fanny wilmot

anatra o coniglio?


Anche per Rosa Bazzi e Olindo Romano è finita nel migliore dei modi: l'opinione pubblica si è divisa tra innocentisti e colpevolisti, con i secondi a fare la parte del leone. Ma la verità processuale della strage di Erba, che ha già condannato i due ma che potrebbe essere rimessa in discussione a breve, cos'è? Non è forse un invito - al pari di decine di altri - a entrare in un posto spaventevole che, quando pur restituito per didascalie attente e calibrate, presenta zone di criticità invise a un ragionamento matematico? E dunque, la sentenza in oggetto non è da considerarsi un'ipotesi di onnipotenza se, malgrado certi aspetti opachi, si è risolta per la colpevolezza di Rosa e Olindo? In attesa che un colpo di scena riapra l'iter processuale, condanniamoci al sospetto. Forse le toghe hanno lasciato qualcosa fuori dal quadro.

"Nelle corti lombarde le case affacciano su un unico, ampio cortile. Chiuso ai lati e con un solo ingresso, il cortile è uno spazio tagliato con esattezza, sorvegliabile in ogni suo punto, un sistema abitativo che funziona come un panopticon rovesciato: da ogni casa è sempre possibile scorgere chi entra, mentre chi guarda può nascondersi dietro le tende o arretrare. Questo campo di visibilità ininterrotta rende la corte più sicura, e insieme ne fa una trappola. Ciascuno alla propria finestra penetra fin dentro i dettagli minuti della vita dei vicini, ne osserva orari, spostamenti, ospiti, litigi. Un’intrusione a volte involontaria e indesiderata. E se le pareti laterali che separano le abitazioni limitano l’intrusione, i rumori si diffondono ovunque, sfruttando lo spazio vuoto del cortile centrale; in una casa di corte si sente tutto. Manca la possibilità del segreto. Manca l’ombra che, in fondo, protegge.

La coppia viveva nella corte da sei anni, il loro appartamento era al piano terra, in una porzione autonoma dell’edificio, con ingresso indipendente. Quell’ala si chiamava “La casa del Ghiaccio”, in dialetto la giazzèra, perché i contadini d’inverno la riempivano di neve e la usavano come un enorme frigorifero.

I due non avevano figli. Lui era uno spazzino, lei una domestica a ore. I loro orari erano accordati alle esigenze di ciascuno: lui si faceva assegnare sempre lo stesso turno, dalle 6 alle 12, pranzava a casa, riposava e poi accompagnava lei al lavoro, che non aveva la patente e che nelle ore precedenti si era occupata delle faccende. Come un ingranaggio oliato, la vita insieme girava senza intoppi. Poi, nell’appartamento di sopra era arrivata una ragazza e dopo qualche anno il fidanzato, e quasi subito tra loro un figlio". Alessandra Carati, Rosy