ma anche spirituale.
Thelma e Louise sono alle strette, senza via d’uscita, se non la sola prospettiva di finire per molto tempo in prigione, subendo umiliazioni ancora peggiori di quella che hanno subito fino a quel momento. Basta loro un attimo per decidere, per dirsi che non si torna indietro. Sul loro volto la felicità per averci provato, per averci creduto.
“Andiamo avanti” grida Louise, e giù il piede sull’acceleratore, mano nella mano.

Perché alla fine si è soli: Lettera di un padre.

Il legante della vita, delle vite che si susseguono, sembra essere, sempre, la violenza e con essa il sangue scorre sempre.

“Togli il sangue dalle vene e versaci dell’acqua al suo posto: allora sì che non ci saranno più guerre.”
Guerra e pace
Lev Tolstoj

Eppure il sangue genera vita.
Frida ora è pronta per generare. Il suo scopo è lo stesso di qualunque altro maschio che l’incontra, non stuprare, non umiliare, né uccidere, creare la vita.

L’uomo nella stessa circostanza riesce solo a far peggio.
Eppure la via esiste, l’amore esiste.

“Gli uomini che aspirano ad essere liberi difficilmente possono pensare di rendere schiavi gli altri. Se cercano di farlo, non fanno che rendere più strette anche le proprie catene di schiavitù.”
Mahatma Gandhi

Forse il senso di tutto è nella libertà che concediamo ai nostri cuori.

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C’è una voglia tutta umana…

Di solito mi limito nei contenuti, mantenendo la natura del blog personale, ogni tanto, però, è giusto prendere posizione – per quel che vale.
In un commento ad un blog amico ho scritto: “c’è una voglia tutta umana di fare a pezzi la realtà”, spesso non comprendo i motivi, in molti casi si fa fatica persino a immaginarli.

Un noto cantautore, che personalmente apprezzo – Ermal Meta – ha condiviso su Twitter le sue personali considerazioni su un tragico evento di cronaca accaduto in Sicilia.
Queste le sue parole:
“Servono punizioni esemplari e certezza della pena. Ciò che lucidamente hanno fatto e detto è raccapricciante.
Immaginate di essere quella ragazza con un calvario da vivere e che la segnerà a vita. Immaginate di essere al posto dei genitori della ragazza che dopo 4/5 anni, se va bene, si vedono in giro queste bestie.
Immaginate di essere invece la madre di uno di loro che tenta di screditare la vittima. Lo vedete l’abisso? Riuscite a percepirlo?”

“Lì in galera, se mai ci andrete, ad ognuno di voi ‘cani’ auguro di finire sotto 100 lupi in modo che capiate cos’è uno #stupro #loschifo”.

Il secondo tweet di Ermal Meta com’era prevedibile non è piaciuto a tutti, definito “orribile”.
La risposta del cantautore è stata diretta e altrettanto dura:
“Di orribile c’è quello che hanno fatto, di orribile c’è il trauma che quella ragazza probabilmente si porterà dietro per molto tempo, di orribile c’è la madre di uno di loro che cerca di far passare per una poco di buono la vittima, di orribile c’è la mancanza totale di empatia, di orribile c’è filmarla, deriderla, lasciarla per strada come uno straccio e poi minacciarla, di orribile c’è la totale mancanza di umanità“.
“Non è la collettività ad averli portati a compiere uno scempio del genere, ma una loro precisa e lucida scelta. Se l’educazione (compito della famiglia) non funziona prima, deve funzionare la punizione dopo, proprio per difendere la collettività che tanto ti sta a cuore”.

Sarà per la presenza di Frida nella mia vita, ma l’occhio mi è caduto su quel “cani” dubito che un branco di cani possano essere cosi crudeli e insensati contro un loro simile.

È naturale lo sfogo di Ermal, tutti noi (immagino) condanniamo quel che hanno fatto quei ragazzi, li abbiamo sempre condannati (questi orrori) e credo sia umano odiare chi odia, ricorrere alla violenza per combattere la violenza è, umano.
Mi permetto di aggiungere che comportarsi come quei ragazzi è, umano.

