Un incontro….. con le persone sconosciute!

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L’incontro non e’ solo il tema del mio blog ma e’ il sentiero della mia vita. Sin da piccola pur crescendo a Roma mi sono spostata da un quartiere ad un altro. Ho cambiato tante abitazioni, ho studiato presso scuole differenti e cosi i miei compagni erano sempre “nuovi”. Spesso, dovevo salutare a malincuore i vecchi compagni e “aprirmi” ad nuovi. Poi lo stesso da adulta viaggiando ho conosciuto tante persone differenti in cultura, tradizioni, mentalita’. A volte capitava che perdevo la mia identita’. Ero radicata? Ho dovuto imparare a radicarmi in me stessa, altrimenti il vento mi avrebbe portato via. Il vento come metafora del turbine della vita.

Cosi strada facendo (mi sovviene la canzone di Baglioni hehe!) ho incontrato tante persone che hanno influenzato il mio percorso. E’ bello incontrare persone ma bisogna essere forti, ed io ho dovuto lottare con me stessa per non perdermi e trasformarmi in un allegorico “setaccio” degli incontri. Troppi incontri destabilizzano, influenzano, condizionano eppure al tempo stesso ti aprono a mondi nuovi, inesplorati. Ogni incontro e’ come atterrare su una isola rigogliosa ed inabitata. Ne sono attratta, incuriosita ma poi si entra in una folta foresta di liane di piante carnivore e a volte si viene sopraffatti, manipolati, incatenati, risucchiati. Ho fatto fatica ad uscirne. Ma ne sono uscita grazie al mio istinto felino che mi faceva intuire la pericolosita’.

Alcuni incontri mi hanno fatto entrare in un tunnel senza uscita anche se in quel buio si avvertivano sensazioni particolari e l’eco delle parole rimbombava tra le pareti oscure della galleria. E quando le parole diventavano eco si trasformavano in ossessione, bramosia ma anche insoddisfazione.

Ho imparato anche ad uscire dal tunnel degli incontri e oggi con piu’ consapevolezza so che cosa desidero e cosa voglio: voglio incontri puliti, autentici, veri che si sentono a pelle e allora seguo solo quelli, quelli che mi fanno star bene  il resto lo lascero’ andare.

A volte accadano incontri che non mi sarei mai aspettata dove tutto accade naturalmente come se si fosse desiderato da tanto tempo. E allora quando sento quella magia prendere il sopravvento, invadere il mio corpo, e sento il mio cuore batte forte non mi fermo, mi tuffo dentro e navigo in quel mare immenso pensando  a quanto la vita sia stata generosa con me.  Quegli incontri sono rigeneratori: ricaricano di  entusiamo di emozioni e si torna bambini improvvisamente. E’ come gustarsi un cono gelato in due sapendo che i gusti scelti sono gli stessi, e’ come sentire il profumo di una melanzana alla parmigiana al forno e intuire che era il piatto preferito di tutte e due. E’ guardarsi negli occhi e leggere cio’ che le parole non avrebbero mai  potuto dire. E’ percepire di condividere tutto pur rimanendo due individualita’ distinte.

Incontri di questo tipo non sono stati numerosi anzi si possono contare sulla punta delle dita eppure hanno lasciato un segno indelebile quasi cancellando o sotterrando tutti quegli incontri che per varie ragioni rimanevano a senso unico.

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Un incontro…. con il papà!

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Quella stessa cerimonia si ripeteva ogni anno: la tovaglia di organza celeste i piatti a pois bianchi e blu un candelabro con due candele bianche accese vari antipasti sparsi sul tavolo. “Mamma perchè?” chiedevo sempre con lo stesso tono. “E’ San Giuseppe la festa del papà!” rispondeva lei con il solito entusiasmo ed emozione. Ero una bimba e non mi rendevo conto di questo rito. Oggi ho solo vaghi ricordi di quella festività: il profumo della pasta di bignè fritta, il sapore dolce della crema pasticcera alla vaniglia e le ciliegine sulle zeppole a fine pranzo. A scuola mi facevano fare la famosa “letterina” al papà scritta tutti gli anni con la stessa frase “ti voglio bene”. La mettevo poi sotto il piatto piano sul tavolo all’ora di pranzo. Un rituale di cui non capivo il significato. Per me era un giorno come un altro.

Oggi a distanza di anni, di tanti anni, mi rendo conto di non aver mai detto a voce e con uno slancio autentico “papà ti voglio bene”.

E’ triste scoprirlo quando ormai so che è troppo tardi.  Perchè  ho dato tutto per scontato? Quanti “ti voglio bene” ho trattenuto, lasciati inconfessati, taciuti per uno stupido senso del pudore?

Oggi alla mia età non voglio giustificarmi so perfettamente che avrei dovuto dirglielo piu’ spesso e con trasporto, ma credo che una sorta di inibizione in quanto figlia mi abbia sempre bloccato nel tentativo di esprimere i veri sentimenti che provavo per mio padre.

Una cosa l’ho comunque imparata ho imparato a dire piu’ spesso “ti voglio bene”. Dirlo richiede coraggio, forza, significa divenire vulnerabili ma e’ un canale di comunicazione e di affetto che risalda i rapporti umani ed imprime sicurezza.

