Un incontro… con il Pallottoliere!

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Avevo solo 5 anni, ma ancora oggi conservo intatta quella condizione idilliaca a distanza di tanto tempo. Ero una bimba felice con una famiglia partecipe e presente, con dei nonni che abitavano sullo stesso pianerottolo ed alcune giovani famiglie nel condominio che avevano bimbi della mia eta’. La mia e le loro famiglie si incontravano regolarmente per una pizza o una scampagnata in collina.  Avevo cosi l’occasione di giocare con quei bambini e la mia vita scorreva tranquilla, serena e soprattutto, avvolta da un senso di sicurezza, affetto e protezione. Fin quando cominciai a percepire che questo benessere paradisiaco stava per terminare proprio quando vidi  i miei genitori chiudere la porta del salotto.

Quando si chiudeva la porta del salotto sapevo che venivano prese decisioni importanti per la mia famiglia e la mia curiosita’ non mi tratteneva dall’origliare attaccata alla porta  con il naso schiacchiato come se fosse il naso ad ascoltare e non l’orecchio. Di solito erano decisioni che non mi riguardavano e che persino non capivo, ma quella sera avevo capito benissimo.

Avevo la strana  certezza  che avrei perso per sempre la mia vita tranquilla.

Si diceva che per il bene del bambino era necessario iscriverlo per un anno all’asilo in modo che imparasse ad inserirsi gradualmente nella societa’ e  non subisse il trauma del primo giorno di scuola.

Cosi accadde che ad ottobre fui catapultata in un asilo di suore. L’edificio era enorme, o cosi appariva ai miei occhi, mi venne incontro una suora che mi introdusse in una classe  e mi presento’ alle mie future compagne.

Il mio carattere allegro, spensierato incomincio’ ad incupirsi, la disciplina degli orari e dei ritmi mi stava stretta, la severita’ con cui le suore ci trattavano mi intimoriva. Il pranzo nel refettorio  era il momento piu’ triste della giornata. Anche le ore piu’ belle che sarebbero dovute essere dedicate al gioco si trasformavano in un obbligo assillante di  imparare: lettere dell’alfabeto, matita, quaderno  e pallottoliere alla mano.

Il Pallottoliere, tuttavia, rappresento’  lo strumento piu’ divertente e il ricordo piu’ piacevole che conservo fino ad oggi di quell’oscuro periodo. Le sue palline colorate mi facevano fantasticare, il loro rumore mi distraeva dalle operazioni di matematica e il metterle in fila dava spazio alla mia immaginazione artistica.

Nelle ore di ricreazione non riuscivo a mescolarmi con tutti quei bambini che giocavano, gridavano, si rincorrevano; camminavo da sola nel cortile costeggiando le mura senza riuscire a creare un contatto. Non mi sono mai chiesta se avessi avuto bisogno di un contatto o se gia’ subivo i condizionamenti sociali a cui avrei dovuto abituarmi.

Ma ebbi la certezza che da quel momento avrei dovuto camminare da sola. Un cammino in solitudine, ma l’unico cammino possibile per me.

………E di chi sara’ il coraggio allora se non sara’ il mio…… se si spegne quella luce resto io…… oggi riconosco il suono della voce di chi sono….. ho imparato a farmi compagnia dentro di me…. occhi dritti all’orizzonte, sull’asfalto lascio le mie impronte .. scopro in uno specchio il cielo: e’ la geografia del mio cammino!

Un incontro …. con l’Amore!

Sarebbe bello, se prima di leggere il mio post, ascoltaste questa canzone. Grazie ♥

Ero completamente sprofondata su un soffice divano con una leggera coperta scozzese che si appoggiava sulle mie membra stanche. Era stata una giornata di quelle tra le piu’ caotiche e il bisogno di ristorarmi nella mia pace e tranquillita’ mi avrebbe disintossicato da tutte quelle energie negative che ero stata costretta ad assorbire. Ed era li’, in quello stato di quiete, con il calore delle candele che rassicurava il mio cuore, con il profumo di incenso che riattivava i miei sensi, che mi godevo un po’ di  musica rilassante che lentamente scorreva sulla mia pelle procurandomi dolci carezze.