“Amate gli animali: Dio ha donato loro i rudimenti del pensiero e una gioia imperturbata. Non siate voi a turbarla, non li maltrattate, non privateli della loro gioia, non contrastate il pensiero divino. Uomo, non ti vantare di superiorità nei confronti degli animali: essi sono senza peccato, mentre tu, con tutta la tua grandezza, insozzi la terra con la tua comparsa su di essa e lasci la tua orma putrida dietro di te; purtroppo questo è vero per quasi tutti noi.”
Fëdor Michajlovič Dostoevskij

Qualcuno si chiederà cosa centra il maltrattamento degli animali con la violenza alle donne? C’entra e come. La natura definisce i comportamenti, le razze definiscono gli orientamenti sociali.

Prendiamo atto che “essere umani” non è sinonimo di pace e compassione, è, invece, sinonimo di rottura e conquista. C’è una voglia tutta umana di fare a pezzi la realtà.

“Talvolta un pensiero mi annebbia l’Io:
sono pazzi gli altri, o sono pazzo io?”
Albert Einstein

Sono pazzi gli altri, o sono pazzo io?

Ecco!!! Le riflessioni si raccolgono e si pietrificano, ciò che rimane è solo polvere di pensiero.
Ecco la sensazione che ho. Di pescare in un calderone idee, opinioni e appunti di vita, stenderli sul manto invisibile dell’intelletto e restare a guardare che piano piano raggrinziscano e si polverizzano, mentre volti invisibile oltrepassano indifferenti la via del giudizio.

Ho una madre, ho una sorella, ho una compagna, ho una nipote, il femminile non è una estranea forma che si accosta, si incastra o si fonde in una illusoria unione temporanea, il femminile è sangue che scorre, è pensiero che può crescere, è la pelle che genere amore. La parte femminile di un uomo è il seme che genera vita, come il ventre di una donna è il santuario che regge il mondo maschile.

Sono pazzi gli altri, o sono pazzo io?

Perché non comprendo l’umano desiderio di distruggere la femminilità delle cose, di chiamare conquista la maschilità delle cose, guerra.

Ho una madre, ho una sorella, ho una compagna, ho una nipote, ogni uomo ha un legame di sangue con una donna.

1violenza

“Per tutte le violenze consumate su di lei,
per tutte le umiliazioni che ha subito,
per il suo corpo che avete sfruttato,
per la sua intelligenza che avete calpestato,
per l’ignoranza in cui l’avete lasciata,
per la libertà che le avete negato,
per la bocca che le avete tappato,
per le sue ali che avete tarpato,
per tutto questo:
in piedi, signori, davanti ad una Donna!”
William Shakespeare