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Un incontro … con la mia amica Vale!


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Una bella chiacchierata telefonica tra me e Vale. Era tanto tempo che non ci sentivamo. Mi ha detto incontriamoci a meta’ strada e prendiamo un caffe’ insieme. Un invito a cui non avrei potuto rinunciare. Era di passaggio diretta verso una citta’ dove avrebbe dovuto fare una visita specialistica particolare. Un saluto affettuoso di quelli che ci scambiavamo da sempre: un abbraccio caldo, avvolgente e sentirla di nuovo tra le mie braccia, anche se  un po’ più magra, con un corpicino fragile e un viso scarno ed opaco.  Ci sediamo al tavolino del bar e lei improvvisamente inizia a piangere. La avvicino a me la tengo stretta le asciugo le lacrime, dio come mi sento male, anch’io sento le sue lacrime e vorrei piangere con lei, ma non posso, devo essere forte, devo resistere. Si, è vero a volte bisognerebbe lasciarsi andare ma non sempre si puo’, si deve!! Non le chiedo niente ma sicuramente qualcosa di triste le e’ accaduto. Arriva il caffe’ lo sorseggia e si ricompone. Mi racconta di lei del suo divorzio e del suo vivere da sola da qualche anno. Le sto vicino, non la interrompo, la lascio parlare fin quando mi dice che dovrebbe sottoporsi ad un intervento al cervello e ha tanta paura. Ha una visita medica specialistica presso  un ospedale super attrezzato nel nord della Germania. Le chiedo se desidera che l’accompagni nel viaggio. Lei rifiuta e mi dice che deve mettersi alla prova. La prendo tra le mie braccia e lei si sente confortata. Stiamo cosi strette strette. Poi all’improvviso alza gli occhi verso di me e mi chiede: quale senso ha la nostra vita? non e’ forse maggiore la sofferenza della serenita’? Perche’ e’ cosi’ faticoso vivere?

Cosa posso risponderle. Non ci sono risposte ed anche lei lo sa.

L’accompagno al prossimo parcheggio taxi e lei mi saluta dal finestrino.

La sera a casa ripensavo a lei, alla mia piccola Vale, piccola, fragile e alle sue sofferenze e forse a quello che le aspettera’ ancora. Le mando un messaggino con il link di questa canzone.

Lei mi ringrazia scrivendo: “è la risposta ai miei interrogativi!”

Di che vita sa questa vita qua?
Mia libellula
cosa volevi darmi? Il cielo? Ero pronto al peggio e mi sbagliai.
Ero pronto al meglio ed inciampai.
Se dove andremo lo sapete voi,
ditemi che senso abbiamo noi……… Mia libellula, forse volevi darmi il cielo!

Si mia dolce Libellula ….vorrei darti il cielo Vale…. lo meriti!!! Baci!

Bella domanda……

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Bella domanda!

“Se tu credi all’amicizia, credi che sia possibile l’amicizia tra un uomo e una donna?”

Ti rispondero’ raccontandoti una mia esperienza, ma posso anticiparti che ci credo. Si e’ possibile e quando accade e’ meraviglioso!

Ero ancora una bimba, ero una bimba che stava imparando ad andare in bicicletta. Avevo abbandonato definitivamente il triciclo per passare alla bicicletta a 4 ruote. Quasi ogni domenica mio padre mi portava a Villa Ada con la bicicletta nella speranza che riuscissi a guidarla con solo due ruote. Caso volle che nel percorso che facevo incontravo sempre un bambino; anche lui tentava di imparare ad andare in bicicletta. Ambedue eravamo accompagnati dai genitori e questo permise a noi due di poterci frequentare e di diventare amici. Lui fu il primo vero amico di infanzia. Avevamo la stessa eta’ e tutte e due condividevamo la stessa paura: quella di fare a meno delle due ruote posteriori. Ma piano piano insieme ci facemmo coraggio e fu lui per primo che mi disse “togli le ruote piccole ed inseguimi”. Salii sulla bicicletta a due ruote e vidi Gianluca che cominciava a correre a correre sempre piu’ velocemente e da lontano mi chiamava mi urlava: “Dai vieni vieniiiiiiii” e allora io distolsi il mio pensiero, rimossi la mia paura di cadere e pensai solo al fatto che dovevo raggiungere Gianluca, che Gianluca voleva essere raggiunto. Pedalai, pedalai senza pensare su quante ruote stavo: il mio obiettivo era raggiungere Gianluca. Lui correva, correva ed io stavo imparando ad andare in bicicletta. Feci la stessa cosa per lui. Fu l’inizio della nostra amicizia: un’amicizia in cui si “pensava” all’altro/a e il cui scopo era aiutare l’altro/a e nient’altro all’infuori di quello. Fu un’amicizia formativa per la mia crescita che duro’ fino all’adolescenza, fin quando le scuole superiori ci separarono per sempre.

L’amicizia tra una bambina ed un bambino nell’eta’ infantile e’ fatta di semplicita’ ed autenticita’. Se si riesce a viverla  cosi anche da adulti allora  posso affermare che l’amicizia, si l’amicizia esiste tra un uomo e una donna!! Esiste nei termini in cui, senza rinunciare a se stessi,  si cerca sempre il Bene dell’altro/a.

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