Ad un tratto mi trovai ad ascoltare questa canzone di Giorgio Gaber le cui parole entrarono violentemente nella mia mente attirando la mia attenzione che per qualche istante si era assopita. La riascoltai piu’ volte, quasi non potessi smettere di riascoltarla. La bellezza delle parole si insinuava prepotentemente  nella mia anima, quel “quando sapro’ amare vorro’..” diventava quasi un ritornello ossessivo di voler “carpire” il significato profondo  per poi ritrovare  dentro il mio cuore quelle coordinate che mi facevano sentire in armonia col mondo maschile. Eppure ancora mille domande mi assalivano e mi chiedevo se mai avessi saputo amare allora!

Mi chiedevo ripetutamente: “la canzone di Gaber mi stava insegnando che saper amare e’ forse amare senza sovrastrutture, senza interpretazioni psicoanalitiche, senza sensi di colpa, ma solo col desiderio di avvicinarsi al mistero con il semplice respiro?” Mi chiedevo insistemente, come una ingenua adolescente.

Ero sorpresa, titubante,  confusa anche se in quella canzone percepivo un fondo di verita’. Ne parlai presto con qualche amico perche’ mi aiutasse a capire. Poi le parole di un mio carissimo amico,  mi vennero in soccorso e furono di grande aiuto.

“Ciao C., la canzone è bellissima e adoro Gaber. Per avere la capacità di amare come descritto nella canzone impeccabilmente, devi avere aperto il cuore completamente e per ”cuore” intendo il quarta chakra-portale dietro il cuore fisico che ti collega all’energia Amore. Tu non puoi sapere amare se non hai questa percezione e saggezza al tuo interno come riferimento. Tu puoi amare soltanto nella quantità e qualità di amore che può percepire il tuo cuore. Ti accorgerai che questa capacità dipende solo da te e non da un fattore esterno. Più ami te stessa e più saprai amare l’altro…..” (by Victoria_ignis)

E allora su Suo suggerimento riprovai a riascoltare la canzone e provai ad aprire il mio cuore, sempre, sempre di piu’ e all’improvviso sulla strofa:

Vorrò una donna che se io accarezzo una poltrona, un libro o una rosa lei avrebbe voglia di essere solo quella cosa”

Mi ritrovai  totalmente catapultata dentro me stessa, come se fossi stata rigettata dentro di me e avessi rivisto me stessa.  Come se quel mio desiderio mai rivelato, mai accettato consciamente, mai confessato, si manifestasse   adesso  in tutta la sua piena prepotenza di emozione: essere quella “cosa accarezzata” e capire davvero che mi sarebbe piaciuto essere per il mio amato qualsiasi cosa che lui avesse avuto nel suo presente e se l’avesse sfiorata avrebbe sfiorato me anche in mia assenza.

Ringraziai profondamente il mio Amico D. perche’ mi aveva indicato la via!

Questo e’ l’effetto che ha suscitato in me questa canzone straordinaria e adesso rivolgo a Voi la domanda: se vi capitasse di ascoltare questa canzone ci sarebbe qualche strofa che potrebbe colpirVi particolarmente, o qualche parola di Gaber in cui addirittura ritrovarVi?

Parlare di Amore e’ sempre un argomento intrigante ed interessante  nonostante tutti noi ne abbiamo vissuto una o piu’ esperienze, ma l’Amore rimane sempre un grande e meraviglioso Mistero!

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Quando lui scrive o disegna io vorrei essere quella cosa:

“Vorrò una donna che se io accarezzo
una poltrona, un libro o una rosa
lei avrebbe voglia di essere solo
quella cosa…………..
 
Così vorrei amare.”

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Un incontro… con Hippo!