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Buoni e cattivi esempi

Con questo pensiero chiuderò il cerchio iniziato due post fa. Scrivo sempre per un motivo e c’è sempre un impulso, una riflessione dietro le mie derubricazioni mentali.
Prostituzione, stupro e l’epiteto, molto spesso usato nei due pensieri precedenti, puttana, ecco di cosa ho scritto, c’è un motivo a questi argomenti che va ben oltre la mera discussione da blog.
Il motivo nasce da una discussione nata di recente tra me e la mia compagna, discussione legata ad eventi che vive in questo preciso momento a lavoro, in verità più che una discussione, è uno sfogo, un triste e commovente suo sfogo.
Vi racconterò senza scendere nei dettagli quel che ho ascoltato. Il luogo dove lavora la mia compagna è una struttura che accoglie bambine e ragazze che hanno subito abusi e violenze o che per motivi di forte degrado sociale vengono tolte alle famiglie non in grado di prendersene cura.
Tre ragazze in questi giorni sono scappate, tre ragazze di 14, 16 e 17 anni. Prendete in considerazione che sono ragazza nate e cresciute in ambiente di estremo degrado morale e sociale. Scappate perché non si sentivano libere, libere di fare quello che volevano, di uscire la sera, di avere il cellulare tutto il giorno, di non studiare, di non rassettare e riordinare la loro cameretta, libere di essere come tutte le altre, ma quali altre?
Una volta fuori, la prima cosa che hanno fatto è condividere foto su Instagram, foto che le ritraevano, provocanti e disinibite. Ecco quali altre!!! Sono ragazza che non hanno amor proprio e in molti casi neanche una grande intelligenza, spesso sono ragazze che hanno bisogno di sostegno a scuola, ragazze quindi, facilmente, plagiabili.
Una è tornata da sola la quattordicenne, un’altra è ancora uccel di bosco la diciassettenne, mentre la sedicenne è stata ritrovata che vagava confusa e disorientata per le vie della città, portata prima dai carabiniere e poi all’ospedale, è stata ricoverata, ha subito percosse e violenza sessuale, pestata e stuprata.
Penserete poverina, povera vittima e lo è vittima, ma più che degli stupratori (che il cielo gli dia la giusta punizione) di sé stessa, della sua incoscienza, un‘incoscienza che la spinge a fidarsi e cercare nella sessualità la chiave per farsi accettare, tanto da concedersi facilmente a chiunque la lusinghi e prometta castelli e favole, questa volta, però, la favola si è trasformata in un terribile incubo, un incubo per lei e la sua amica, questo ha raccontato la quattordicenne, che sembra sia stata risparmiata perché troppo giovane, ha assistito a quello che hanno subito le due amica di fuga, che sembra di fatto esser stata un’orgia, tra alcol e forse erba.

Il dispiacere della mia compagna è immenso perché a parte una ragazza il cui recupero è difficile, per le altre c’era speranza, erano state accudite, amate e sostenute. Le educatrici non sono mamme, ma è come se lo fossero, stanno con loro quando studiano, le accompagnano a scuole e le riprendono, le fanno giocare, le stimolano e cercano di accendere in loro la curiosità e il desiderio di avere più della vita che hanno vissuto e da cui provengono, spesso fatta di violenza e abusi. Alcune, però, sembrano non voler essere salvata.
Di chi è la colpa?
Nel precedente pensiero ho scritto: “in silenzio si lasciano figlie e figli ruzzolare in un fango virtuale dove accattivanti pose e luccicanti labbra si vestano da puttane, togliendo piano, piano dignità e arte, quell’arte che rende un nudo una preghiera all’anima.

Qualche anno fa il garante ha diffuso una nota della Procuratrice della Repubblica per i minorenni, che richiamava l’attenzione sul fenomeno Blue whale, facendo un appello ai servizi sociali affinché, in caso di coinvolgimento di un minore nel “gioco”, esercitassero i loro propri autonomi poteri di vigilanza, di sostegno e intervento, resi peraltro possibili anche dalla collaborazione dei genitori, al fine di attivare programmi di aiuto e di supporto rivolti agli adolescenti e alle loro famiglie.
Blue Whale era un “gioco”, un gioco perverso, una pratica di suggestione esercitata via web nei confronti di giovani e giovanissimi il cui scopo era far compiere azioni via via più pericolose fino a mettere a repentaglio la vita stessa attraverso il suicidio.

Esempi ed emulazioni. Il punto è, sempre, quello.

La prostituzione il mestiere più antico del mondo, come le droghe o le armi, non sono misteri divini, doni sconosciuti portati del cielo, della scienza o da chi cazzo vi pare, sono realtà conosciute, studiate, allertate e approfondite da ogni figura professionale degna di questo nome.
Come è possibile allora che si è ancora vittima di queste trappole?
Come fa una bambina o un bambino a cadere in queste prigioni, se si vigila e si tutela? Se si è informati?

Il tema è complesso e certo non posso dare un’approfondita descrizione delle dinamiche in questa sede, ne credo di avere le competenze per poterlo fare.
Come sempre è un libero pensiero, il mio, una mia interpretazione di quel che sento e vedo.
Quel che percepisco è che, nonostante sono passati anni da quando ero piccolo, le realtà, che forgiano vittime e mostri, ancora esistono, si evolvono anzi, trovando altri mezzi e altre strade.
Quel che rimane stabile e si perpetua nel tempo è la natura di certa umanità, la vogliamo chiamare natura perversa, natura criminale, pura e semplice cattiveria.

