Un incontro… con una frase!

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Il mio interesse, come e’ evidente dal titolo del blog e dal suo contenuto, e’ orientato verso il valore che ogni incontro acquista per me. Anche l’incontro piu’ comune, o semplice o inaspettato diventa nutrimento per le mie riflessioni e rappresenta un modo costruttivo di rimanere nel presente, sempre in attesa di un incontro che mi aiuti a farmi apprezzare la vita in tutte le sue sfumature. E cosi’ oggi parlero’ di come l’incontro con una “frase” mi abbia portato a certe considerazioni.

Stavo parlando con un mio amico del piu’ e del meno quando ad un certo punto lui mi racconta di aver visto un film piuttosto banale, ma nel quale una frase lo ha colpito particolarmente. In un primo momento non ho dato peso alla frase e, tanto meno al film, ben sapendo che abbiamo gusti diversi in fatto di filmografia. Poi d’improvviso ho voluto scrivermela per rifletterci sopra. E’ una frase particolare che non so il “ruolo” che ha giocato nel film e tanto meno le interpretazioni che poteva aver avuto nel film. Tuttavia mi ha ispirato e desidero condividerla con tutti Voi.

“Si lavora con quello che si ha non con quello che si desidera.”

E’ una frase che sento molto vicina a me e forse e’ questa la ragione perche’ mi ha inconsciamente colpito anche se io razionalmente sembra non voglia accettarla. Eppure con il senno del poi posso dire che in qualche modo mi appartiene.

Da giovane, come tutti i giovani, credevo nel futuro e nel poter realizzare, se non tutti, almeno la maggior parte dei miei sogni; fossero stati lavorativi, sentimentali, culturali, sociali. Credevo che tutto era possibile, magari con qualche modifica ma che avrei realizzato come dice la frase “con quello che si desidera”.

In realta’ piu’ crescevo e piu’ mi scontravo con una realta’ che non era quella che avevo sognato e questa realta’ andava piano piano a modificare tutte le mie aspettative. E cosi’ spesso il fallimento e lo sconforto prendevano il sopravvento. C’era una sorta di discrepanza tra gli studi che frequentavo e l’applicazione lavorativa. Tutta teoria e niente pratica e quando poi si entrava nel mondo del lavoro sembrava di essere dei bambini di prima elementare. Inoltre si scopriva presto che gli studi non servivano per le attivita’ lavorative non c’era uno studio per esempio universitario corrispondente ad una attivita’ lavorativa.

Ed ecco che torna qui la frase “si lavora con quello che si ha”.

Per superare la frustrazione di tanti anni di studio, che sembravano non essere serviti a nulla in termini lavorativi, e per uscire dalla condizione di succube della realta’, avevo deciso di usare cio’ che “avevo” e per “cio’ che avevo” intendo dire  la realta’ che mi circondava: vivevo in Italia, vivevo in una citta’ non certo industriale e dovevo adattarmi a trovare quello che avevo intorno senza troppe idealizzazioni.

Metaforicamente non potevo desiderare di essere una principessa se intorno a me non c’erano castelli, cultura ed estrazione sociale tali da ambire di diventare principessa. Sarebbe stato assurdo realizzare questo sogno. Quindi dovevo lavorare su quello che avevo e quello che avevo era me stessa e tutto cio’ che mi circondava.

Ed ecco che mi torna di nuovo la frase:

“Si lavora con quello che si ha non con quello che si desidera.”

Potrebbe avere un’altra interpretazione?

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Un incontro…. con Matteo!

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Lo seguivo con la coda degli occhi, non stava mai fermo, quasi gli fosse impossibile stare seduto, pensavo chissa’ forse era agitato. No, era solo irrequieto, attivo, vitalmente vivo. Spaziava tra l’angolo della caffetteria e le poltroncine della sala d’attesa. Era curioso di tutto e spesso faceva domande. Aveva i capelli di un biondo del grano maturo, due occhi celesti come la volta del cielo e una pelle chiara, sottile, esile nella corporatura ma con una energia che sprigionava da tutti i pori.

All’improvviso il richiamo della hostess mi riporto’ alla realta’. L’imbarco si stava effettuando presi lo zaino e mi avviai verso la porta d’entrata dell’aereo. Era grande a due corsie con posti laterali da due e quello centrale da tre. Il mio posto era al centro tra i posti da tre. Sistemai lo zainetto sotto la poltrona anteriore e mi guardai attorno sperando che il vicino/a del mio posto accanto non fosse troppo grosso/a ed ingombrante.

Invece con grande sorpresa si siedette accanto a me quel bimbetto dai capelli biondi. L’aereo decollo’ e si sentiva solo il rumore dei ventilatori di aria condizionata accesi al massimo. Fin quando il bimbo comincio’ a dare segni di insofferenza e noia. Come poteva un bimbo cosi vivace stare seduto ore e ore su un aereo? mi chiedevo. La mamma cerco’ di intrattenerlo a volte sgridandolo a volte bloccandolo con la cintura di sicurezza. Non bastava non riusciva a stare tranquillo anche perche’ poverino non aveva niente da fare, neanche un giocattolo o un libro a figurine da sfogliare.

Sentivo il suo disagio, il senso di prigionia che da lui passava a me, pelle a pelle e soffrivo, dovevo fare qualcosa, assolutamente qualcosa. Chiamai la hostess e le chiesi due fogli di carta e qualche matita colorata per bambini.

Mi rivolsi a lui e gli chiesi: “vuoi giocare con me?”.  Mi fece un grande sorriso, i suoi occhi celesti si illuminarono di gioia e alla mia domanda non rispose mi disse solo: “Sono Matteo”. Risi anche io, e, gli tesi la mano per presentarmi.

Facemmo un gioco strano, divertente tutto sommato, nel quale anche io mi divertii da morire. Inventammo un teatrino di pupazzi. Su quei due fogli di carta io disegnai un bel gattone bianco e nero e glielo consegnai e sull’altro foglio disegnai una bella paperotta gialla e inventammo una storia a mo’ di teatrino.

“Buongiorno bel micione bianco e nero che ci fai su questo aereo?” disse la paperotta al gattone bianco  e nero.

E cosi inizio’ il nostro gioco. La mamma ci guardo’ incuriosita e si appassiono’ alla nostra storia. Matteo riusci’ a stare seduto a lungo, composto e tranquillo per tutto il tempo del volo e quasi non ci accorgemmo che stavamo atterrando. Prima di scendere dall’aereo Matteo mi chiese se poteva darmi un bacio sulla guancia. Mi sentii al settimo cielo perche’ ci eravamo regalati a vicenda momenti piacevoli con cosi poco. Lo abbracciai e ricambiai il suo bacio.

Mentre attendevo il ritiro della valigia, rividi Matteo che correva,  saltava, sgattaiolava felice e dissi a me stessa:  “A volte basta cosi poco per creare attimi di felicita’! in fondo i bambini vanno capiti!”.

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