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“Nell’impresa della seduzione tutto o quasi è ammesso: dai tatuaggi al ballo, dai profumi agli espedienti più astuti. E alla fine, fra tutti, è proprio l’Homo Sapiens l’animale che corteggia più a lungo e in modo più fantasioso e sofisticato.”           ~ Willy Pasini ~

Mi sembravano sempre lunghe le attese al semaforo specie ai grandi incroci stradali e cercavo di distrarmi guardando fuori dal finestrino. C’era quasi sempre qualche cartello pubblicitario che attirava la mia attenzione. Benche’ fossi prevenuta nei confronti della pubblicita’ come strumento di bombardamento intellettuale, la curiosita’ era tale che mi soffermavo a leggerne gli slogan.

Proteggiamo fauna e  flora, ma facciamolo insieme“.  “Ecco un’altra frase commerciale” sospirai fra me e me. Tuttavia, poiche’ l’argomento mi aveva sempre affascinato, lessi tutta l’inserzione sul cartellone mentre i clacson gia’ suonavano impazziti dietro di me.

Era l’invito a partecipare ad un  seminario per la tutela della flora e della fauna con la possibilita’ per chi lo desiderasse di visitare il giorno seguente un acquario, il  tutto con un biglietto di entrata a pagamento.

Comprai il biglietto e presi parte al seminario che si estese per tutta la durata di una giornata con qualche ora extra di workshop. Fu molto interessante imparare come nel quotidiano si poteva salvaguardare l’ambiente e proteggere animali, insetti e pesci, con il giusto riciclaggio di prodotti nocivi che avrebbero invece intossicato il terreno e  le acque.

Se si fosse raggiunto il numero sufficiente avrebbe avuto luogo il giorno seguente la visita all’acquario. Poiche’ il seminario si rivelo’ di interesse pratico, quasi tutti accettarono di prendere parte alla visita dell’acquario nella quale sarebbero state date ulteriori informazioni sull’argomento.

La visita all’acquario per me fu una esperienza, oserei dire, straordinaria ed ancora oggi ne conservo  ricordi incancellabili nella memoria. Rimasi incantata ed ammaliata dalla danza nuziale dei cavallucci marini (Hippocampus). Uno degli spettacoli piu’ affascinanti a cui abbia mai assistito.

Fu commuovente vedere come quei piccoli pesciolini danzassero verticalmente in coppia con una estrema grazia seguendo un magico rituale  con una formidale eleganza. Il correlatore ci spiego’ che i cavallucci marini sono anche chiamati “mates of life” per la loro tipica fedelta’ al compagno/a. Ci spiego’ che i cavallucci marini usano danzare ogni mattina insieme per rafforzare il loro legame di fedelta’ e nel farlo intrecciano le loro code in un movimento di giostra. Quel tipo di danza e’ anche una forma di corteggiamento che porta alla procreazione.

La cosa prodigiosa che mi colpi’ fu il fatto che  il cavalluccio marino (maschio)  venisse ingravidato dalla femmina. In quella danza erotica lei avrebbe rilasciato le sue uova infertili nella sacca addominale del maschio e il maschio le avrebbe fertilizzate ed avrebbe portato a termine la gravidanza da solo.

Fu sconcertante per me scoprire ed assistere dal vivo ad una tale inversione di ruoli fisici come se fosse un fatto naturale. Era adesso la femmina a “cacciare”,  scegliere e “catturare” il maschio. Era la femmina adesso in natura ad essere, in apparenza, piu’ bella del maschio. Avevo sempre notato, con un certo dispiacere, questa disuguaglianza in natura tra maschio e femmina: il gallo comparato alla gallina, il leone comparato alla leonessa, solo il merlo maschio con il becco giallo.  Adesso nel caso dei cavallucci marini era la femmina non solo piu’ bella, ma sempre pronta a rifecondare il maschio appena lui avesse partorito piu’ di circa  1000 babies!

Imparai che i cavallucci marini sono animali a rischio di estinzione causato proprio dall’uso terapeutico che ne viene fatto dalla medicina cinese. Imparai tante cose in quell’occasione, ma soprattutto, capii come la natura in tutte le sue forme ci insegna a vivere e ad amare. Esseri cosi piccini come i cavallucci marini possono insegnarci la vita di coppia fatta di corteggiamento, attenzioni, coccole e amore. Come sarebbe bello svegliarsi tutte le mattine e fare una danza d’amore con il proprio compagno/a!