È assurdo! È assurdo questo mondo ed è assurdo quel che si vede in giro, si possono fare un’infinita di esempi su questa assurdità, su questa contraddizione tra buon senso e irrazionalità.
Esempio, gli incidenti automobilistici. In quasi tutto il pianeta le strade hanno limiti di velocità, 120, 140 km, non parliamo in città, 50, 60 km, però, senza alcuna logica, si sfornano ogni giorno auto che hanno sul contachilometri l’assurda velocità di 240 km per la utilitaria, non vi dico la supercar. Che senso ha?

C’è chi sfida i propri limiti, mettendo a rischio la vita, per il gusto di sentirsi vivi, di provare qualcosa. Che effetto fa saltare da un ponte attaccati ad un elastico? O da un aereo con un surf? Che effetto fa quella pillolina? Quella polverina? Che bel culo ha quella ragazza, come vorrei toccarlo, come vorrei strapparle i vestiti da quel corpo così sexy, perché non provare? Piacerà anche lei, guarda come si muove, come provoca e sì è una puttana!!! Che effetto farà scoparla?

Si dice che una donna può provocare e provocare ancora un uomo, lo può afferare e appartarsi per giunta, farlo eccitare fino a farlo diventare incontrollabile, ma se cambia, poi, idea e da sì, il sì diventa no, non conta più come si è giunti lì, cosa la donna ha fatto, l’uomo si deve fermare. Vero!!! L’uomo si deve fermare. Non so voi, ma a me questo gioco (se cosi vogliamo chiamarlo) sembra tanto una roulette russa.
La cosa più brutta e cattiva che si possa dire, dopo, è: Se le cercata.

Il diritto al NO.
Il NO quanto può avere effetto, se è messo a rischio da un divertimento fuori controllo?
E torniamo al punto, chi deve tutelare? Chi deve dire questo non si fa e questo si può fare? Chi deve impedire che la mente si annebbi? Che il divertimento non si confonda con l’indigenza?

A volte pesando a tutto questo, leggendo i fatti che accadono attorno a noi, mi dico: sai tutto sommato è una fortuna che non ho figli.

L’ultima notizia la mia compagna l’ha letta sulla chat della scuola, alcune mamme si sono radunate perché sembra che un bambino abbia fatto vedere in classe, quando la maestra non c’era, dei filmati porno presi dalla rete, la classe sembra che abbia, subito dopo, simulato quello che si vedeva nei video, classe elementare.

“Ogni bambino ci porta il messaggio che Dio non è ancora scoraggiato dell’uomo.”
Rabindranath Tagore

C’è ancora speranza? Dire di no è controproducente.
Ci deve esser, quindi, per forza.

Forse dipingiamo e dipingo troppo infaustamente questo mondo, nonostante guerre, violenze e mega truffe commerciali che ci rovinano piano piano a volte senza che neanche ce ne accorgiamo.

Il dolce e amaro della vita, come ho scritto nell’ultimo pensiero.
Dopo tanta amarezza dovrei chiudere con un può di dolcezza, un pò di speranza.

In questo schifo che non si deve cancellare dalle nostre menti, non bisogna dimenticare che ci sono essere umani, che si prendono cure di cani e gatti randagi, creature indifese e abbondante, che ci sono essere umani che vanno in giro a portare una coperta e un pasto ai mendicanti, gli ultimi, gli invisibile, che ci sono medici che si camuffano da clown per far sorridere un bambino o una bambina malata del più cattivo dei mali.

 

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Ammiro chi fa la differenza, chi sacrificando quello che ha, anche la vita a volte, traina questa società verso la luce, speriamo che la corda regga.

Spero di non avervi rattristato e amareggiato troppo, il prossimo pensiero cercherò di essere meno cupo anzi di non esserlo proprio.

Buona fine settimana a tutti.