Desidero condividere con tutti Voi questi due video espressione di come la natura ci regali momenti meravigliosi di amore e tenerezza.

Un incontro…. con lo specchio!

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Barbara Streisand allo specchio. Photo by Steve Schapiro

Mi piaceva tra un anno accademico ed l’altro impiegare il mio tempo libero in attivita’ di volontariato che di solito trascorrevo all’estero per migliorare il mio inglese. Accettai l’offerta di lavorare per pochissimi mesi in un centro per ragazze in depressione. Un lavoro sociale, pensavo tra me e me, mi avrebbe aiutato a capire meglio la vita e le sue problematiche.

Cosi partii con il solito entusiasmo di vivermi una esperienza unica anche in un centro di ragazze con problemi psicologici e depressivi. Erano ragazze piu’ o meno della mia eta’, chi piu’ giovani, chi piu’ grandi, ma onestamente l’eta’ non faceva la differenza il problema era sempre lo stesso la depressione. Naturalmente io non ero preparata professionalmente per gestire questi problemi e il mio lavoro come volontaria era quello semplicemente di trascorrere qualche ora insieme a loro per ascoltarle. Non avevo certo le qualifiche per niente di piu’ di questo, ma mi avevano assicurato che “ascoltare” in questi casi sarebbe stato un trattamento molto utile. Ci provai sarebbe stata una opportunita’ di vita.

La cosa che mi complico’ un po’ l’esistenza fu quando mi diedero uno specchio. Chiesi come avrei dovuto usarlo e loro mi dissero  che lo avrei saputo usare al momento giusto.

“Take this mirror!”

Lo guardai sperando di trovarci una risposta eppure era uno specchio comune, uno che si puo’ comprare anche a due lire in una profumeria,  drogheria o supermercato.  Non era uno specchio magico, mi dissi tra me e me, un po’ delusa!

Incominciai ad incontrare queste ragazze una per volta a giorni alterni. E mentre loro mi raccontavano quanto soffrivano e quanto si sentivano diverse ecco che io presi lo specchio e dissi loro:

“Look at you, tu sei uguale a me!”

Iniziai ad usare quello specchio. E devo dire che nel giro di poco tempo mi sentii ispirata da quello specchio e di tanto in tanto facevo specchiare loro mentre mi regalavano un sorriso. Dicevo loro quanto erano belle riflesse in quello specchio e come la vita fuori di quella stanza le aspettava a braccia aperte. E spesso suggerivo loro di  specchiarsi e parlare a se stesse attraverso lo specchio confidandogli i tanti segreti che neanche loro avrebbero mai avuto il coraggio di  condividere con qualcuno.

Insomma in poche parole, quello specchio, che all’inizio mi aveva trasmesso un senso di inadeguatezza, era diventato uno strumento utile e divertente. Onestamente, non seppi mai se quella “terapia” con lo specchio raggiunse qualche risultato effettivo.  Devo ammettere, tuttavia, che fu divertente usarlo  facendoci versaggi o brutte facce nello specchio per ridere un po’, per entrare in confidenza, per sciogliere quell’imbarazzo iniziale e creare una atmosfera piu’ familiare.

Lo specchio, dopo quella esperienza giovanile, acquisto’ nel tempo nuovi significati per me. Non era piu’ solo  uno strumento per specchiarmi e acconciarmi i capelli o mettermi il rossetto. Era diventato l’amico di tutti i giorni. Era li’ che rivedevo i miei stati d’animo, li’ che leggevo le mie paure, superavo le mie ansie, ed era li’ che  il mio corpo si rispeccchiava con tutte le sue sinuosita’ e mostrava riflessa la bellezza del mio essere donna nei momenti piu’ erotici.

Avevo l’impressione che lo specchio sapesse giudicarmi realisticamente anche, se  non posso negare, che per antonomasia e’ anche il simbolo della illusione.

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“Le nostre parole rivelano i nostri pensieri; le nostre maniere riflettono la nostra autostima; le nostre azioni riflettono il nostro carattere; le nostre abitudini predicono il futuro.” ~ William Arthur Ward ~